Correva l’anno 1919
Antoine Bidali è sindaco di Bonifacio.
Con i sussidi finalizzati al miglioramento delle condizioni economiche indebolite dalla guerra, si avviano importanti lavori di rimboschimento di pini a Caprera.
Commissario prefettizio è Carlo Manunta sostituito, dopo qualche mese, da Adolfo Cangemi che rimarrà in carica fino alle elezioni del 1920.
Il paese di Palau ha il suo primo veterinario.
Nasce la Società fra i Pescatori. In un’isola già ricca di società di Mutuo Soccorso (XX settembre, Montenegro, Cooperativa Caprera) nasce la cooperativa dei pescatori; Simpatizzanti socialisti erano alcuni dei primi operai sindacalizzati dell’Arsenale di Moneta, praticamente tutti gli scalpellini di Cava Francese, mentre fra i pescatori una vera e propria coscienza di classe si manifestò apertamente solo nel 1919, quando venne costituita la prima ‘Società dei Pescatori’ con lo scopo “di assicurare un sussidio ai soci ammalati e cooperare alla loro educazione e istruzione civile con ogni loro possa, venire in aiuto alle famiglie dei soci defunti, accordare al socio che ne farà richiesta un mutuo in danaro” (Cfr . ‘Statuto della società fra i pescatori della Maddalena’, La Maddalena, 1919) Primo presidente della Cooperativa fu Luigi Birardi di Alghero, padre di Mario che è stato negli anni Sessanta e settanta parlamentare del Partito comunista italiana e dal 1997 è sindaco della città, segretario Gennaro Grieco. soci (Di Fraia, D’Agostino, D’Oriano ed altri) in maggioranza provenienti dalla Campania o da Ponza. La ‘Società dei Pescatori aveva lo scopo “di assicurare un sussidio ai soci ammalati e cooperare alla loro educazione e istruzione civile con ogni loro possa, venire in aiuto alle famiglie dei soci defunti, accordare al socio che ne farà richiesta un mutuo in danaro” (Cfr . ‘Statuto della società fra i pescatori della Maddalena’, La Maddalena, 1919 – soci fondatori: Giammetta Francesco di Palermo, Di Fraia Giuseppe di La Maddalena, Del Giudice Vincenzo di Pozzuoli, D’Agostino Procolo di Pozzuoli, Faiella Vincenzo di Crotone, Orlando Pietro di La Maddalena, Vitiello Gaetano di Ponza, Giudice Giuseppe di Ponza, Grieco Gennaro di La Maddalena, De Roberto Gaetano di Torre Del Greco, Panzani Vittorio di Santa Teresa, Batti Luigi di Ponza, Aversano Pasqualino di Terranova Pausania, Doriano Vincenzo di Pozzuoli, Di Fraia Leonardo di Pozzuoli.) Era stata fondata anche una locale sezione della ‘Federazione dei Lavoratori del Mare’, un’organizzazione che, a livello nazionale era legata ai circoli repubblicani. Ancora oggi, a La Maddalena, in Piazza XXIII febbraio, nel palazzo che ospitava la sezione, è ancora visibile l’insegna . Probabilmente il sorgere della Società corrispose ad un felice momento di partecipazione, più viva che in altri tempi, dei pescatori alla vita sociale ed amministrativa di La Maddalena; assistiamo infatti negli stessi anni all’ingresso di un rappresentante della categoria in Consiglio Comunale; alle elezioni del 1920 venne eletto infatti, non a caso, Gennaro Grieco, già segretario della Società dei Pescatori. . Per conoscere nei dettagli le vicende storiche legate ai gruppi sociali a cui facciamo riferimento invitiamo alla lettura dei quaderni curati dalla locale sezione di Italia Nostra e pubblicati nella collana “contributo allo studio della comunità maddalenina”. Segnaliamo in particolare quelli dedicati a “Gli scalpellini di Cava Francese” e “Il mondo della pesca”.
Lo stesso anno, Suor Maria Elisa Gotteland ebbe la felice intuizione di realizzare, all’interno dell’Istituto San Vincenzo, un servizio che potesse andare incontro sia a quelle ragazze che, abitando nei piccoli centri e negli stazzi della Gallura, potessero frequentare le scuole esistenti alla Maddalena sia in alcuni casi a quelle “signorine”, figlie di agiate famigli militari che per motivi diversi avevano necessità di essere accolte in una struttura che ne garantisse adeguata vita ed educazione. L’ospitalità dell’Istituto San Vincenzo consentiva a queste ragazze di poter frequentare non solo le Elementari ma anche le Medie, l’Avviamento, il Ginnasio e più tardi le Magistrali. Un servizio di accoglienza al quale le famiglie affidavano le loro “giovinette” certe di metterle in buone mani. L’Educandato iniziò con tre ragazzine poi man mano il loro numero aumentò. Venivano dalle campagne di Palau, dal centro e dalle campagne di Arzachena, da Santa Teresa e Luogosanto. Venivano anche da Olbia, allora paesone più piccolo di La Maddalena, e anche da centri più lontani. Ovviamente si trattava di ragazze le cui famiglie, sebbene con sacrifici, riuscivano a pagar loro le rette. Che per le casse dell’Istituto giungevano assai preziose. In qualche caso particolare qualche ragazza, per le particolari condizioni familiari, veniva ospitata gratuitamente. A proposito della retta, questa non necessariamente veniva pagata in tutto o in parte in moneta. Capitava che potesse essere integrata, laddove non sufficiente, con generi di prima necessità, derivanti dall’agricoltura dalla pastorizia … Tutto ovviamente era buono per la grande famiglia delle suore vincenziane. Nel 1942-43 le educande erano ben 34, nell’anno scolastico 1956/57 furono 30. Fin dall’inizio ovvero da quando fu realizzata l’ala con la sopraelevazione, alle educande fu adibito il secondo piano al quale si accede entrando dal portone principale a destra. Lì si trovavano le camerette e i servizi e lì si trovavano i locali comuni dove si ritrovavano per studiare. Le educande avevano una loro divisa che era come risulta da foto d’epoca, da marinaiette. E dalla Regia Marina Militare molto riusciva ad ottenere la superiora suor Gotteland. Alle educande si dedicava, a tempo pieno, una suora che si avvaleva della collaborazione di qualche orfanella. Inizialmente ad occuparsi delle educande fu suor Angèle Valle, la suora artista, musiciste pittrice. Di loro si occupò anche suor Maria Luisa Sanna, tra gli anni ‘60 negli anni ‘70 ma colei che ancora si ricorda, come suora delle educande, è stata suor Caterina Salaris, che poi, dopo un trasferimento a Sassari tornò nel 1980 alla Maddalena per alcuni anni come superiora. Delle educande si occupò anche suor Maria Grazia Spanedda, poi trasferita a Roma. La vita delle educande all’Istituto San Vincenzo era naturalmente ispirata ai più autentici principi educativi e religiosi tipici delle suore vincenziane, un tipo di vita che specialmente negli anni successivi al secondo dopoguerra non sempre venivano graditi dalle ragazze ospitate. Oltre a studiare, naturalmente, alle educande venivano insegnate virtù quali la buona educazione, il cucito, la musica. Molte di quelle ragazze diventarono poi insegnanti o ricoprirono uffici pubblici. Diverse andarono all’università e si laurearono. Il servizio educandato si interruppe nei primi anni ’90 del secolo scorso. I tempi erano cambiati come anche la mentalità; c’era più libertà, anche per le ragazze, anche di movimento, i trasporti nettamente migliorati rispetto al passato consentivano di fare le pendolari e molte scuole, nei centri vicini, nel frattempo erano state aperte, anche superiori. Quando l’educandato dell’Istituto fu chiuso le ragazze ospiti erano meno di una decina. (C. Ronchi)
21 gennaio
Muore Francesco Dotto. Nel 1918, dopo la ritirata di Caporetto, le truppe italiane sono attestate in posizione difensiva oltre il fiume Piave. Si teme un’offensiva nemica che, se riuscisse, avrebbe la strada spianata verso Venezia e l’intera penisola italiana.
Mai l’Italia era stata così vicina al crollo.
Si dà fondo ad ogni risorsa, sia materiale che umana: i ragazzi della classe 1899, che al momento della rotta di Caporetto hanno appena compiuto 18 anni (qualcuno neanche quelli), vengono chiamati anticipatamente alle armi, la stessa Regia Marina fornisce un reggimento di marinai, destinato a combattere con la fanteria, nelle trincee fangose del Piave.
Due giovani marinai maddalenini, fanno parte di questo “Reggimento Marina” e presto faranno capire di quale pasta siano fatti gli isolani.
Uno di questi è il secondo capo Francesco Dotto, nativo di Porto Vecchio ma maddalenino per “amore” ed adozione. Ha ventinove anni ed una moglie che all’isola attende il suo ritorno. Essendo un veterano della guerra Italo-turca (1911-1912), nella calda mattina del 5 luglio del 1918, si offre volontario per una azione in territorio nemico, nel basso Piave.
L’altro è Pietro Varsi, maddalenino di nascita e 2° nocchiere della Regia Marina, la sua storia è molto simile a quella del precedente marinaio, sicuramente li lega un rapporto di amicizia, tanto che anche lui si offre volontario per la stessa azione, in quella mattina d’estate.
Si tratta di una missione molto pericolosa, una piccola pattuglia comandata da un ufficiale, dovrà penetrare nelle trincee austriache per raccogliere informazioni e prigionieri. Purtroppo però qualcosa non va per il verso giusto ed i soldati nemici individuano la pattuglia italiana. Una pioggia di fuoco si abbatte sui poveri marinai, che, in un impeto di estremo coraggio, si scagliano all’assalto a viso aperto. Il primo a cadere è l’ufficiale, che crolla al suolo investito dalle raffiche delle mitragliatrici austriache, dietro di lui Francesco Dotto assume il comando della pattuglia ed urlando incita gli altri all’assalto, ma è colpito ripetutamente da pallottole penetranti anche lui e cade al suolo.
L’altro marinaio maddalenino, Pietro Varsi, visto cadere l’ufficiale, segue l’amico Francesco nell’assalto, ma cadrà sul terreno con il corpo crivellato di numerosi colpi. Per lui la morte sarà immediata; Francesco invece, non avrà una morte rapida. Da La Maddalena partono per Venezia la madre, e la moglie Paoletta, che staranno al suo capezzale per ben 6 mesi, infatti l’agonia di Francesco si concluderà con la morte, solo il 21 gennaio del 1919.
Al ventiseienne Pietro Varsi viene concessa la Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria, al ventinovenne Francesco Dotto, la Medaglia d’Argento al Valor militare alla memoria ed un Elogio Solenne di Re Vitorio Emanuele III.
Terminata la guerra, tornata la pace, nel novembre del 1918 la città di Venezia, con una cerimonia in piazza San Marco, davanti ai resti di quello che fu il “Reggimento Marina” schierato, gli concederà l’onore di portare il nome del Santo patrono della città: San Marco.
Da quel momento in poi, quei marinai saranno per tutti e per sempre, i marinai del Battaglione San Marco!
5 febbraio
Nasce Romualdo Balzano – Ammiraglio; Insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare per la vicenda del Perseo. E’ nominato Padrino del corso Sottufficiali “Perseo” di Mariscuola La Maddalena. Arruolatosi in Marina nel 1938, ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno per 4 anni Nel corpo dello Stato Maggiore. E’ stato comandante della Squadra Navale, Comandante di Mariscuola Taranto, ha comandato Vari Uffici operativi del Ministero della Difesa Marina. Nel 1978 è diventato Comandante Militare Marittimo Autonomo in Sardegna, provvedendo a far trasferire Marisardegna da Cagliari a La Maddalena.
5 febbraio
Nasce Piero Pischedda, da una famiglia nobile di Tempio Pausania, parente del grande Poeta dell’800, dell’omonima cittadina gallurese, Gavino Pes. Dopo gli studi ginnasiali, trasferitosi a Cagliari con sua moglie, Nina Perrone di La Maddalena (parente del prosatore di piazza Gavino Contini), si laurea in Lettere antiche con una tesi sul Morgante Maggiore di Luigi Pulci che, inviata per scherzo alla romana Accademia dei Lincei, riceve l’ambito riconoscimento quale primo sardo – il secondo è l’Archeologo Giovanni Lilliu. Fin da giovane scrive Poesie che pubblica su riviste letterarie nazionali. Con un gruppo di Poeti sardi, durante gli studi universitari viene a contatto col Poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti a cui dedicherà, con lo stesso gruppo di Poeti e Pittori sardi, l’Aereo poema futurista. Quando, nei primi anni cinquanta, l’Associazione “Amici del libro” si trasferisce da Carbonia a Cagliari (presso la sala del Municipio nel Largo Carlo Felice), il Presidente Nicola Valle lo vuole accanto a sé come Vicepresidente, medesima carica ricoperta in contemporanea dalla Scultrice Anna Cabras Brundo. La sua passione per gli autori classici latini e per quelli stilnovisti lo porteranno a contattare la Società Editrice Dante Alighieri e ad organizzare presso gli “Amici del libro” le “Lecturae Dantis”. Risale al 1954 la prima raccolta “Trasmigrazione”. Sue Poesie, oltreché sui volumi pubblicati si trovano su riviste letterarie come “Il Convegno”, “Ausonia” e nel libro blu della Poesia italiana, che pubblicava lo scomparso politico Giovanni Spadolini.
23 febbraio
Una lettera conservata nell’Archivio parrocchiale, datata 23 febbraio 1929, proveniente da Genova (via Cessarotti 42) firmata da un certo “Ing. Susini-Millelire”, e indirizzata al canonico don Antonio Vico, con la quale il primo chiede al parroco l’invio di alcuni atti di nascita e di morte di alcuni suoi avi isolani (tra i quali quello della bisavola Maria Ventura Guidacciolo o Quidacciolu moglie del comandante Domenico Millelire, e di Pietro Millelire morto nel 1808) ci fornisce alcune notizie non solo sulla famiglia in questione ma anche sul Cimitero Vecchio, quello demolito nel 1948. “La nostra tomba di famiglia – scriveva l’ing. Susini-Millelire – era una volta nel mezzo del cimitero vecchio di La Maddalena. Molti anni addietro fu demolita, non saprei per quali ragioni, e tutte le salme che vi si trovavano – delle quali ho l’elenco – e fra esse quelle dei miei bisavoli predetti, furono raccolte religiosamente, in presenza di mio zio Pietro Susini Millelire e della di lui figlia, e collocate in una sola cassa nella tomba che porta la scritta “Famiglia Susini Millelire”, sempre nello stesso Cimitero. Forse ciò avvenne in occasione dell’ingrandimento dello stesso Cimitero (ma di ciò non sono sicuro) mentre pare certo che in tale occasione sia stata inclusa nel nuovo recinto del Cimitero, l’oratorio o cappella con altare, nella cui cripta trovasi la salma del comandante Agostino Millelire, fratello primogenito del mio bisavolo, nella quale cappella, prima dell’ingrandimento del Cimitero, si poteva accedere anche dall’esterno del recinto. Da documenti originali che ho qui del 20 gennaio e dell’11 agosto 1812, firmati da S.E. “E. Stanislao vescovo d’Ampurias e Civita” (mons. Stanislao Paradiso, ndc) risulta che lo stesso, mentre autorizzava il Vicario Parrocchiale della Maddalena (don Giovanni Battista Biancareddu, ndc) per la benedizione, “secondo rito” della cappella di cui si tratta, concedeva a detto Comandante lo “jus seppellendi (sic), nella medesima, per sé, i suoi eredi e successori in perpetuo. Ho pure qui una lettera del 22 novembre 1869 del “Rev. Cavalier Michele Mamia, Vicario Perpetuo”, che accenna a tale cappella ed alle celebrazioni ivi fatte da lui“.
18 marzo
Nasce alla Maddalena, Antonio Pierfederici, talvolta indicato come Tonino, è stato un attore italiano. Nel 1938 si trasferì a Roma per frequentare la facoltà di Giurisprudenza. Negli anni 1942 si iscrisse al corso di recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica; tra i suoi compagni c’era anche Vittorio Gassman. Dopo il diploma debuttò in teatro diretto da Luchino Visconti, all’inizio del 1945, nei Parenti terribili. Successivamente lavorò in svariate compagnie tra cui quelle di Laura Adani, Laura Solari, Sergio Tofano, Salvo Randone, Vittorio Gassman per approdare a Milano al Piccolo Teatro, scelto da Strehler per una lunga serie di spettacoli. Nel 1955 gli fu assegnato il Premio San Genesio, per la sua recitazione in Aspettando Godot, di Samuel Beckett. Il debutto nel cinema avvenne nel 1946 in Un giorno nella vita, diretto da Alessandro Blasetti, primo di una serie di circa 25 film in cui recitò sino all’inizio degli anni novanta. Particolarmente intensa la prosa radiofonica per la RAI dal primo dopoguerra e soprattutto quella televisiva sia nelle commedie sia negli sceneggiati.
29 marzo
Agitazioni e proteste in tutta la Gallura contro la decisione governativa di importare il sughero dalla Spagna.
25 maggio
Nuoro. Primo Congresso regionale dell’Associazione Nazionale Combattenti.
25 giugno
Si apre a Sassari una pubblica sottoscrizione per “Un aereo per l’esercito”.
29 luglio
Giacomo Pala, radicale, di Luras, presentò alla Camera dei deputati una proposta di legge molto importante per Arzachena e l’intera Gallura. La proposta era tanto semplice nella sua formulazione quanto rivoluzionaria nella sostanza: “Distacco della frazione di Sanatevi Maria di Arzachena da Tempio e sua costituzione in Comune autonomo”. Il lungo lavoro per l’autonomia dei fratelli Michele e Salvatore Ruzittu veniva raccolto nella sede istituzionale. Loro avevano presentato alla Camera una petizione per l’autonomia di Arzachena il 3 giugno 1912. Loro avevano clamorosamente vinto le elezioni comunali di Tempio del luglio 1914, eleggendo come sindaco Salvatore Ruzittu. Loro avevano riscattato tutti i galluresi degli stazzi contro la città, i poveri contro i ricchi.
Quel giorno lu pasturiu ebbe la sua gloria eterna. Tempio allora aveva – come ci dice il Censimento del 1921 – 6.282 residenti in città e 566 negli stazzi. Arzachena aveva 787 residenti in centro e 2.377 negli stazzi, in campagna, da Surrau a Monti di Mola, la futura Costa Smeralda.
21 agosto
Ponendo come prioritario il rapporto con La Maddalena, il Consiglio comunale di Santa Teresa, chiede che la SATAS sostituisca l’itinerario del suo autobus Santa Teresa-Bassacutena con quello Santa Teresa-Palau.
12 settembre
D’Annunzio e l’Ammiraglio Giovan Battista Tanca. Maddalenino, di modeste origini, ammesso alla Regia Accademia Militare, nonostante il padre non fosse ufficiale, perché questi, morto in guerra, si era distinto in particolari azioni di guerra. All’epoca della foto dell’Ufficio Storico della Marina, era Tenente di Vascello del “Calabria”. Tanca passa alla storia perché venne inviato con la squadra navale (lui comandava la “Dante Alighieri”) per convincere con le maniere forti Gabriele D’Annunzio e i Granatieri di Sardegna ad arrendersi. Ma dopo una serie di colloqui col poeta-soldato, il maddalenino Tanca, ritenendo valide le motivazioni per cui D’Annunzio e i Granatieri di Sardegna portavano avanti le loro rivendicazioni, si schierò al loro fianco. Il gesto clamoroso, galvanizzò i rivoltosi e in particolare il poeta, che guidò così un gruppo di circa 2.600 ribelli del Regio Esercito, da Ronchi, presso Monfalcone, a Fiume, città della quale D’Annunzio proclamò l’annessione al Regno d’Italia il 12 settembre 1919. Il tutto si concluse con la contromossa del Governo, che, per non perdere la faccia con gli Alleati, inviò l’esercito e finalmente, il 24 dicembre 1920 i ribelli dovettero piegarsi. Il gesto di Tanca non ebbe evidentemente conseguenze per la sua carriera, se riuscì a diventare Ammiraglio. Il Governo, infatti, sapeva benissimo che l’Italia era entrata in guerra nel 1915 anche per ottenere la Città di Fiume. (Tanca venne decorato di medaglia d’Argento al Valor militare per gli avvenimenti accaduti in Cina nel 1900 e di un’altra medaglia d’Argento al valore nel 1915, durante la grande guerra)
20 ottobre
Nasce a La Maddalena, da Pietro e Rosa Francesconi, la cantante Lia Origoni. Il ramo materno è di origine viareggina, gli Origoni sono invece tra le più antiche famiglie insediatesi sull’Isola fin dal 1776. La sua è una famiglia dove c’era una certa predisposizione per l’arte, infatti lo zio Giacomino Origoni era stato uno dei primi attori del cinema muto italiano. Il suo debutto risale al 1934 quando il tenore Bernardo De Muro, ospite a Caprera della figlia di Giuseppe Garibaldi Clelia, durante una commemorazione cantò di fronte alla tomba di Garibaldi. Dietro consiglio di De Muro e Clelia Lia lasciò lo studio del violino e si dedicò solo al canto. Nel 1938 vinse la borsa di studio del Teatro dell’Opera di Roma. Il 25 dicembre del 1940 Lia debutta al Teatro Valle di Roma nella Rivista Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri con Totò e Anna Magnani. L’anno seguente sempre in un lavoro di Galdieri E’ bello qualche volta andare a piedi sarà con Rabagliati, Delia Lodi, Tina Pica e Virgilio Riento. Nel 1940 aveva cantato nella Turandot di Giacomo Puccini con Tito Gobbi e Galliano Masini. Tra il 1942-43 Lia Origoni è a Berlino dove si esibisce nei teatri di Varietà del Wintergarten e della Scala. Dopo il 25 luglio 1943 Lia, in maniera rocambolesca, dalla Germania rientra in Italia. Torna a Roma, dove nel Quartiere san Lorenzo abitava la sua famiglia, e con questa si trasferisce a Monsummano Basso in provincia di Pistoia presso un suo zio. Ben presto Lia inizia a lavorare all’EIAR di Firenze dove incontra il maestro Pippo Barzizza. Poi viene scritturata all’Olimpia di Milano. Dopo il 1944 sarà a Venezia dove prende lezioni di recitazione da Memo Benassi e da Giulio Stival che gli propone la parte della femme fatale in Addio giovinezza! che va in scena al teatro Goldoni di Venezia. Con Stival a Milano rappresentano Sogni d’amore . Nel frattempo Lia trasferisce la famiglia a Rapallo e in quel periodo viene contattata da Macario, con il quale debutterà come ditta Macario-Origoni all’Odeon con Follie di Amleto. La ditta durerà molto poco e Lia viene scritturata al Teatro alla Scala di Milano nell’opera La Traviata nella parte di Flora con la regia di Giorgio Strehler. Nel 1948 Lia firmò un contratto con la RAI per una serie di trasmissioni radiofoniche in cui venivano cantate canzoni Folkloristiche di tutto il mondo, in quell’occasione conobbe Giorgio Nataletti che era stato il fondatore dell’Istituto per le ricerche etnografiche dell’Accademia di Santa Cecilia e che era membro dell’UNESCO. Nel 1949 studia le canzoni del cabaret francese dell’800. Nel 1950 fu al Teatro Sistina di Roma con Totò e nel Teatro San Carlo di Napoli dove interpretò la parte di Polly nell’Opera da tre soldi di Bertold Brecht diretta da Anton Giulio Bragaglia. Quando meno te l’aspetti, di Michele Galdieri, con Totò, Anna Magnani, Vera Worth, Lia Origoni, Mario Castellani, Gianni Cajafa, Harry Feist, musiche di Alessandro Derewirsky, regia dell’autore, Compagnia Grandi Riviste Totò di Remigio Paone, prima al Teatro Quattro Fontane di Roma, il 25 dicembre 1940.
16 novembre
Le elezioni politiche furono le prime del dopoguerra: in esse venne adottata per la prima volta la rappresentanza proporzionale con lo scrutinio di lista. Le profonde trasformazioni che la guerra aveva apportato nella cultura e nell’atteggiamento delle masse, rendendo attivi larghi strati prima passivi o supini rispetto al sistema clientelare delle classi dominanti, modificò radicalmente i modi della lotta politica e i termini dello scontro elettorale in Sardegna. Alle elezioni, che facevano seguito a un vasto movimento di agitazioni e scioperi operai, si presentavano due raggruppamenti nuovi: il Partito Popolare Italiano che, fondato all’inizio dell’anno, era la prima formazione politica autonoma dei cattolici, e contava soprattutto sulle due sezioni di Cagliari e Sassari; e l’Associazione Nazionale dei Combattenti che, muovendo da un rivendicazionismo radicale e da una critica intransigente dell’assetto politico prebellico, faceva partecipare per la prima volta in modo attivo e autonomo alla lotta politica larghi settori del mondo contadino e dei ceti medi agrari. Il PPI, che pure puntava su un rinnovamento della vita politica isolana e sulla rottura del precedente assetto clientelare, nella fase propositiva del programma ripeteva pedissequamente il programma nazionale e presentava ambiguamente nel collegio di Cagliari il Sanjust e lo Zirolia, che del vecchio clientelismo erano stati esponenti di punta. Il movimento combattentistico, forte della psicologia e della carica rivendicazionista dei reduci, rifiutava ogni alleanza con gli altri schieramenti e si proponeva come unico possibile artefice della ricostruzione. Più di ogni altro partito era diffuso e radicato nel territorio, anche se la lista, composta in maggioranza da avvocati, rifletteva il passato rapporto egemonico del ceto professionale sulle campagne: presentava inoltre la scomoda candidatura di Paolo Orano che, autore di quella Psicologia della Sardegna d’intonazione positivista e che a molti appariva addirittura razzista, fu facile preda degli strali polemici degli avversari. Il blocco liberale coccortiano era divenuto per tutti gli altri schieramenti politici il nemico da battere e, incapace di mantenere il controllo clientelare del consenso popolare in un momento di crescente iniziativa autonoma delle masse, risultava indebolito malgrado l’alleanza con i vecchi rappresentanti radicali. Indebolito appariva in questo momento anche il PSI, che sentiva il peso della defezione del Cavallera, candidatosi in Piemonte, sostituito nella leadership del movimento operaio del bacino minerario dal riformista Angelo Corsi, sindaco di Iglesias. I socialisti, che arrivavano alle elezioni dopo che negli scioperi minerari dei mesi precedenti avevano visto rafforzata la propria influenza, sconteranno nel risultato elettorale l’illusione che ai comportamenti rivendicativi della base dovessero corrispondere uguali comportamenti nelle urne. L’isola era divisa nei due collegi elettorali di Cagliari e Sassari (malgrado la richiesta fatta dai combattenti e dai socialisti per un collegio unico): a Cagliari furono presentate 6 liste (Partito dei combattenti, Partito Liberale Democratico, Partito Liberale Costituzionale, Partito Popolare Italiano, Partito Radicale, Partito Socialista), a Sassari le liste sono 7 (Partito dei Combattenti, Democrazia Radicale, Partito Popolare Italiano, Partito Socialista, Partito Liberale Costituzionale, Lista indipendente, Lista Pais Serra). I combattenti ebbero oltre trentamila voti ed elessero tre deputati: Mauro Angioni e Orano a Cagliari, il nuorese Pietro Mastino a Sassari. I popolari ottennero un’affermazione in media con i risultati delle regioni meridionali (12%: 12,4% in Sicilia, 10,5 nelle Puglie) rieleggendo il Sanjust. Gli altri partiti riconfermarono complessivamente tanto i dati quanto gli uomini delle consultazioni dell’anteguerra: a Cagliari su sette eletti cinque erano già presenti in Parlamento. Notevole tuttavia a Sassari l’affermazione dei radicali, che da soli ottennero la metà dei voti validi ed elessero gli avvocati Pietro Satta Branca e Francesco Dore. Grave fu l’insuccesso dei socialisti, che con 8316 voti nel collegio di Cagliari e 2817 in quello di Sassari non ebbero eletti e registrarono una delle percentuali più basse del Paese. L’affluenza alle urne fu del 55,5% nell’intera regione (media nazionale 56,6%), con punte massime a Ozieri (58%), Tempio e Nuoro (60,3%) e minime a Sassari e Cagliari.
8 dicembre
Dopo la prima guerra mondiale, l’antica società Ilva si ricostituisce e riprende le attività sportive. Manzoni, Cappai, Odilio Balata, Baffigo, Padua, Amato, Andolfi, Pocobelli, Bargone, Cleante Balata, Gana, sono gli artefici di una incredibile ascesa, a fine anno viene invitata a Sassari dove si svolge a un triangolare al quale prendono parte l’Ilva, la Torres e l’Amsicora Cagliari. La gara si giocò di fronte ad un folto pubblico assettato di football, nel campo di Piazza d’Armi, visto che ancora l’Acquedotto non era stato edificato, la Torres (in maglia rossa) e l’Ilva (in divisa bianca), si danno battaglia senza risparmiarsi. Le cronache della Nuova Sardegna raccontano di una vittoria torresina per 2-0, grazie a un gol di Mancaleoni e a un’autorete del maddalenino Castelletti. Il giorno successivo, però, i dirigenti dell’Ilva fanno pervenire al quotidiano una nota in cui rettificano il risultato: per loro il rigore di Mancaleoni non era valido e la gara si è conclusa 1-0. Dopo quella gara arrivarono due sconfitte per l’undici sassarese entrambe a tavolino, la prima nel campionato sardo del 1921 per forfait e la seconda nel torneo di terza divisione sarda 1928/29; in quella occasione in realtà i rossoblù vinsero sul campo per 1-0 con gol del giocatore/allenatore Leonida Bertucci (fu l’allora presidente sassarese Umberto Aperlo ad ingaggiarlo appositamente da una società satellite del Genoa col chiaro intento di dare una seria organizzazione alla sezione calcistica) ma la gara venne poi data persa a causa del ritiro della Torres dalla manifestazione.