Correva l’anno 1793
La Maddalena, nel 1793, era una cittadina di circa 850 abitanti divisi in 190 famiglie le cui modeste case erano tutte intorno alla prima chiesa parrocchiale di S. Maria Maddalena alla cura della quale si alternavano due parroci: il calangianese Giacomo Mossa, ormai a fine carriera, ed il tempiese Luca Demuro. Si tenga presente che la chiesa era molto più modesta di quella che abbiamo conosciuto sino ai primi anni del 1950 e il nome lo tolse alla prima chiesetta ancora oggi esistente ( anche se più volte rimaneggiata e soprattutto privata del suo terreno circostante) e che da allora fu dedicata alla SS. Trinità (la Trinita in isolano) . Il villaggio era difeso da due forti: S. Andrea (ex carceri sopra i Tozzi) e Balbiano (oggi scomparso) sul lato ovest dello scalo vecchio, e da una flottiglia di navicelle i cui pezzi pregiati (in realtà si reggevano appena a galla) erano le due mezze galere Santa Barbara e Beata Margherita a bordo delle quali prestava servizio buona parte della popolazione maddalenina (da li bassi ufficiali in giù, che all’epoca gli ufficiali dovevano essere di nobile lignaggio) ed un certo numero di forzati che stavano incatenati ai remi essendo le suddette navi a doppio sistema di propulsione (appunto a remi e a vela). Per l’occasione flotta e popolazione erano state rinforzate da un reggimento di soldati (circa 150 persone) e da qualche decina di civili galluresi di terra ferma. In tutto circa 600 persone atte alle armi. Comandava la base il signor Giuseppe Maria Riccio, piemontese o meglio pedemontanus contrariamente a quanto sostenuto in una pubblicazione del 1935 che lo dava per tempiese, mentre a capo della flotta c’era il nizzardo Felice de Costantin il quale fu, in realtà, il vero regista di tutte le operazioni e colui che prese tutte le decisioni operative. Per l’occasione fu concepita e realizzata alla Maddalena la cosiddetta bandiera da combattimento oggi finalmente esposta, grazie all’iniziativa di un gruppo di cittadini, nella sala consiliare del palazzo comunale. Il comandante Riccio, recita la relazione ufficiale, a causa dell’età non avrebbe potuto seguire l’andamento dei combattimenti (che si prevedevano soprattutto di movimento) e si ridusse a dirigere il tiro dei cannoni del forte S. Andrea. Età che non impedì, comunque, al nostro signor Riccio di avere un figlio (Giovanni, Battista, Gavino, Carlo, Vincenzo, Innocenzo, Antonio, questi i nomi del bambino ) nato all’isola nove mesi dopo l’assalto (12 ottobre 1793). (Salvatore Sanna)
Con la spedizione della Francia alla conquista di Cagliari, del suo golfo e delle Isole Intermedie, La Maddalena e il suo Arcipelago, l’intento era quello di esportare attraverso il veicolo corso, gli ideali della Rivoluzione Francese, puntando sul presunto desiderio della popolazione sarda di liberarsi dal predominio piemontese. Come è noto, il tentativo di invasione fallì, sia al sud che nella parte settentrionale, nelle Isole Intermedie, dove agì il giovane Napoleone Buonaparte, appena nominato luogotenente colonnello in seconda del battaglione delle Guardie Nazionali di Ajaccio Tallano. Ruolo fondamentale nella vicenda ebbero l’atteggiamento, o meglio gli atteggiamenti, che la Corsica tenne nei confronti dell’impresa, anche perché come abbiamo già detto, era l’unico tramite per la Francia appena uscita dalla Rivoluzione e che intendeva rivestire la sua impresa sarda dei principi rivoluzionari di liberazione dall’assolutismo e di ribellione all’Ancien Régime. Figura di rilievo fu, a questo proposito, Colonna Cesari che per dirla con Francioni, in I Franco – Corsi in Sardegna, sperava in una Corsica sotto il protettorato francese, ma comunque libera, un pensiero che cambiò quasi subito. Soprattutto dopo la morte di Luigi XVI, prese le distanze dalla Francia rivoluzionaria, tuttavia, non ostacolò l’attacco a La Maddalena, né si oppose alle richieste del Truguet, contrammiraglio a capo della spedizione, e lo dimostrò inviando delle truppe. C’è di più. La conquista dell’Arcipelago maddalenino fu ritenuta facile, poiché i suoi abitanti furono considerati in blocco corsi, perciò, automaticamente filo francesi. Da La ricerca dell’identità 1792-1794 di Salvatore Sanna, apprendiamo che quando le notizie di un presunto attacco gallo-corso si fecero più consistenti e certe, i maddalenini abbandonarono temporaneamente le loro preoccupazioni su eventuali attacchi barbareschi. Anche i dubbi sull’atteggiamento che La Maddalena e il resto della Gallura avrebbero tenuto in caso di invasione francese, furono subito fugati: tutti mostrarono di essere pronti a respingere l’attacco. Contro ogni aspettativa, i Francesi incontrarono una forte opposizione su tutti i fronti, sia da parte del popolo che delle classi predominanti e della Chiesa cagliaritana e sassarese, che mise a disposizione il proprio tesoro per finanziare la resistenza. Il sud della Sardegna mostrò la sua alleanza e fedeltà al Piemonte che non aveva stanziato alcuna guarnigione nell’isola come, in precedenza, avevano fatto gli Spagnoli; da sempre gli occupanti non temevano alcuna rivolta da parte degli isolani, quasi completamente sottomessi o in condizioni subalterne.
gennaio
A seguito dell’intensificarsi delle “vociferazioni” sulla eminenza dell’attacco nemico, si migliorano le difese passive, con il completamento del piccolo forte Balbiano e si provvede a far sfollare le famiglie (donna, vecchi e bambini) verso Tempio e Luogosanto; l’esodo si conclude nell’ultima decade del mese. La esigua guarnigione isolana viene rinforzata con un centinaio di uomini del contingente svizzero di stanza a Sassari e con altrettanti miliziani sardi, in gran parte di Aggius, Calangianus e Luras. Arriva anche un “cappellano” dei miliziani, il tempiese don Bernardino Pes (Birraldinu) cugino del più famoso poeta Gavino Pes (don Baignu). Per procurare armi idonee si dà da fare anche il prete don Luca Demuro, che non esita a condurre trattative con i famigerati contrabbandieri di Aggius. Infine, l’anziano Governatore Riccio pensa sia necessario un simbolo, uno stendardo per galvanizzare la popolazione rimasta. Presto fatto: su un lenzuolo viene raffigurata Santa Maria Maddalena ai piedi della croce e la scritta “Per Dio e per il Re Vincere o Morire 1793”. La bandiera sventolerà, per tutta la durata della battaglia, che si scatena ben presto, sul forte Sant’Agostino, il più elevato del paese. Oggi il vessillo è stato donato al Comune dagli eredi Millelire ed è conservato nell’aula del Consiglio Comunale di La Maddalena. L’arcivescovo di Cagliari, capo dello Stamento Ecclesiastico, non solo spronò insistentemente il viceré Balbiano a meglio predisporre in tutta l’isola migliori ed adeguate difese contro l’invasione rivoluzionaria, ma gli offrì anche un contributo in denaro, garantendogli, se fosse stato necessario, la vendita degli argenti delle chiese di Cagliari. La necessità di opporsi alle truppe rivoluzionarie francesi che, al passo della “Marsigliese”, si apprestavano a sconquassare anche la Sardegna, si rendeva necessario, per la Chiesa sarda, sia per salvaguardare la monarchia sabauda ed i privilegi feudali ed ecclesiastici che questa garantiva (la maggior parte degli alti prelati erano di famiglia nobile) sia, e per alcuni settori del clero, soprattutto, per respingere oltremare quelle idee di libertà, eguaglianza e fratellanza, allora minacciosamente rivoluzionarie (di portata epocale, che hanno chiuso un mondo per aprire la nostra storia moderna), delle quali oltremodo si temevano gli effetti incontrollabili e le degenerazioni destabilizzanti.
3 gennaio
Vittorio Filippo Melano, arcivescovo di Cagliari, offre 10.000 scudi e gli argenti delle chiese per la difesa dell’isola.
7 gennaio
Le truppe francesi sbarcano a Carloforte senza incontrare la minima resistenza. La colonia, come dimentica degli ingenti capitali umani e finanziari investiti dallo Stato per la sua fondazione, rimuove la statua di Carlo Emanuele e la sostituisce con l’albero della libertà. I carolini – è scritto in un dispaccio anonimo del 24 floreale anno 4 – sono ottimi uomini di mare e si sono dati in buona fede alla Repubblica francese. Lo sbarco francese a Carloforte sarà l’unico risultato positivo conseguito dai francesi nell’ambito del più vasto piano di invasione della Sardegna. Un tentativo preceduto da una fitta produzione memorialistica che, partendo proprio dalla Sardegna e utilizzando i canali consolari, offre a Parigi una dettagliata descrizione dell’isola, delle sue potenzialità in termini sia economico-commerciali che strategico-militari. Spesso i memoranda sono però ispirati da una forte pregiudiziale anti-sabauda, non di rado originatasi dalla condizione di passività alla quale i consoli francesi sono costretti dallo Stato sardo. La sopravvalutazione sia delle responsabilità sabaude nel sottosviluppo della Sardegna, sia del carattere tirannico del loro governo forma il terreno sul quale si radica la convinzione (di Parigi) che i sardi sarebbero insorti a sostegno di un intervento di “liberazione” francese. Ma la spedizione del 1793 avrebbe presto rivelato una realtà diversa. La storiografia ha indagato con profondità tempi e modalità attraverso i quali gli stamenti sardi autoconvocatisi riuscirono a ributtare i francesi a mare nell’iglesiente, nel cagliaritano (Quartu) e nel nord (La Maddalena).
8 gennaio
Le truppe francesi occupano l’isola di San Pietro e vi innalzano l’albero della libertà repubblicana. Al seguito delle armate francesi giunge anche Filippo Buonarroti, che ispirandosi ai modelli russoviani redige una costituzione per ‘‘l’isola della libertà’’.
11 gennaio
Giunsero, per pressante richiesta del maggiore Riccio, comandante dell’Isola, due reparti di fucilieri del reggimento svizzero di Courten, di stanza a Sassari. Un centinaio di volontari giunse dalla Gallura. Per cui al momento dell’attacco dei gallo-corsi, la forza isolana consisteva in circa 500 uomini. Gli altri galluresi a cavallo vennero inquadrati sotto il luogotenente colonnello Giacomo Manca di Thiesi e tenuti al coperto dietro le alture della costa. A Cala Gavetta, si trovavano in sosta operativa le vecchie unità della Reale Marina Sarda, tra cui le mezze galere La Beata Margherita, e la Santa Barbara cedute dalla Corte Napoletana nel 1782 e nel 1783, la galeotta, Il Serpente, una piccola nave e tre gondole. Queste navi, per la verità molto male in arnese (tanto che fin dal settembre del 1792, da Torino era stato dato al Viceré l’ordine di radiarle dal quadro della marina sarda, per costruirne di nuove in sostituzione) contavano complessivamente 363 uomini di equipaggio, ufficiali compresi.
22 gennaio
Clero, autorità e popolo cagliaritano partecipano alla solenne processione indetta per invocare la protezione di Sant’Efisio contro il pericolo francese. Nello stesso giorno una squadra navale francese composta da 11 vascelli, 6 fregate e 3 corvette e comandata dal contrammiraglio Truguet compare al largo di Cagliari. (si era già fatta viva il 21 dicembre 1792, ma era stata costretta al ritiro da una provvidenziale libecciata) Nei giorni seguenti le navi bombardano incessantemente la città e i francesi tentano uno sbarco nel litorale di Quartu, ma il 16 febbraio vengono definitivamente respinti e messi in fuga dai miliziani sardi. Si distinguono fra i difensori il rivoluzionario Vincenzo Sulis, il Barone di Saint Amour e il Cavalier Pitzolo.
22 gennaio
Napoleone Bonaparte, tenente colonnello e comandante del secondo battaglione di volontari corsi, è a Bonifacio in attesa di partire per la spedizione di conquista di La Maddalena: le truppe di volontari e coscritti creano disordini e lo stesso Napoleone rischia di essere ucciso. Si salva nella casa del procuratore Portafax. In questa occasione Napoleone scrive un suo appunto nel quale esalta la posizione strategica dell’arcipelago maddalenino: ”prendendo l’arcipelago si conquista la Sardegna”.
(…) un giovane tenente colonnello, di nome Napoleone Bonaparte, arrivato a Bonifacio a bordo della corvetta “La Fauvette”, passeggiava in città con uno dei suoi amici, il capitano Ortoli.
Entrambi avevano imboccato rue Saint Dominique che portava dalla caserma al centro della Città alta. Guardarono, di sfuggita, all’interno degli stabilimenti per bere. I soldati provenzali, almeno quelli che avevano dei soldi, bevevano, urlavano, urlavano, cantavano e sputavano …
Questi soldati erano infelici perché non erano stati pagati per due mesi mentre gli ufficiali ricevevano regolarmente la retribuzione. Incapaci di sopportare questa ingiustizia, passarono il tempo a mostrare la loro rabbia. Quel giorno, molti di loro erano in Place du Fundagu, il crocevia di Saint Dominique, Doria e Castelleto e cantavano inni rivoluzionari: Ah, andrà bene, andrà bene, andrà bene.
Aristocratici alla Lanterna …
Alcuni avevano persino smantellato l’espositore di un negozio di ortaggi. La situazione, già sull’orlo dell’esplosione, stava per peggiorare. I marinai della corvetta “La Fauvette” e di altre navi ancorate nel porto, che salivano dalla “Marina”, avevano incontrato volontari corsi tra cui Fortunatu. Furono le prime le parole, poi gli insulti e le spinte per finire fatalmente in una rissa generale.
In quel momento apparvero Bonaparte e Ortoli. Provarono, usando la loro autorità come ufficiali, a ristabilire la calma, distribuendo qua e là i colpi con la loro sciabola. Invano, era come se volessimo separare un branco di cani rabbiosi. Le cose degenerarono al punto che il sindaco della città, André-Vincent Portafax, ha dovuto intervenire, insieme ad altri bonifacini, alcuni dei quali hanno esclamato:
– Ed è con tali uomini che vogliamo prendere La Maddalena!
All’improvviso un gruppo di marinai inseguì in particolare Napoleone insultandolo:
– Cane aristocratico! Alla lanterna! Alla lanterna!
Sempre più minacciosi, gli ammutinati si avvicinarono al giovane ufficiale che, con la spada in mano accanto al Capitano Ortoli, li sfidava. Ma uno dei marinai, sorprese Bonaparte, riuscì ad afferrarlo da dietro, avvolgendogli il collo col braccio. Fu allora che il sergente Brignoli, del battaglione dei volontari corsi, vedendo il suo superiore in pericolo di morte, tirò fuori il suo stilo. Senza esitazione, colpì due volte la schiena dell’aggressore prima di gettargli la terribile lama in gola. Il marinaio crollò sul posto. Gemette, trattenne il collo da cui sfuggì a fiumi di sangue. Tentò invano di alzarsi, poi rimase immobile. Era morto.
I due ufficiali iniziarono gradualmente un ritiro in Rue Doria(…).
“Vieni presto, colonnello, seguimi” disse Fortunatu.
Bonaparte e Ortoli seguirono il giovane soldato che li condusse nella piccola Piazza Manichella, una sorta di terrazza sul mare, dove il sindaco della città, André Vincent Portafax, li invitò a tornare a casa prendendo le scale esterne che era un accesso secondario all’appartamento la cui entrata principale era Piazza Doria. Questo intervento del magistrato non fu una coincidenza. Era stato lui a segnalare a Fortunatu di guidare i due ufficiali a casa sua.
Una volta al sicuro in casa, il piccolo gruppo si rilassò, mentre grida e grida provenivano ancora dall’esterno.
Bonaparte e Ortoli hanno ringraziato il loro ospite che li ha invitati a sedersi e, dopo le presentazioni, hanno offerto loro di bere un bicchiere del famoso vino Sant’Amanza e di mangiare “üghi sicati”.
Il sindaco si è quindi rivolto ai due ufficiali:
– Ho detto al tuo superiore, il generale Colonna-Cesari, comandante in capo della spedizione sarda, che sarebbe urgente garantire la paga di questi soldati, perché il loro atteggiamento deriva principalmente da promesse non mantenute. Sai che quasi tutti questi giovani si impegnano ad essere ospitati, nutriti e pagati, loro figli della feccia? Sai che le persone più anziane sono persone senza fede o legge, alcune di nazionalità incerta, sebbene tutte incluse nel termine “Provenzali”? Oltre a vitto e alloggio, speravano anche, arruolandosi, di poter concedersi l’impunità con la rapina, con la speranza di saccheggiare e uccidere senza paura. Le informazioni che mi sono arrivate da Bastia e L’Ajaccio sul suo comportamento ignobile ha qualcosa di elettrizzante. Tuttavia, la responsabilità di questi gravi incidenti spetta, in gran parte, a coloro che hanno preparato male questa spedizione. Ho appreso del disordine che regna nell’amministrazione delle forniture navali e in quella delle forniture di guerra. Non erano stati preparati soldi per il prestito dei soldati, né scarpe né attrezzatura da campeggio. È intollerabile! né effetti di campo. È intollerabile! né effetti di campo. È intollerabile!
Dopo un momento di silenzio, il magistrato di Bonifacio andò alla finestra, da cui tirò leggermente una tenda. Fuori, in Piazza Doria e ancora più in basso, verso la Fundagu, la situazione era migliorata, la calma era tornata dopo l’intervento energico delle truppe della Linea. (…) Parzialmente tratto da “Il bambino trovato” François Canonici
25 gennaio
Essendovi fondato sospetto che i bonifacini avevano compiuto un’impresa corsara ai danni di una imbarcazione addetta al servizio postale e mercantile fra Livorno e la Sardegna, comunicava al De Costantin: “Siccome…ho avuto avviso che una gondola capraiese che trasportava costà i viveri da Porto Torres possa essere stata predata da legno bonifacino, così ove ella verifichi la cosa od altro oggetto che interessi il legno, non dovendosi più usar loro riguardo, ordinerà a mio nome all’alcaide di Longonsardo di non più ammettere o accordar provviste ai loro legni, ma di respingerli, predarli potendo, come farà ella medesima”. La prevista invasione era dunque ormai vicina; proprio in quei giorni aveva infatti inizio l’esodo delle famiglie verso la vicina Gallura, condizione essenziale che gli isolani avevano chiesto come garanzia alla loro fedeltà. Comunque andassero le cose era necessario che donne, vecchi e bambini non corressero pericoli: triste destino di questa comunità che nel corso della sua esistenza, a causa della guerra, dovrà poi sfollare altre due volte. Non abbiamo precise notizie sui tempi e sulle modalità dello sfollamento; solo attraverso una lettera diretta il 4 febbraio 1793 dal governatore di Sassari al viceré possiamo apprendere che le famiglie degli isolani furono portate a Luogosanto e a Tempio ove vennero rispettivamente affidate “alle zelanti cure di quel prelato ed al vicario generale, canonico Spano” e che era stata “fissata la loro porzione a soldi cinque per persona quando fossero in Tempio e ad un pane di libbra e mezzo reale al giorno per quelli che fossero a Luogosanto”. Della presenza dei maddalenini a Tempio e a Luogosanto troviamo riscontro nei conti che il vicario generale di Tempio, canonico Spano Azara, inviò poi al segretario di stato presso il viceré il 4 maggio 1793. I tempiesi, che avevano fatto le cose in grande nella convinzione di dover partecipare alla difesa dei litorali galluresi minacciati dallo sbarco che poi non avvenne, avevano approntato un’enormità di provviste; il pane avanzato, genere immediatamente deperibile, “…se lo divisero i pastori” e “…quel pane che restò nel paese per non perdersi” venne dato ai poveri e ai carcerati e il resto “si distribuì come segue:
– a 29 famiglie isolane che qui arrivarono il 25 gennaio se li diede gratis il 25, 26, 27, 28 in ragione di tre pani ad ogni persona (a persone 87) e qualche d’un di più se fossero disuguali, pani 828;
– mandati a Luogosanto per soccorso a quelle famiglie che stavano venendo e trovavansi senza mangiare, pani 300;
– ad un isolano cieco e suo nipote non compresi nel bilancio se li diede pane in ragione di 3 ognuno da 26 gennaio a 16 febbraio che finì il pane, pani 132“.
Nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, poi, essendo venuti a mancare i fondi per l’indennità di cinque soldi dovuta agli isolani sfollati fu dato il corrispettivo in pane per complessivi 1784 pani. Dagli stessi conti del vicario Spano Azara apprendiamo inoltre che furono inviati a La Maddalena 2.018 pani e 10.800 gallette di cui rilasciò ricevuta il munizioniere Foresta.
28 gennaio
Cagliari viene bombardata per sei ore di fila. La pioggia di proiettili (40 colpi al minuto) fa solo 5 vittime e pochi danni.
febbraio
In febbraio, a La Maddalena si prepara la difesa. Comandante delle mezze galere è Felice De Constantin; comandante del forte Sant’Andrea è Matteo Riccio. Si disegna lo stendardo, così detto di Millelire, che sventola sul forte Sant’Andrea e rappresenta un importante documento iconografico, e non solo storico, della comunità isolana.
16 febbraio
I francesi, che nei giorni precedenti erano riusciti a sbarcare a Quartu, vicino a Cagliari, vengono respinti dai miliziani sardi che, sotto il comando di Girolamo Pitzolo, li costringono a una fuga disordinata. Lo scontro si risolve in un eccidio ai danni dei numerosi invasori che non fanno in tempo a reimbarcarsi.
20 febbraio
Una squadra composta da 23 unità salpò il 20 febbraio 1793 da Bonifacio alla volta delle isolette dell’Arcipelago della Maddalena. I franco-corsi, erano 600 o, secondo altri, 800 persone (esclusi gli equipaggi) comandati dal generale Colonna Cesari, corso di Quenza e nipote di Pasquale Paoli, coadiuvato, per le manovre a terra, dai luogotenenti Quenza e Napoleone Bonaparte. Costoro, a loro volta, avevano agli ordini ufficiali e soldati provenienti da Sartene, Zicavo,Quenza, Livia, Zonza Sorbollà e Bonifacio che di lì a poche ore avrebbero incrociato le armi con gente originaria di Bonifacio, Zonza, Sorbollà, Livia, Quenza, Zicavo e Sartene. Ma i maddalenini avvistati gli invasori, dopo aver posto al sicuro al centro dell’isola i vecchi, le donne e i bambini, si preparano a resistere nelle batterie di Punta Tegge, Guardia Vecchia e Forte Sant’Andrea.
L’inimicizia tra Paoli ed i Bonaparte si trasformò in ostilità dichiarata a seguito della fortunosa spedizione in Sardegna43, episodio marginale nella guerra rivoluzionaria, ma importante nell’accelerare la caduta di Paoli. La Convenzione, inorgoglita dalla vittoria di Valmy e riunitasi quello stesso giorno, dichiarò l’offensiva generale44. La riva sinistra del Reno, la Savoia e Nizza furono occupate dalle truppe francesi. Saliceti, sin dal giugno 1792, aveva vivamente consigliato anche l’occupazione della Sardegna e riuscì a convincere i deputati sulle presunte ricchezze dell’isola mediterranea. Paoli manifestava, al contrario, tutta la sua riprovazione per un progetto che contrastava con le proprie idee su due punti essenziali:
1) esso rappresentava un pericolo per la Corsica che «non aveva bisogno né di guerra, né di conquista, ma solo di libertà e di pace»;
2) costituiva un’aggressione ingiusta verso il Regno di Sardegna, per cui nutriva la più alta stima, dato che era sempre stato l’alleato naturale della Corsica.
Egli tentò con ogni mezzo di temporeggiare e far fallire questa spedizione alla quale, in qualità di luogotenente generale delle truppe della Corsica, doveva prestare man forte: invocava la sua cagionevole salute, la debolezza delle guarnigioni e dei mezzi, la disorganizzazione delle guardie nazionali, poco abituate a combattere fuori dal loro territorio. Ed infatti riuscì a raggruppare a malapena duemila uomini (1.000 francesi stazionati nell’isola ed 800 volontari corsi) sui tremila che gli erano stati chiesti; per Paoli erano comunque sufficienti per adempiere «alla più empia e scellerata delle spedizioni». Con una mossa azzardata il generale chiese l’intervento del battaglione dei volontari d’Ajaccio, comandati da Bonaparte e Quenza: «Forse Paoli pensava ad un modo per sbarazzarsi di Napoleone, o almeno per rovinare, con una sconfitta, la sua nascente fama»47. Ma Paoli fece anche altro: alcuni contemporanei asserivano di averlo sentito dire a Colonna Cesari, a cui aveva affidato il comando delle truppe: «Fai in modo che questa maledetta spedizione finisca in fumo». La flotta francese rimase ferma due mesi nel porto di Ajaccio e partì solo nel gennaio 1793. Giunta nelle acque sarde, l’armata bombardò Cagliari (29 gennaio) tentando uno sbarco (15 febbraio) che si risolse in uno scompiglio generale: alla fine fu costretta a ritirarsi senza aver raggiunto alcun obiettivo. Anche la spedizione terrestre, condotta da Colonna Cesari, si risolse in un totale fallimento; a causa di motivi oscuri, che alimentavano il sospetto di tradimento, Colonna Cesari aveva perso un mese in preparativi. All’inizio, tutto sembrava volgere secondo i piani: la fanteria s’impadronì, il 23 febbraio 1793, dell’isola di Santo Stefano, da dove Napoleone iniziò a bombardare la Maddalena. Mentre si preparava lo sbarco sull’isola, la corvetta francese che proteggeva il corpo di spedizione si ammutinò e, minacciando di morte il comandante, costrinse Colonna Cesari a dare l’ordine di ritirata. Si trattava di una disfatta completa, vergognosa e giustificabile solo con il tradimento. Gli avversari di Paoli alla Convenzione, tutti nei ranghi giacobini, accusarono il generale di aver compromesso il successo della spedizione. Saliceti pronunciò un’arringa infuocata: già da tempo la sua ammirazione per Paoli si era trasformata in ostilità. (Gli interessi personali avevano giocato, in questa evoluzione, un ruolo importante quanto le motivazioni ideologiche: partecipe con passione alle idee giacobine, Saliceti restava comunque un uomo cupido e venale; era un nuovo ricco, un approfittatore della Rivoluzione, un uomo di clan nell’accezione più stretta del termine: accumulava tre pensioni e dilapidava il denaro pubblico a suo piacimento. Deputato alla Convenzione grazie a manovre ed intrighi oscuri, legato allo spirito di partito, regicida – l’unico fra i deputati corsi – egli era stato incaricato dalla Convenzione, il 1° febbraio 1793, di controllare le mosse militari di Paoli)
È strano, al contrario, trovare Napoleone tra gli altri accusatori: in questa situazione il suo atteggiamento fu ambiguo.
(Bonaparte iniziò la requisitoria (il 28 febbraio 1793) aggiungendo la sua firma alla lettera con cui gli ufficiali del corpo di spedizione della Maddalena assicuravano a Colonna Cesari la loro stima. Due giorni dopo redasse una “protesta dei volontari” indirizzata al Ministro della Guerra, al Comandante dell’Esercito delle Alpi ed a Paoli, in cui criticava l’impreparazione della spedizione, la fuga precipitosa della corvetta e l’ordine di ritirata, esigendo «che si ricerchino e puniscano i vigliacchi ed i traditori che ci hanno fatto fallire». Si potrebbe pensare che questa grave accusa riguardasse solo Colonna Cesari, ma leggendo tra le righe era evidente che l’accusa era rivolta anche a Paoli. Il 7 marzo 1793 il Consiglio Generale del dipartimento della Corsica si dichiarò, all’unanimità, «intimamente convinto della piena ed intera giustificazione del cittadino Colonna” e rigettò la colpa sulla “cattiva condotta dei vigliacchi che hanno costretto la corvetta a fuggire». Questa decisione provocò un voltafaccia spettacolare di Bonaparte, che assicurò la propria amicizia a Colonna Cesari, al punto che è lecito domandarsi se egli sia stato sincero o se non avesse cercato, «mettendo il nipote fuori causa, di addossare sullo zio l’intera responsabilità del fallito contrattacco e di attirargli il sospetto del governo». ROSSI H., L’échec de Colonna-Cesari dans la contre-attaque de la Sardaigne en 1793 à la lumiée des documents d’archives, «B.S.S.H.N.C.», 566 (1963), pp. 43-59.)
A Parigi ci si imbarazzava per delle sfumature: su invito della Società repubblicana di Tolone, che attribuiva a Paoli la disfatta della spedizione e dopo un veemente intervento di Marat, che denunciava «questo vile intrigante che prende le armi per servire la sua isola e fa l’illusionista per ingannare il popolo», la Convenzione decise, il 2 aprile 1793, di sospendere Paoli dalle funzioni militari e di convocarlo a Parigi. Si trattava del risultato di un lento processo di rottura avvenuto giorno dopo giorno e che la spedizione in Sardegna aveva solo contribuito ad accelerare. I giacobini ed i loro alleati corsi (tra i quali Arena e Saliceti), inquieti per i progetti dell’Inghilterra nel Mediterraneo e per i legami sentimentali ed ideologici di Paoli verso la sua terra d’esilio, presero al volo l’occasione per abbattere un uomo che aveva subito preso le distanze da loro e che non nascondeva la sua ostilità verso una rivoluzione regicida (Luigi XVI era stato giustiziato il 21 gennaio 1793) e che gli faceva orrore. Affermare che Paoli fosse il responsabile della sconfitta della spedizione in Sardegna significa fare un salto davvero troppo grande. Chiaramente Paoli non era stato mai favorevole alla spedizione e non aveva fatto nulla per garantirne il successo; ma la spedizione non era fallita per ragioni strettamente militari. Paoli non era presente né alla spedizione navale di fronte a Cagliari, né all’ammutinamento della fregata che stava conquistando la Gallura: la rottura tra Paoli ed i rivoluzionari era diventata insanabile per altre ragioni.
22 febbraio
Il 22 febbraio la flotta nemica raggiunse l’arcipelago ma dovette rifugiarsi a Cala Villamarina, sull’isola di Santo Stefano da dove, sbarcati i cannoni, cominciò a bombardare l’abitato. Il primo giorno furono esplose 500 bombe e sparate oltre 5000 palle; pare che Napoleone abbia sparato personalmente 60 cannonate. Mentre il comandante Riccio si insediava nel forte S. Andrea (Tozzi), sul quale venne innalzata la bandiera isolana con il motto “ Per Dio e per il Re Vincere o morire” che ripudiava una volta per tutte il pragmatico e filosofico “Viva chi vince”, De Costantin divise la gente idonea al combattimento, compresa parte degli equipaggi, in cinque gruppi per coprire il circuito dell’isola e parte di Caprera in modo da prevenire, tempestivamente, eventuali sbarchi nemici. S. Stefano restava isolata, protetta, però, dalla torre quadrata di Villamarina, armata con tre cannoni, all’interno della quale operavano venticinque militari di marina del corpo degli invalidi (cioè anziani marinai) guidati da un tenente Carzia. Sui litorali della Sardegna (cioè tra il Parau e Porto Pullo) per tutto il giorno 22 febbraio 1793 si radunarono 22 signori tempiesi (il che non significa necessariamente tutti appartenenti alla città di Tempio) guidati dal signor Manca di Tiesi, capo della Milizia gallurese, più il suo cameriere personale. Alle ore nove del 22 febbraio i franco-corsi effettuavano un raid a Spargi (cala Corsara) per procurarsi bestiame da vettovagliamento ed a mezzogiorno la corvetta Fauvette, armata come una fregata, andava ad imbozzarsi di fronte a Punta Tegge come per proteggere uno sbarco che venne simulato o tentato determinando, in ogni caso, una energica reazione del gruppo guidato dall’ufficiale di marina Vittorio Porcile di S. Antioco. In realtà il grosso del convoglio sfilava verso S. Stefano (grosso modo nell’area detta il Pesce, oggi vi è un importante insediamento turistico) dove effettuava lo sbarco vanamente osteggiato, con scariche di fucileria, dai marinai della Torre portatisi momentaneamente sulla costa. Nel pomeriggio del 22 la corvetta francese saggiava con varie bordate di cannone la resistenza delle mezze galere sarde ormeggiate, con pochissimo equipaggio, ancora a cala Gavetta al comando di Agostino Millelire, piloto della Beata Margherita, essendo gli ufficiali tutti a terra al comando dei gruppi di resistenza) e la capacità dei due fortini isolani che rispondevano caparbiamente. Il tutto inizialmente senza danni reciproci. La via per la Sardegna era, però, bloccata così i nostri non avrebbero potuto ricevere soccorsi e vettovagliamenti. Nella notte del 22, sotto un violento acquazzone e disturbati da un forte vento, Quenza e Bonaparte predisponevano gli attacchi alla Torre al fine di rendere innocua la piccola guarnigione che vi si era trincerata chiudendo il ponte levatoio. Mentre avveniva tutto ciò, all’isola, per ovviare a quello che al momento sembrava il maggior inconveniente e cioè l’isolamento dall’isola madre, veniva prelevato dal fortino Balbiano (a ponente dello scalo vecchio) il cannone più potente e portato a Punta Tegge (si presume dentro l’area della colonia estiva) da dove, nella mattina del 23 febbraio, i sottoposti nocchiero Domenico Millelire, il marinaio Antonio Alibertini, addetto alle forge per arroventare i proiettili del cannone, maddalenini, ed capo-cannoniere Francesco Mauran cominciarono a tirare contro la corvetta. Il comandante della Fauvette, dopo che la sua nave venne colpita per quattro volte con alcuni feriti ed un morto tra i membri dell’equipaggio, abbandonava precipitosamente la posizione (tanto da lasciare sul posto le ancore dirigendo la prora prima verso la Sardegna per poi posizionarsi all’imboccatura di Villamarina. A seguito di questa manovra tutti capirono che la torre era ormai in mano agli assalitori.
23 febbraio
Infatti, occupata la torre, Quenza e Napoleone organizzarono durante tutta la giornata del 23 febbraio una batteria di quattro cannoni ed una bombarda nella zona detta la Puntarella (la piana sotto il Poggio Tondo di S. Stefano dove l’attuale parroco don Degortes ha fatto installare una croce di legno in memoria dell’episodio). La posizione era ideale per prendere d’infilata Cala Gavetta e quindi la flotta, il paese ed il forte S. Andrea. Il cannoneggiamento sul nostro piccolo paese cominciò alle dieci di notte del 23 febbraio 1793. L’operazione, stando ai servizi di “intelligence” francesi avrebbe dovuto causare la pressoché immediata resa dell’isola. Invece, grazie alla perfetta conoscenza dei luoghi ed alle informazioni sulla reale consistenza e disposizione del nemico portate da un anziano marinaio maddalenino (la Grandeur, Salvatore Ornano) sfuggito insieme ad altri sei commilitoni alla cattura e rientrato all’isola a nuoto, iniziò la controffensiva dei nostri. La flotta, guidata da Agostino Millelire, venne trasferita nella notte tra il 23 e 24 prima a Cala Mangiavolpe e poi definitivamente al sicuro al passo della Moneta passando spavaldamente davanti alla batteria corsa i cui uomini, ovviamente, scaricarono sui nostri quante più fucilate poterono. Domenico Millelire, il capo cannoniere Mauran ed il marinaio Antonio Alibertini, coadiuvati da altri commilitoni dei quali non ci è pervenuto il nome, scortati da Cesare Zonza al comando di una galeotta (tipo di imbarcazione in uso ai tempi) si portarono, per ordine del De Costantin, con una lancia sulla costa sarda di fronte a Villamarina nel luogo detto Punta Nera dove, con l’aiuto di alcuni galluresi, sistemarono due cannoni. Mentre il collaudato trio, che già a Punta Tegge aveva dimostrato di saperci fare con i cannoni, si preparava ad attaccare le navi francesi alla fonda all’imboccatura di Villamarina, Cesare Zonza scivolava con la sua galeotta sotto la costa di Caprera.
24 febbraio
L’albeggiare del 24 illuminava questa scena: dalla Puntarella di S. Stefano (attualmente vi è ua croce di legno in ricordo) Quenza e Napoleone bombardavano con continuità il paese; dalla Punta nera del Parao i nostri tre tiravano bordate contro la flotta francese avendo buon gioco nel colpirla essendo questa riunita all’imboccatura della cala di Villamarina. A Maddalena vi erano danni alle abitazioni e perdite di bestiame; dai due forti i colpi, con il passare delle ore diventavano sempre più radi in quanto si cominciava a risparmiare le munizioni che ormai scarseggiavano, così come i viveri per truppa e abitanti. Ricordiamo, infatti, che la fornitura di tutto ciò che serviva all’isola sia per usi militari che civili dipendeva da un farraginoso sistema di approvvigionamento che prevedeva l’invio da Cagliari e la conservazione in un magazzino (oggi scomparso) che si trovava non lontano dalla torre fortificata di S. Stefano. Il De Costantin, paventando una simile situazione, aveva fatto pervenire al Manca di Thiesi una richiesta urgente già il 22 febbraio ma quello, imperterrito, continuava a sostare al Parao ed a litigare con i sottoposti, evidentemente più preoccupato di uno sbarco in terraferma che di aiutare gli isolani. A S. Stefano il comandante della Fauvette, in un primo momento, cercò rifugio in fondo alla cala, ma, accortosi dell’errore, tornò indietro e ordinò di formare due batterie ai lati della cala per poter incrociare i tiri contro i cannoni piazzati sulla costa. Nel frattempo, conosciuto (evidentemente da qualche veloce staffetta a vela) il buon risultato ottenuto dalla batteria della Punta Nera, l’efficiente De Costantin provvedeva ad inviare, nel far della sera del 24 febbraio, altri due cannoni al Millelire per formare un’altra batteria allo Stentino sotto Capo d’Orso, così da poter battere la corvetta ed il convoglio di navi che si erano, nel frattempo, spostate più verso levante. Durante la notte, mentre fervevano i lavori di posizionamento della nuova postazione con l’aiuto di alcuni pastori della costa, la corvetta con alcune altre imbarcazioni più leggere si portò nel canale tra S. Stefano e Caprera e alle 02,30 fu tentato uno sbarco su quest’ultima con un felucone, una gondola e due piccole lance trovandovi pronto all’appuntamento Cesare Zonza, il pilota che aveva accompagnato Millelire e gli altri, il quale a capo di 65 uomini (tra i pochi dell’equipaggio e civili isolani e galluresi) respinse il tentativo. Da notare che al calar della notte a Caprera venivano accesi diversi fuochi per dare l’impressione che fossero presenti numerosi difensori.
25 febbraio
Un nuovo tentativo di sbarco fallì anche il mattino del 25 febbraio, giorno delle grandi decisioni sia da una parte che dall’altra. La notte del 24, nel magazzino di S. Stefano si tenne una riunione tra il Colonna-Cesari, sceso a terra per illustrare il crescente malumore a bordo della Fauvette e del resto del convoglio, ed i luogotenenti Quenza e Bonaparte alla fine della quale si decideva di operare l’attacco definitivo a Maddalena effettuando uno sbarco con tutte le forze disponibili il giorno dopo. A sostegno di questa operazione il 25 mattina il fuoco da parte francese riprese con vivacità. A Maddalena serpeggiava la disperazione. Dalla costa non arrivavano rinforzi né tantomeno approvvigionamenti. De Costantin radunò ufficiali e capifamiglia e tenne consulto per verificare la possibilità di un attacco all’arma bianca nella giornata del 26. Intanto D. Millelire, Mauran e Alibertini tiravano sulla flotta ormai sbandata. Da bordo della Fauvette durante la giornata del 25 febbraio 1793 arrivò al Quenza un foglio a firma del comandante in capo Colonna-Cesari che diceva: ”Cittadino luogotenente-colonnello, la circostanza esige di dare gli ordini più pressanti perché l’armata si metta al più presto in movimento e si ritiri……”. Tra le truppe a terra vinse lo sgomento; Quenza e Bonaparte si infuriarono perché sentivano ormai la vittoria prossima. A bordo della Fauvette e delle altre imbarcazioni erano, al contrario, stufi di prendersi le cannonate per conto di tutti e fecero chiaramente capire che, se non si fossero sbrigati a imbarcarsi, avrebbero lasciato tutti a terra. Difatti non ci fu tempo nemmeno per recuperare cannoni e bombarda che Bonaparte ed i granatieri addetti alla batteria stavano faticosamente trainando all’imbarco. Tutta la scena non poteva sfuggire ai nostri sulla costa: infatti con rapida decisione armarono uno dei due lancioni di cui disponevano e, ancora una volta Domenico Millelire, insieme a quindici commilitoni, coperto anche dalla batteria che rimaneva sulla costa, puntò dritto in mezzo al caos delle imbarcazioni francesi lanciando alcune bordate contro il felucone che si dirigeva verso di loro. La flotta francese scivolava via verso Caprera ed i nostri toccavano terra a S. Stefano recuperando materiale bellico e quattro poveri cristi che non avevano fatto in tempo ad imbarcarsi.
26 febbraio
Il 26 mattina la flotta francese era al nord-ovest di Punta Galera, diretta verso S. Manza, inseguita a distanza dalle mezze galere che tosto desistevano dall’inseguimento e rientrando alla base catturavano una imbarcazione proveniente da Bonifacio il cui equipaggio era convinto che Maddalena con il suo arcipelago fosse già possedimento francese. Tra le forze isolane si ebbero, secondo le relazioni e non vi è da dubitarne perché queste sono suffragate dagli atti di morte presenti in chiesa, due feriti dei quali uno grave per aver avuto una gamba asportata da una palla di cannone. Tra i francesi, per loro ammissione, un morto ed un ferito. Le nostre cronache successive all’evento dicono genericamente: “Molti morti ha avuto il nemico, alcuni cadaveri essendosi ritrovati seppelliti sull’isola, e non pochi feriti”. Difficile stabilire la verità alla ricostruzione della quale non hanno certo contribuito le relazioni successive del Manca di Tiesi (due) e di alcuni anonimi tempiesi che gonfiarono a dismisura gli avvenimenti nel malcelato tentativo di acquisire meriti; tanto meno quelle di parte francese che, per contro, ridimensionarono i fatti per scaricare la colpa al comportamento della flotta e del comandante generale Colonna-Cesari inviso ai notabili corsi per la parentela con il Paoli. Le corrispondenze dell’epoca tra viceré, governatore di Sassari e i comandanti maddalenini certificano in modo inconfutabile che gli inabili al combattimento delle famiglie isolane nel mese di gennaio si sistemarono tra Luogosanto e Tempio con ampia soddisfazione dei regnanti che videro in quella decisione presa autonomamente dagli abitanti la volontà di battersi fino alla morte per difendere l’integrità del regno o come dicevano enfaticamente i funzionari del regno: per difendere la religione ed il Re.
2 marzo
Nel suo rapporto sulla vergognosa sconfitta, Napoleone ne accolla la responsabilità all’azione “vigliacca e traditrice” del Colonna Cesari. In realtà molti storici sostengono che sia stato lo stesso Pasquale Paoli – mosso dall’antipatia personale per Napoleone e dalla avversione politica per i francesi – a raccomandare al nipote Colonna Cesari di far fallire la missione. Questa teoria ha trovato credito anche in uno scritto di Guy de Maupassant (“Una pagina di storia inedita“) Scrive Napoleone: “Le armi della Repubblica hanno subito un affronto. A ciò non può mettersi rimedio che sul luogo stesso. Solo sventolando la bandiera sulla Maddalena e impossessandosi nuovamente dell’artiglieria lasciatavi, cancelleremo la macchia che ci disonora“. Comunque sia, immediatamente dopo quelle intense quattro giornate di combattimenti la vita a Maddalena riprende a scorrere con i ritmi di sempre: il 2 marzo 1793 muore, a 23 anni, Michele Digosciu di Calangiano (Calangianus), il sardo gravemente ferito nei combattimenti.
18 marzo
Le “cinque domande” Termine con cui vengono chiamate le cinque richieste che gli Stamenti sardi, che continuarono a rimanere autoconvocati dopo la sconfitta del tentativo di sbarco dei francesi nel gennaio-febbraio 1793, rivolsero al re Vittorio Amedeo III il 18 marzo successivo, in risposta al suo invito a sottoporgli i desiderata dei sardi. In realtà in un primo momento il re aveva distribuito onorificenze e ricompense fra i funzionari viceregi e gli ufficiali della guarnigione cagliaritana, che avevano preso minima parte alla difesa della città; per questo motivo gli Stamenti, la cui autoconvocazione era stata decisa in polemica con quella che sembrava una colpevole ignavia del viceré Balbiano, avevano palesato la loro scontentezza. Con la sua offerta il re, lontano e in un primo momento non correttamente informato, pensava di rimediare all’errore precedente. In particolare il testo chiedeva al re:
- la convocazione degli Stamenti ogni dieci anni, come si era fatto sotto la Spagna, ripristinando così una tradizione interrotta dai Savoia fin dal loro avvento nell’isola;
- il mantenimento dei privilegi e delle ‘‘Leggi fondamentali’’ dell’antico Regno di Sardegna;
- la nomina di sardi nei più importanti uffici dell’amministrazione e di vescovi sardi nelle più importanti diocesi del Regno (escluse le cariche di viceré e di arcivescovo di Cagliari);
- la costituzione di una Terza sala della Reale Udienza, da chiamare Consiglio di Stato, che avrebbe avuto il compito di esaminare tutte le istanze rivolte al viceré;
- la costituzione a Torino di un Ministero (Segreteria di Stato) che avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente degli affari riguardanti la Sardegna.
Il testo delle richieste fu elaborato da un comitato ristretto coordinato dal canonico Pietro Sisternes e portato a Torino da una delegazione costituita da sei rappresentanti, due per ciascuno dei tre Bracci. In particolare per lo Stamento militare Girolamo Pitzolo e Domenico Simon, per lo Stamento reale Antonio Sircana e Gioacchino Mattana, per lo Stamento ecclesiastico Michele Antonio Aymerich vescovo di Ales e il canonico Pietro Sisternes. Arrivati a Torino i delegati non furono mai ascoltati o ricevuti dal re: essi riuscirono a trattare soltanto col ministro Graneri, che fece esaminare il testo delle richieste da un’apposita commissione che lavorò al problema per quattro mesi interi. Al termine dei lavori il testo fu inoltrato al re col parere sfavorevole della commissione. Solo nell’aprile successivo il re decise sulle Cinque domande, accogliendo quella che riguardava il Consiglio di Stato e sostanzialmente respingendo le altre. Il malcontento cagliaritano montò rapidamente: il tentativo del viceré di fermare la protesta con l’arresto di due capi del movimento patriottico provocò il 28 aprile l’insurrezione di Cagliari, l’espugnazione di Castello e la successiva cacciata dei piemontesi dall’isola.
23 marzo
R. Archivio di Stato di Torino – Gazzetta di Torino; “Dall’Isola de La Maddalena 28 febbraio. Compendio dì relazione del cavaliere di Costantin a S. E. il Viceré concernente l’assedio di quell’Isola, e i tentativi dei Francesi contro l’Isola di S. Stefano. Sa le ore 7,30 del mattino del giorno 20 del cadente, si osservò dalla nostra guardia della montagna un convoglio di un bastimento quadro e di diverse gondole nel canale con direzione di moto a quest’Isola. Le R. Galeotte La Sultana , la Sibilla che stavano di guardia avanzata verso l’Isola di Sparagi giunsero qui su le ore 9 a confermarmi ciò che m’aveva riferito la detta guardia. Diedi subito le disposizioni necessarie alla difesa. Stando noi in vedetta si osservò che le vele nemiche alle ore 2 dopo il mezzogiorno stavano impedite dalla calma, onde credei poterle con le galeotte attaccare con vantaggio. Veleggiammo fino all’Isola di Sparagi, ove giunti vedemmo il convoglio nemico rientrare nel seno di Bonifacio in Corsica trattane una fregata, ed un bri armato in guerra, che si trattennero bordeggiando su quelle coste. Ripiegai a La Maddalena, e pendente quella notte, e l’indomani preparai le nostre forze sul litorale.”
26 marzo
Il viceré esprime agli Stamenti la soddisfazione del re per l’eroica difesa dell’Isola contro l’armata francese. Notifica inoltre che il sovrano, volendo rendere perenne la memoria del valore isolano, istituiva 24 doti da scudi 60 ciascuna, da distribuirsi ogni anno a zitelle povere: 4 piazze gratuite nel Collegio dei nobili di Cagliari: due piazze nel Collegio dei nobili di Torino, e quattro in quello delle Provincie per giovani studenti sardi: ed un assegno di mille scudi annui all’ospedale civile di Cagliari.
27 marzo
Vista la condotta equivoca e riprovevole tenuta dal viceré Balbiano nei suoi rapporti al Governo sulla difesa eroica fatta dai sardi contro la flotta francese, e visti dimenticati quelli che avevano sacrificato vita e denari per scacciare il nemico, gli Stamenti se ne risentono e mormorano.
Volendo che giustizia sia resa agli Isolani, gli stessi Stamenti, in seduta del 27 Marzo 1793, stabiliscono di inviare al re (Vittorio Amedeo III) una rappresentanza che lo illumini sul vero stato delle cose, e reclami sulle benemerenze alle quali hanno diritto i Sardi, e sugli impieghi che devonsi conferire ai medesimi.
6 aprile
Un decreto del Re Vittorio Amedeo III concede a Domenico Millelire la medaglia d’oro al V.M. (la prima della Marina Sarda) “per aver ripreso al nemico l’isola di Santo Stefano e per la valorosa difesa dell’isola della Maddalena contro gli attacchi della squadra navale della Repubblica Francese“.
23 aprile
“Dopo i saggi di attività, zelo e coraggio, che il Piloto nelle nostre mezze Galere in Sardegna, Giovanni Agostino Millelire ha dato da divedere in tutte le circostanze presentatesi pendente il corso de’ suoi servigi sui nostri Legni, e principalmente nel combatto seguito li 15 aprile 1787 tra la mezza Galera la Beata Margherita ed uno Sciabecco Barbaresco, ci riescono così particolarmente gradite le accertate testimonianze, che ce n’ha egli rinnovate nell’essersi con ben lodevole valorosa fermezza distinto nella difesa dell’Isola della Maddalena sua Patria contro la flotta francese, da cui venne attaccata nello scorso febbraio, che mentre lo abbiamo per mezzo del nostro Viceré fatto decorare d’una delle medaglie d’oro fattesi da noi coniare per distinto premio del comprovato valore, volendo inoltre con più estesi tratti della nostra beneficenza mostrargli la soddisfazione che ci risulta dai suoi portamenti, ci siamo degnati d’accordargli un trattenimento di annue lire duecento di Piemonte per goderne in aggiunta a quanto gli resta attualmente assegnato…Torino li 23 aprile 1793“
25 aprile
Con il suo “regio biglietto” Vittorio Amedeo III conferisce la medaglia d’argento e una ricompensa in danaro al timoniere Cesare Zonza, al capocannoniere Mauran e al marinaio Antonio Alibertini per le prove di coraggio fornite in occasione dello scontro con i franco-corsi. Ad Alibertini, il quale ha avuto il compito di arroventare le palle di cannone che tanti danni hanno inferto al nemico, è intitolata la Via che oggi unisce Via Galliano a Via Regina Margherita.
29 aprile
Gli Stamenti concordano su cinque fondamentali richieste al re e decidono di inviare una deputazione a Torino. Ne faranno parte l’avvocato Girolamo Pitzolo e il giurista Domenico Simonper il braccio militare, il canonico Sisternes e il vescovo di Ales Michele Aymerich per il braccio ecclesiastico, gli avvocati Sircana di Sassari e Ramasso di Cagliari per il braccio reale.
7 maggio
Lo Stamento militare delega D. Girolamo Pitzolo e D. Domenico Simon per presentare al sovrano, coi deputati degli altri Stamenti, le suppliche della nazione.
25-26 maggio
Gli spagnoli, sopraggiunti nei mari della Sardegna con una flotta di 23 navi e 6 fregate, sbarcano a Carloforte. L’isola di San Pietro viene restituita ai Savoia.
8 giugno
Il console inglese a Torino John Trevor, in un dispaccio datato 8 giugno 1793, si dice estremamente dispiaciuto del fatto che, nonostante i sardi si siano egregiamente difesi dal tentativo di invasione dei francesi, abbiano tenuto qualcosa del loro spirito di innovazione, il quale rischia di compromettere la presa sabauda sull’isola. Timori confermati da Michael Ghillini, console britannico a Cagliari che il 14 giugno si dice convinto che i sardi “di qualsiasi estrazione sociale” vorrebbero vedere il re piemontese ospitato in Lombardia, o in qualche altro posto. Una volta liberatisi dei piemontesi – prosegue Ghillini – i sardi cederebbero volentieri il regno a Giorgio d’Inghilterra, “cosi che il commercio sardo possa finalmente fiorire, dal momento che l’isola abbonda in grano, vino, miniere, corallo, tonnare, risorse che al momento vengono sfruttata da genovesi, corsi e siciliani con grande pregiudizio dei sudditi sardi”.
Torna l’invito all’occupazione della Sardegna, insieme all’esaltazione delle sue ricchezze e della felicita dei suoi approdi. Ma il governo britannico non ha nessuna intenzione di prendere il posto dei piemontesi. Prende in Sardegna tutte le misure necessarie ad arginare l’espansionismo francese, adottando la stessa strategia affinata per la Corsica, dove Pasquale Paoli attende con 15 mila uomini in armi l’arrivo della flotta inglese.
Del resto, nemmeno la Francia, già impegnata a contenere la rivolta corsa, avrebbe energie sufficienti a sostenere una nuova invasione della Sardegna. In un dispaccio firmato da un certo cittadino Souris nel 1794, l’occupazione francese della Sardegna e giudicata impossibile. L’autore della lettera ritiene preferibile lasciare il regno ai Savoia, assicurandosi che questi rispettino alcune condizioni, prima fra tutte la restituzione de La Maddalena alla Corsica. (La repubblica francese dovrebbe inoltre imporre ai Savoia che i grani, i bestiami e i legnami provenienti dalla Sardegna sotto bastimenti sardi o francesi siano esentati da tutti i diritti di esportazione nei porti di Sardegna, Nizza e Marsiglia; che tutte le merci provenienti dagli atelier francesi siano esentati dai diritti di import/export nei porti suddetti quando trasportati da bastimenti sardi o francesi; che i diritti di esportazione su buoi, formaggio, sale, da e verso i porti sardi e francesi non siano più della meta di quanto chiesto agli altri bastimenti; che le coralline corse non paghino più di 20 lire di Francia per gondola.)
Ormai l’intero periplo della Sardegna e aperto e non più sotto il controllo dello Stato.
Ma la guerra rivoluzionaria francese ha scardinato ovunque i vecchi equilibri europei, restituendo alla Sardegna e alle altre isole mediterranee la loro natura di luoghi aperti, sottratti al controllo dello Stato. Sono gli ultimi battiti di quel “ambiente umano e storico coerente” che ha giocato un ruolo fondamentale nel processo di reinvenzione delle geografie politico-istituzionali e sociali nel Mediterraneo alle soglie dell’età contemporanea.
19 giugno
Antoine-Marie Suzzareli, membro del governo provvisorio della Corsica e Thomas-André Celani sono eletti deputati nazionalisti della comunità di Bonifacio.
luglio
Lo storico della marineria Emilio Prasca riferisce che, l’allora capitano di vascello Horatio Nelson sarebbe approdato per la prima volta nell’arcipelago, al comando dell’Agamennone, nel Luglio 1793.
14 luglio
Ciò che è più giusto sottolineare nella storia di questi avvenimenti, è un fatto di estrema importanza e che fu mal interpretato dai francesi… a questo punto però bisogna fare una precisazione ovvero: il depositario dell’idea che portò i francesi a programmare l’invasione delle coste sarde fu un certo Antonio Costantini, corso, che con il suo accanimento di volersi impossessare a tutti i costi delle isole dell’Arcipelago, si adoperò a tal punto da paventare persino una rivolta da parte dei Bonifacini. Questi ultimi infatti, proprio in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia, il 14 Luglio, riunirono il Consiglio Generale di Bonifacio e deliberarono, all’unanimità, un’istanza indirizzata all’Assemblea Nazionale nella quale si ribadiva l’intenzione di… recuperare ed avere l’isola de La Maddalena ed adiacenti, alle bocche di Bonifacio…queste le testuali parole, e concludeva apponendo la loro assoluta fiducia al suddetto Costantini, quale loro rappresentante. Fu così che l’annosa questione sardo-corsa approdò su più vasta scala nelle mire della guerra contro il Piemonte. Costantini oltre tutto puntava il dito sul fatto che un piccolo contingente di uomini con qualche cannone, ben appostati in quei siti, potevano tener testa e precludere eventuali avvicinamenti delle loro navi alle coste della Sardegna, peraltro, insisteva anche sul fatto che i maddalenini, anch’essi di origine corsa, non avrebbero avuto alcuna remora ad unirsi all’altra sponda anzi, sempre a detta del Costantini, sarebbero stati lusingati a transitare sotto le insegne della Francia. Ecco: quest’ultima convinzione sottoscritta dal latore corso, stranamente, galvanizzò il direttivo delle operazioni nel conglobare anche la Sardegna nei piani di guerra. Ma cos’era avvenuto di così importante negli atteggiamenti dei maddalenini, tanto da non condividere le idee così innovative in quanto a libertà
10 agosto
La regia mezza galera Beata Margherita rientra in porto con la preda di un bastimento bonifacino.
31 agosto
Anche il Pontefice Pio VI, venuto a conoscenza della vittoriosa resistenza dei maddalenini contro “i senza Dio” della Repubblica Francese, si congratula “cum omnis regni incolis de egregio comparato Sardo nomini regnoque nunquam imperiture gloria”
13 settembre
Il Viceré scrive al capitano De Costantin: “S.M. si è degnata di accordare una giornaliera razione di pane alle vedove Caterina Ribaldi e Maria Zucchetta, che hanno perduti i loro mariti nel naufragio, occorso in questa primavera, della galeotta La Sibilla”
24 ottobre
Nell’Archivio di Stato di Cagliari, nel fascicolo n. 1 della sezione Affari Esteri, è contenuta una corrispondenza, con due lettere autografe di Pasquale Paoli, tra il Governo della Corsica e il Viceré di Sardegna, che ha una grande importanza per comprendere le relazioni tra le due isole. Il Paoli, in data 24 Ottobre da Murato di Nebbio scrive: “La vicinanza della Corsica, e della Sardegna prescrive ad ambedue la necessità del libero commercio; ora che tutti abbiamo li stessi nemici; ed ora che i vascelli delle Potenze Alleate approdano né porti liberi di Corsica, e vi sono amichevolmente trattati; io non vedo, Eccellenza, motivo alcuno che debba tenere per più lungo tempo interrotta la comunicazione fra la Corsica e la Sardegna; quindi La prego di dare li ordini opportuni perché i bastimenti con passaporto del Nazionale Governo, e bandiera Corsa, siano ricevuti a libera pratica, e traffico in Sardegna, ed altre isole vicine, assicurandolo della medesima reciprocità”. Con lettera in data 30 Novembre il Viceré assicurava di aver ordinato “ai Governatori, Comandanti e Alcaidi del Regno, che si faccia tregua alle ostilità, ed offerisco ai Corsi amici nei porti di questa Capitale, di S. Pietro, d’Oristano, di Alghero, di Castelsardo, di Porto Torres, della Maddalena e di Bosa, quel ricovero e quella sicurezza che l’E. V. mi chiede….”
29 ottobre
29 novembre
Il Cav. De Chevillard, comandante della flottiglia della Marina Sarda di stanza nell’isola , pressato da continue richieste di arruolamento da parte dei pescatori locali, alle quali non poteva accondiscendere, volle esortare i maddalenini a dedicarsi proficuamente alla pesca non solo dei prodotti ittici, ma anche di quella del corallo fino ad allora praticata quasi esclusivamente dai napoletani che, a quell’epoca, prima della costituzione del Regno d’Italia, erano pur sempre degli stranieri. “Secondo gli ordini che mi ha dato V.E – scriveva in una lettera del 29 novembre 1793 – ho vivamente rappresentato a questi isolani i vantaggi che procurerebbe loro la noncuranza con la quale lasciano i napoletani in possesso di questa attività. Essi mi hanno fatto notare che non ci sono attualmente nell’isola che bambini, o gente di una certa età, che tutti gli altri sono al servizio o navigano, e che era impossibile ad un uomo che non aveva appreso il mestiere di pescatore nella sua gioventù applicarsene in vecchiaia”. Le intenzioni del De Chevillard, tuttavia non furono malaccolte da coloro che vedevano nella pesca una possibile fonte di occupazione e quindi un proficuo investimento a livello armatoriale – nella stessa lettera difatti, egli comunicava al Viceré: “Qualcuno dei notabili, e tra questi il piloto Millelire, mi hanno comunque promesso che farebbero l’anticipazione della somma necessaria per l’acquisto di tutto il necessario per assicurarsi una pesca uguale a quella dei napoletani, che hanno i loro battelli carichi di reti di ogni tipo”. Il conforto dell’appoggio anche economico dei notabili isolani faceva dunque azzardare il De Chevillard ad avanzare al Viceré la sua proposta. “La verità delle osservazioni di questi isolani – proseguiva l’Ufficiale piemontese – le loro offerte e la necessità di dirigere verso questo mezzo di sussistenza una gioventù numerosa che bisogna occupare, mi ha suggerito un piano che io propongo all’attenzione di V.E.: Nei nostri equipaggi c’è un individuo chiamato Pauletti, di Capraia, marinaio mediocre ma abile pescatore e che sa fare non solo le reti, ma tutti gli altri attrezzi necessari alla pesca. Questi affiancato dal marinaio invalidi Volpe, napoletano e già pescatore, potrebbe essere incaricato di pescare e insegnare a qualche ragazzo. A Pauletti gli si accorderebbe u semestre a questi patti, che sarebbero prescritti anche all’invalido Volpe. L’esecuzione di questo progetto che ha molto gradito da tutti coloro che devono concorrervi, ci promette che in qualche mese si rivaleggerà con i napoletani che vengono in quest’isola e che in un anno si potrà anche superarli. Poiché si sono dati lunghi semestri per fini meno utili, io spero – concludeva il De Chevillard – che V.E. degnerà di onorare della sua approvazione un piano il cui successo è assicurato, e che non mi è stato dettato che dal desiderio di concorrere per quanto mi è possibile alle paterne vedute di V.E. ed alla utilità di questa colonia”.
3 dicembre
Da Torino il ministro Graneri, preoccupato per le agitazioni che hanno investito numerosi villaggi, suggerisce al viceré di «frenare in qualche modo» le prepotenze dei feudatari.