Correva l’anno 1794
La popolarità di La Maddalena è tale che nel 1794 i suoi abitanti diventano 867 distribuiti in 197 nuclei familiari.
Il nizzardo Marlié de Chevillard è comandante della squadra navale di stanza nell’arcipelago.
Progetto del viceré di Sardegna, Vincenzo Balbiano, riguardante il porto di Longonsardo, con istruzioni per due ministri patrimoniali e i vice guardia minore.
Sospinte dalle vicende cagliaritane, si rivoltano nel frattempo anche Alghero e Sassari.
Michael Ghillini scriveva a Torino il 30 maggio 1793 per informare che una flotta spagnola formata da 23 imbarcazioni di linea, sei fregate e uno sciabecco comandato dall’ammiraglio Borgia è giunta il 20 maggio all’isola di San Pietro. Gli spagnoli hanno preso immediatamente possesso di Sant’Antioco senza incontrare alcuna resistenza, dando al contempo tre giorni di tempo alla guarnigione francese di stanza in San Pietro. Alla scadenza dell’ultimatum i francesi si sono arresi, consegnando agli spagnoli tre fregate. Una volta riconquistate le due isole, l’ufficiale spagnolo le riconsegna all’ufficiale sardo inviato sul posto con la scorta di un’imbarcazione danese, incaricata del ritiro dei cannoni da San Pietro, dove viene lasciato un presidio difensivo. Sempre Michael Ghillini, si dice convinto che i sardi «di qualsiasi estrazione sociale» vorrebbero vedere il re piemontese ospitato in Lombardia, o in qualche altro posto. Una volta liberatisi dei piemontesi – prosegue Ghillini – i sardi cederebbero volentieri il regno a Giorgio d’Inghilterra, «così che il commercio sardo possa finalmente fiorire, dal momento che l’isola abbonda in grano, vino, miniere, corallo, tonnare, risorse che al momento vengono sfruttata da genovesi, corsi e siciliani con grande pregiudizio dei sudditi sardi». Torna l’invito all’occupazione della Sardegna, insieme all’esaltazione delle sue ricchezze e della felicità dei suoi approdi. Ma il governo britannico non ha nessuna intenzione di prendere il posto dei piemontesi. Prende in Sardegna tutte le misure necessarie ad arginare l’espansionismo francese, adottando la stessa strategia affinata per la Corsica, dove Pasquale Paoli attende con 15 mila uomini in armi l’arrivo della flotta inglese. Del resto, nemmeno la Francia, già impegnata a contenere la rivolta corsa, avrebbe energie sufficienti a sostenere una nuova invasione della Sardegna. In un dispaccio firmato da un certo cittadino Souris nel 1794, l’occupazione francese della Sardegna è giudicata impossibile. L’autore della lettera ritiene preferibile lasciare il regno ai Savoia, assicurandosi che questi rispettino alcune condizioni, prima fra tutte la restituzione de La Maddalena alla Corsica. (La repubblica francese dovrebbe inoltre imporre ai Savoia che i grani, i bestiami e i legnami provenienti dalla Sardegna sotto bastimenti sardi o francesi siano esentati da tutti i diritti di esportazione nei porti di Sardegna, Nizza e Marsiglia; che tutte le merci provenienti dagli atelier francesi siano esentati dai diritti di import/export nei porti suddetti quando trasportati da bastimenti sardi o francesi; che i diritti di esportazione su buoi, formaggio, sale, da e verso i porti sardi e francesi non siano più della metà di quanto chiesto agli altri bastimenti; che le coralline corse non paghino più di 20 lire di Francia per gondola)
3 gennaio
Le due mezze galere sarde (comandate da Chevillard e da Porcile, con molti maddalenini imbarcati come volontari) attaccano due bastimenti barbareschi nei pressi di Porto Vecchio. Uno di questi salta in aria per lo scoppio della santabarbara: feriti e ustionati vengono portati, in quarantena, a Santo Stefano, dove si improvvisa una sorta di ospedale e si costruisce un piccolo cimitero. Qui, nell’Ottocento, saranno seppelliti alcuni inglesi che il parroco maddalenino rifiutava di ricevere nella terra consacrata del camposanto del paese. Fra gli altri riconoscimenti ai combattenti, si ricorda la medaglia d’oro attribuita al comandante della galeotta La Sultana, Cesare Zonza.
“Nei mari di Corsica si coperse di gloria la squadriglia sarda, forte delle due mezze-galere, d’una galeotta e d’una gondola. Comandava la squadriglia e la Santa Margherita il cav. Vittorio Giuseppe di Chevillard, e la Santa Barbara il Porcile. Mentre i tre legni incrociavano nelle acque dell’isola della Maddalena, venne loro un avviso che due sciabecchi barbareschi corseggiavano in quelle della Corsica. Partirono dunque in caccia di questi e li raggiunsero, uno di diciotto cannoni e cento uomini, e l’altro di dodici cannoni e novantasei uomini. Il combattimento. durò dallo spuntare del Sole sino alle ore dieci antimeridiane del 3 gennaio; ed i Sardi conseguirono piena vittoria. Il più forte degli sciabecchi fu loro preda: un altro, equipaggiato in gran parte di Algerini e più ostinato nella pugna, dai Turchi stessi, che appiccarono il fuoco alla polvere, fu fatto saltare in aria. Questo incendio recò gran danno ai Sardi, dei quali sessantuno rimasero feriti nel conflitto o combusti, e di questi alcuni poco dopo perirono.” […] Le donne hanno avuto un ruolo importante in tante vicende della nostra comunità isolana, ma non restano del loro passaggio, che tracce vaghe, insufficienti per dare loro consistenza e identità. Una di queste vicende, vide sei donne chiudersi in una difficile quarantena per aiutare i loro mariti rimasti feriti e ustionati in un combattimento con i barbareschi. Il pur generoso comandante militare dell’epoca, sempre prodigo di riconoscimenti con i suoi uomini, identifica per nome altri che diedero il loro aiuto in questo frangente; per le donne dice solo che erano 6: non sapremo mai i loro nomi. Il registro parrocchiale dei morti della parrocchia di Santa Maria Maddalena riporta alla pagina 40 l’attestazione di un grave incidente in mare; la cura con la quale il viceparroco Luca Demuro, ne descrive i particolari (malgrado il latino del tempo gli consentisse a fatica di tradurre termini del linguaggio moderno come “galere” o “barbareschi”) è segno della profonda impressione che il fatto aveva provocato. “Il giorno 3 gennaio dell’anno del Signore 1794 nell’isola di La Maddalena. Stefano Bargone di Capraia, Gioacchino Marcegà, maltese, Antonio Sabatini, Giovanni Battista Capriata, bonifacino, Giovanni Zicavo, detto “Urzone” isolano, Mirabito siciliano, la tartana, Cavasso, Giovanni Antonio Morensis, e altri cinque di cui si ignorano i nomi, resero l’anima a Dio per morte violenta, in parte bruciati, in parte uccisi da armi nel combattimento fra le nostre Regie Navi presso la nostra isola dodici (…..) con i barbari tunisini (….) In due navi delle quali l’una fu catturata, l’altra completamente bruciata. Questo combattimento fu guidato da due nobili Don Vittorio Dechevillard, sabaudo e Don Vittorio Porcile, sardo. I loro corpi, cioè di Stefano, Giovani Antonio, Gioacchino, Foaggia e altri quattro furono abbandonati in mare, gli altri, cioè Giovani Zicavo, Giovanni Battista Capriata, Mirabito, Sabatini, muniti del sacramento furono seppelliti a Santo Stefano, nel cimitero costruito per l’occasione da Don Vittorio Porcile” . La mattina del 3 gennaio, infatti, presso le coste corse di Porto Vecchio, era avvenuto uno scontro violento fra le navi militari presenti in quel momento alla Maddalena e due sciabecchi barbareschi. Dopo la cattura del primo, durante l’abbordaggio che avrebbe dovuto far arrendere il secondo, un marinaio tunisino aveva dato fuoco alla Santa Barbara facendo saltare tutto in aria r e provocando un incendio che aveva sviluppato, rapidamente, legno, cordami, vele e persone. La giornata vittoriosa si concludeva drammaticamente: possiamo immaginare le azioni affrettate per limitare i danni e impedire il propagarsi delle fiamme, gli ordini concitati per far allontanare il relitto che bruciava, le grida dei feriti e ustionati, le voci dei soccorritori, l’affiorare dei cadaveri fra spezzoni della nave distrutta. Finalmente il rientro spiato da occhi ansiosi dall’alto della Maddalena, l’avvicinamento alla costa tanto da poter relazionare sull’accaduto, la notizia che volava come un fulmine, il dolore che dilagava nelle case le risposte alle prime, urgenti richieste di soccorso: servivano mani per curare, bende e stracci per pulire e fasciare le ferite. E intanto il triste corteo si allontanava verso Santo Stefano: infatti la prima preoccupazione del comandante era quella di trovare la migliore situazione per ricoverare e curare i feriti senza contravvenire alle leggi sanitarie, rispettando, cioè, la quarantena obbligatoria per gli equipaggi e e navi che venivano a contatto con i barbareschi. La Maddalena non era abilitata a far scontatela contumacia e quindi non era attrezzata (come invece lo erano i porti di Alghero e Cagliari) di lazzaretto dove ricoverare i quarantenari. Solo in casi urgenti (quali l’impossibilità di raggiungere i porti abilitati, avarie gravi o maltempo), le imbarcazioni interessate venivano portate nella rada più interna di Cala Chiesa: posto scelto anche in modo che si potesse controllare da terra l’osservanza del divieto di avere contatti e, nello stesso tempo, poter ricevere aiuti garantendo la salute pubblica. Ma mentre in quarantena a Cala Chiesa le 4 navi con i loro 400 uomini di equipaggio era impossibile: il corteo entrava a Santo Stefano nella cala di Villamarina, dove le mezze galere avevano il loro approdo abituale e lì finalmente tutti scesero a terra e contarono i danni e i morti, mentre dalla Maddalena partivano alcuni coraggiosi che accettavano di segregarsi in quarantena per aiutare nella difficile opera che si preparava: il chirurgo civile Alfonsi e sei donne isolane mogli di altrettanti feriti con i quali avevano scelto di dividere i disagi e speranze: portavano con loro lenzuola prese dal povero corredo familiare e forse poco altro. Difficile situazione da gestire: era pieno inverno, e il tempo era orribile; a Santo Stefano non c’era ricovero: esisteva solo un vecchio magazzino diroccato, costruito anni prima per custodire le provviste del distaccamento militare, assolutamente inefficiente. Fortunatamente all’interno c’erano delle tende: con un lavoro frenetico, tenendo come base le muratura del magazzino, tutto intorno si piazzarono le tende, si fissarono le vele delle imbarcazioni in modo da creare degli ambienti quanto più possibile riparati dal vento e dalla pioggia. Lì dentro vennero depositati i feriti più gravi mentre iniziava l’opera dei chirurghi. “Se S.E. vedesse i nostri feriti, diceva accorato Chevillard, e soprattutto le sfortunate vittime dell’incendio, il suo cuore sensibile e compassionevole fremerebbe di orrore e di pietà….. orrendo spettacolo che ha causato la sfortuna di tante brave persone”. Fortunatamente nelle stive dello sciabecco predato era stata trovata della cera e del miele e con quelli si iniziava a lenire le ustioni. Nei giorni immediatamente successivi il vicario generale di Tempio, il canonico Spano, inviava un carico di lenzuola per bendaggi. I marinai e i sodati rimasti illesi potevano girare per l’isola e, forse procacciare qualcosa da mangiare: le provviste, come al solito, scarseggiavano visto che negli ultimi tempi non era arrivato il carico previsto e quindi i malati potevano essere alimentati dalle scarse scorte di pane biscotto e forse, con qualche capo di bestiame presente nell’isola. Alcuni marinai e uno schiavo tunisino ebbero l’incarico di recuperare legna e acqua per il fabbisogno e un via vai continuo portava dalla fonte, aggirando il vasto stagno che in quella stagione doveva essere pieno, l’acqua per lavare e cucinare fino al magazzino. Il tempo continuava ad essere orribile, scarso il riparo contro il freddo; probabilmente mancavano materassi o sacconi; nella stagione invernale anche recuperare i pagliericci di foglie secche era difficile. Le donne condivisero i disagi e sofferenze, affrontarono i lunghi 24 giorni di quarantena accanto ai loro mariti a organizzare, umilmente, il lavoro dei chirurghi, sorrette dai due cappellani che portavano il loro conforto religioso ai sofferenti e le ultime benedizioni ai moribondi. Vedi anche: Combattimento contro i barbareschi nelle acque delle Bocche di Bonifacio
7 gennaio
Si decreta di concedere a Domenico Millelire un soprassoldo di 200 lire oltre alla Medaglia d’Oro già data in precedenza.
29 gennaio
Causa delle ferite riportate nel combattimento del 3 gennaio, muore a Santo Stefano il più anziano dei sottufficiali imbarcati nella Marina Regia, Salvatore Ornano, nome di battaglia Lo Spasso. I caduti in questa azione sono undici: i corpi dei primi, morti durante lo scontro, sono gettati a mare; sette sono seppelliti nel piccolo cimitero di Santo Stefano. (La ricerca dell’identità 1792-1794 Salvatore Sanna, La Maddalena 1997, pag 244 – 245. Nell’archivio della Parrocchia di Santa Maria Maddalena risultano gli atti di morte di: Antonio Sabatini, Capriata G.B. Di Bonifacio, l’isolano Giovanni Zicavo, il siciliano Mirabitu, tutti sepolti nel cimitero di Santo Stefano; inoltre persero la vita “La Fontana”, Cavassa, Giov. Antonio Morense, Stefano Bargone di Capraia, il maltese Gioacchino Maozegà, altri nove dei quali non si conosce il nome, quattro gettati in mare).
31 gennaio
A causa delle ferite riportate nel combattimento del 3 gennaio, muore a Santo Stefano il più anziano dei sottufficiali imbarcati nella Marina Regia, Salvatore Ornano, nome di battaglia Lo Spasso. I caduti in questa azione sono undici: i corpi dei primi, morti durante lo scontro, sono gettati a mare; sette sono seppelliti nel piccolo cimitero di Santo Stefano.
aprile
Nell’aprile 1794 la Maddalena aveva accolto la fregata San Vittorio che trasportava il viceré Balbiano espulso da Cagliari, e dato appoggio alla forza navale inglese per la conquista della Corsica. L’importanza dell’ancoraggio fu accresciuta dall’evacuazione della Corsica, dell’Elba e di Livorno nell’autunno 1796: già nel 1794 gl’inglesi avevano stabilito alla Maddalena un vice console (Garzia, poi il fuoriuscito paolista Giovanni Brandi), che di fatto assicurava la più completa autonomia dell’arcipelago dalle autorità cagliaritane e sassaresi. Nel febbraio 1799 Des Geneys fece una sosta a Cala Gavetta con la squadretta ritirata da Oneglia proprio per marcare la sovranità sabauda. Gli 800 abitanti erano però tutti dalla parte di Nelson, che consentiva loro di arricchirsi con il contrabbando e il vettovagliamento dei vascelli e fregate di stazione, che alla Maddalena si rifornivano di acqua e “merenda” (carne fresca, frutta e verdura). Si è inoltre supposto che, secondo la tradizionale prassi della marina inglese, anche le autorità della Maddalena (a cominciare da A. Millelire) fossero state “iniziate” alla massoneria. Nelson però non scese mai a terra, anche se fece omaggio alla chiesa parrocchiale di un crocifisso e 2 candelieri d’argento. Gl’inglesi non erano presenti quando l’arcipelago fu attaccato dai corsari nordafricani (1799) e dai fuoriusciti repubblicani (1802), ma Nelson considerava la Maddalena, dove tornò stabilmente il 30 ottobre 1803, il più bel porto del mondo e la chiave di Tolone e dell’Italia: aveva ribattezzato la rada di Mezzoschifo “baia di Agincourt” e giunse a scrivere al suo governo che la Sardegna valeva cinquanta o anche cento Malte. Incurante della sovranità sarda, chiese inoltre al governo di occupare la Maddalena con 200 uomini e di richiamare dalla Grecia il capitano d’artiglieria Leake per ispezionare segretamente le opere della Maddalena e di Cagliari e proporre gli opportuni rinforzi. L’importanza strategica della rada era però in funzione del blocco di Tolone: si trovava infatti a sole 200 miglia dalla base francese, un quarto della distanza tra Malta e Gibilterra, e, riparata dal vento, consentiva di salpare in ogni momento. La sera del 19 gennaio 1805 era in corso un ballo a bordo, quando la fregata di sorveglianza davanti a Tolone portò la notizia della prima uscita in mare di Villeneuve. La festa fu interrotta e Nelson salpò per dare la caccia al nemico, girando invano più volte attorno all’isola, ignaro che Villeneuve era tornato a Tolone. Fu così sorpreso dalla seconda uscita e non gli rimase che inseguire il nemico diretto verso la Manica per lo sbarco in Inghilterra. La rinuncia di Napoleone all’impresa e la distruzione della flotta franco spagnola a Trafalgar tolsero però alla Maddalena la sua funzione strategica e gli ammiragli succeduti a Nelson nel comando in capo del Mediterraneo dimostrarono di poterlo tenere anche facendo a meno della Sardegna.
1 aprile
Il sovrano decide sulle Cinque domande degli Stamenti: accolta quella per un Consiglio di Stato, le altre vengono sostanzialmente respinte.
3 aprile
Dispaccio Reale (Archivio di Stato di Cagliari) La medaglia d’oro fu consegnata al nocchiere Domenico, ma il beneficio economico fu per errore assegnato al fratello Agostino. Individuato lo sbaglio fu rifatto il provvedimento a favore di Domenico, che però ebbe la sgradita sorpresa di vederselo decurtare, dalle 300 Lire di Piemonte previste dal Dispaccio, a sole 200. I tempi per scoprire l’errore e le lungaggini burocratiche portarono la definizione del provvedimento economico solo il 7 gennaio 1794. Di questo atto siamo in grado di proporre la riproduzione del documento della Commissione reale all’Ufficio del Soldo. Oltre la questione della medaglia d’oro a Domenico, appare utile notare, a proposito di tale documento, che il timoniere Zonza decorato della medaglia d’argento è da intendersi Cesare, “patrone” della gondola Sultana. Fu Cesare, infatti, a supportare per il trasporto per mare dei pezzi Domenico Millelire e Mauran, e lo stesso Cesare guidò il manipolo che a Caprera evitò la discesa a terra dei franco-corsi. Sempre Cesare fu protagonista nella circostanza di cui si parla in seguito. La verifica dell’identità dello Zonza beneficiario della medaglia d’argento in questa circostanza la si ottiene anche da successivi documenti, relativi alla corrispondenza tra Cagliari e Torino, in cui le due Segreterie definiscono nei mesi successivi una promozione del timoniere Cesare Zonza al grado di secondo nocchiere.
28 aprile
Un furioso moto popolare caccia dall’isola i funzionari piemontesi e il viceré Balbiano. L’episodio che innesca la rivolta è l’arresto ordinato dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. La popolazione decide di allontanare dalla città il viceré e tutti i piemontesi che, nel mese di maggio di quell’anno, sono forzatamente imbarcati su una polacca veneta e rispediti in continente.
Il 13 maggio l’imbarcazione approda a Cala Gavetta alla Maddalena e i piemontesi si riuniscono in casa di Agostino Millelire, neopromosso piloto di fregata, per stabilire un piano segreto finalizzato alla controrivoluzione.
Sospinte dalle vicende cagliaritane, si rivoltano nel frattempo anche Alghero e Sassari. Vedi anche: 28 aprile 1794 – Sa die de sa Sardigna
4 maggio
Il primo aprile del 1794 quindi, arrivarono le decisioni superiori al viceré Balbiano nelle quali si ignoravano quattro delle cinque richieste e per dare il contentino, si accettò solo quella che chiedeva l’istituzione di un nuovo ufficio della Reale Udienza. A Cagliari, la notizia in breve si sparse, il malcontento e l’odio verso i Piemontesi diventò sentimento comune, i nobili, più delusi degli altri, iniziarono a tramare convincendo anche i popolani a unirsi alla protesta. Mentre si susseguirono riunioni segrete per decidere cosa fare, arrivò una lettera di Pitzolo che esprimeva il suo rammarico per il comportamento piemontese e prendeva atto dell’impossibilità di un dialogo con i governanti sostenendo che solo una reazione energica dei Sardi, li avrebbe convinti a trattare. La prova di forza contro i Francesi e l’inettitudine dimostrata dai funzionari e dai militari Piemontesi aveva convinto i nobili sardi che una insurrezione popolare non avrebbe incontrato ostacolo se ben organizzata. Si fissò la data della sommossa per il 4 maggio, giorno del rientro in città di Sant’Efisio, giudicata favorevole per i trambusto e la popolazione già nelle strade, ma il viceré forse informato dal traditore sempre presente in queste occasioni, dispose un rigido servizio di vigilanza ordinando che tutti i militari a disposizione fossero dislocati nei punti strategici della città. Balbiano, per precauzione e per timore di connivenze, non informò il reggente la reale Cancelleria né la Reale Udienza (istituzione con compiti di amministrare la giustizia), come avrebbe dovuto fare per competenza, e prese da solo l’iniziativa di arrestare i presunti congiurati. I rivoltosi, resosi conto che il loro piano era conosciuto dalle autorità decisero di anticipare l’insurrezione alla notte del 28 aprile di quel 1794. Il Viceré proprio il 28 Aprile 1794, prese tutti d’anticipo e decise l’arresto dell’avvocato Vincenzo Cabras e suo genero Efisio Luigi Pintor considerati capi della insurrezione. Al momento dell’arresto Luigi Pintor riuscì a fuggire ed al suo posto venne fermato, per errore, il fratello Bernardo, anch’egli genero del Cabras. Luigi Pintor in fuga percorse i quartieri di Cagliari e, al suono delle campane di alcune chiese per attirare l’attenzione, radunò in breve tempo una folla considerevole.
7 maggio
Il viceré e i 514 piemontesi, savoiardi e nizzardi arrestati nei giorni precedenti vengono costretti a imbarcarsi e sono cacciati dall’isola a furor di popolo. Nei giorni successivi Alghero e Sassari seguiranno l’esempio della capitale.
8 maggio
Durante il fallito attacco del vascello Thémistocle a Oneglia, il cavaliere de Chevillard diresse le batterie costiere. Un mese dopo era al comando della Beata Margherita (2° ufficiale Giacobi), in crociera con la Santa Barbara (Porcile e Barbaro), le galeotte Serpente e Sultana (tenenti Bistolfi e Zonza) e la gondola Sardina.
12 maggio
Sbarcano alla Maddalena una novantina di esuli piemontesi, cacciati giorni prima da Cagliari a furor di popolo. Fra di loro vi è il viceré Balbiano che confida sulla fedeltà dei maddalenini ai Savoia per realizzare un piano che prevede la “riconquista dell’intero Capo di Sopra” e lo spostamento della capitale del Regno a Sassari. Il piano non attecchisce e Balbiano parte per Livorno il 20 maggio.
20 maggio
Girolamo Pitzolo, di ritorno da Torino, interviene allo Stamento militare e con lungo ed eloquente discorso espone tutto il suo operato nella Deputazione. Loda il re per la sua benignità coi deputati: vanta l’ospitalità dei Piemontesi e la fratellevole affezione mostrata ai Sardi: dice però ire di Dio del ministro Graneri, e peggio ancora della moglie, dama sassarese, che fra gli altri pregi aveva avuto quello di abbandonare suo marito, tanto da far nascere, quasi una rivoluzione in Cagliari per la divisione e tiraggio dei palchetti nel civico teatro.
Il Pitzolo tornava da Torino colla carica di intendente generale, per lo passato riservata ai soli Piemontesi; a fronte che prima della partenza avesse fatto, dinanzi agli Stamenti, solenne giuramento di non accettare impiego alcuno né ricompensa dal Governo.
21 maggio
Ufficio Generale del Soldo – Provvedimento economico datato Torino 7 gennaio 1794 (Museo Navale di La Spezia) “Regolamento per il distintivo d’onore”; Nella corrispondenza tra Torino e Cagliari si rileva che nel dopoguerra tra Regno sardo piemontese e Francia repubblicana, sia in Sardegna con gli episodi di Cagliari, Carloforte e Maddalena che nelle Alpi, fu necessario definire una nuova regolamentazione per l’erogazione delle decorazioni ai bassi ufficiali ed alla truppa. Se ne sentiva il bisogno per una serie di ambiguità che si erano riscontrate sino ad allora. Nel testo che si riproduce nella solita appendice, tratto dalla raccolta ufficiale del Regno, si trova la conferma che la data della emanazione del “Regolamento” è successiva a quella della assegnazione delle medaglie dell’inverno precedente. Si nota, altresì, che i verbi sono tutti volti al futuro: «Consisterà il distintivo[…]. Saranno premiate le azioni[…]. Azioni di segnalato valore saranno riputate quelle[…]. Sarà riservato alle azioni personali[…]». È per ciò che le medaglie a quella data già assegnate, pur rimanendo intatto il loro massimo significato di riconoscimento di valore eroico, non rientravano nella regolamentazione successivamente definita da questo nuovo atto normativo. Questo “Regolamento”, quindi, è da intendersi quale intervento di razionalizzazione a quel momento storico della pratica, già esistente presso tutte le istituzioni militari del mondo ed in qualsiasi epoca, di riconoscere il valore militare con apposite decorazioni. Non può, comunque, essere inteso quale atto istitutivo per la prima volta della decorazione al valore militare.
2 giugno
La flottiglia dette la caccia a 2 sciabecchi corsari, raggiunti all’altezza dell’Isola Cerbicali. Uno (di 12 cannoni e 96 uomini) fu incendiato e saltò in aria. L’altro (18 cannoni, 6 spingarde e 70 uomini), comandato dal rais Mohamed Zii, fu preso all’arrembaggio, con 28 morti contro 7 e 75 feriti sardi. Cesare Zonza fu decorato di medaglia d’oro, anche in riconoscimento del valore dimostrato l’anno prima alla Maddalena. Ebbero quella d’argento i fratelli Millelire (nocchiero e piloto), il piloto Rossetti, i nocchieri Ornano e Sparro e tre marinai (La Fedeltà, La Pace e Fogli) che si erano gettati sullo sciabecco in fiamme per strapparne la bandiera. Promosso maggiore ma espulso dalla Sardegna a seguito del vespro antipiemontese del 28 aprile, Chevillard tornò nel continente al comando delle milizie nizzarde.
La Costituzione del Regno di Corsica. L’Assemblea Generale del Regno di Corsica, che aveva come Presidente Pasquale Paoli e come Re Giorgio III del Regno Unito rappresentato in Corsica dal viceré e governatore generale Gilbert Elliot, mentre il Presidente del Consiglio di Stato (Parlamento) era Carlo Andrea Pozzo di Borgo. La Costituzione del Regno di Corsica prendeva spunto da quella repubblicana del 1755 che aveva influenzato anche la Costituzione degli Stati Uniti completata nel 1787 e ancora oggi in vigore dal 1789. Entrambe le costituzioni erano scritte in italiano, dato che la lingua ufficiale della Corsica indipendente di Paoli era l’italiano. Il Regno di Corsica cadde nuovamente in mano francese il 19 ottobre 1796 e Paoli andò in esilio a Londra dove morì nel 1807.
30 maggio
I Piemontesi, 514 in tutto, si imbarcarono da Cagliari con le famiglie senza subire altra offesa che lo scherno dei popolani. In una nottata, tra il 28 e 29 aprile 1794, i Sardi dimostrarono quanto fosse facile liberarsi dei governanti sabaudi e quanto effimera fosse la loro occupazione. Gli Stamenti si affrettarono ad inviare al re un documento nel quale si sosteneva che la responsabilità dell’accaduto doveva essere attribuita al popolo in quanto massa, senza colpe di determinate persone e che lo stesso popolo rimaneva fedele al sovrano. Una chiara dichiarazione di fedeltà che faceva cadere ogni proposito d’indipendenza. Nel mese di giugno il re approvò l’istituzione del consiglio di Stato e la riserva degli impieghi ai Sardi, Pitzolo venne nominato Intendente Generale, Gavino Paliaccio governatore della città di Cagliari, Santuccio e Carroz di Sassari e Alghero. Queste nomine non vennero accolte favorevolmente dai notabili isolani che ancora una volta si videro scavalcati con decisioni prese unilateralmente e senza essere consultati. Nel mese di luglio arrivò il condono per la sollevazione del 28 aprile e con esso si accolse la richiesta di riunire gli Stamenti almeno ogni dieci anni.
15 giugno
La Corsica rompe ogni legame politico e sociale con la Francia. Paoli offre la Corsica agli inglesi, ritenendo che benefici di una protezione e di un’indipendenza relativa. L’Inghilterra ha allora alla sua testa il primo ministro, William Pitt, tenacemente antirivoluzionario, ed il re, George III. Il re d’Inghilterra diventa allora re di Corsica e nomina Gilbert Elliot, viceré. Le motivazioni allegate per giustificare la decisione erano numerose:
1) tirannide «che sotto il nome di libertà e di sicurezza» insanguinava la Francia;
2) disordini provocati in Corsica da una soldatesca indisciplinata che se la prendeva con la religione e gli onesti cittadini;
3) volontà dei rivoluzionari d’impadronirsi delle proprietà altrui e di abolire il culto;
4) atrocità commesse dai giacobini e minacce costanti alla religione e alla proprietà. Le denunce, anche se unite a diversi risentimenti, riaffermavano i principi del conservatorismo sociale e religioso: la difesa della proprietà e della religione erano significativamente evocate insieme.
25 giugno
Il re approva l’istituzione della terza sala della Reale Udienza, che dovrà assumere le funzioni del Consiglio di Stato invocato dagli Stamenti.
2 luglio
Viceré di Sardegna è Filippo, marchese Vivalda di Castellino dei signori di Ceva.
8 luglio
Rinnovando la promessa di amnistia per i fatti del 28 aprile, il sovrano raccomanda ai sardi di riservare un’adeguata accoglienza al suo nuovo viceré, il marchese Filippo Vivalda.
22 luglio
Il re accetta l’istanza della convocazione delle Corti e concede ai sardi il privilegio di nomina a tutti gli impieghi subalterni. Alcuni sardi, intanto, sono stati chiamati a ricoprire importanti cariche rimaste vacanti dopo la sollevazione anti-piemontese: Girolamo Pitzolo è nominato intendente generale, Gavino Cocco reggente la Reale Cancelleria, Antioco Santuccio governatore di Sassari e il marchese Gavino Paliaccio della Planargia generale delle armi e governatore di Cagliari.
15 agosto
Tumulti a Oristano per la mancanza di pane e viveri: come già era avvenuto per le analoghe agitazioni di Iglesias e Bosa, l’ordine sarà ristabilito con l’intervento delle truppe, inviate, questa volta, dalla Reale Udienza.
6 settembre
Nel mese di settembre 1794, cinque mesi dopo la nota sollevazione che portò alla cacciata dei Piemontesi dall’isola che oggi ricordiamo come “Sa die de sa Sardigna”, arrivò a Cagliari il nuovo Viceré piemontese, Filippo Vivalda, trovando un ambiente pervaso da nervosismi e indecisioni che rendevano indecifrabili le intenzioni e gli umori dei popolani e dei borghesi. Prima che l’alto funzionario arrivasse a Cagliari, il re, per dare il classico contentino, aveva nominato quattro notabili Sardi ad alti incarichi pubblici: l’avvocato Gerolamo Pitzolo, intendente generale delle finanze; Gavino Cocco, reggente la Real Cancelleria; Gavino Paliaccio Marchese della Planargia, generale delle armi; Antioco Santuccio, governatore di Sassari. Come richiesto dai delegati inviati a Torino con la petizione dei famosi cinque punti, era stato istituito anche un nuovo ufficio della Reale Udienza che aveva il compito di controllare gli atti ed il comportamento del viceré: i componenti scelti per questo nuovo incarico furono tutti sardi. Le nomine dei notabili sardi, specialmente quelle di Pitzolo e Paliaccio, furono subito contestate dal popolo, che si vedeva scavalcato perché nessuno aveva richiesto il suo parere. Si aveva il sospetto che il Pitzolo durante il suo soggiorno a Torino per la richiesta dei cinque punti al sovrano, potesse aver agito per interessi personali prescindendo da quelli dei Sardi, il marchese della Planargia veniva invece visto come un “filopiemontese” al servizio del sovrano e non del popolo. Si era poi sicuri che le concessioni e le nomine fossero dovute al particolare periodo di crisi dei Piemontesi che al momento non potevano contare su truppe sufficienti per imporre il proprio volere. Considerata l’aria poco salubre che spirava, Pitzolo si circondò di guardie del corpo, temendo evidentemente per la sua vita, mentre Gavino Paliaccio creò un contingente di pronto intervento, formato dai pochi soldati regolari e da numerosi miliziani, che posizionò nei quartieri popolari di Marina, Stampace e Villanova per prevenire eventuali colpi di mano. Passò un anno e la rivolta riesplose con l’uccisione dell’intendente Generale Pitzolo e del generale delle armi Paliaccio. Prendendo spunto da questi avvenimenti i feudatari logudoresi e la nobiltà sassarese con missive al Re cercarono di rendersi autonomi dalla città di Cagliari e dipendere direttamente da Torino. Per bloccare sul nascere la rivolta sassarese, i nobili cagliaritani sobillarono il popolino del Logudoro contro i propri padroni.