CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1920

Viene fondata a La Maddalena, prima della Marcia su Roma, da una ventina di giovani, la sezione del Fascio di Combattimento. Ne furono i primi aderenti: Paolo Azzena, Giuseppe Barago, Angelo Benigni, Lino Bertorino, Angelo Carrusci, Edmondo Chirico, Cesare Dubbini, Mihele Giua, Giuseppe Lattanzi, Angelo Lissia, Domenico Moriani, Giuseppe Onorato, Battista e Gerolamo Ornano, Salvatore Pala, Angelo Peretti, Giuseppe Rotta, Giuseppe Sordino, Giovanni e Martino Serra.

Dopo le elezioni comunali del 26 settembre, Pietro Azara viene nominato sindaco di La Maddalena, ma ricoprirà l’incarico per un solo mese, da ottobre a novembre.

Andrea Quiliquini è sindaco di Santa Teresa. Ricoprirà l’incarico fino al 1921. Michele Todde è il nuovo parroco; ricoprirà l’ufficio fino al 1925; suo vice è Antonio Dau.

29 gennaio

La popolazione di Terranova (Olbia) saluta festante l’approdo del primo piroscafo, il “Città di Cagliari”, in servizio sulla linea diretta con Civitavecchia. Essendo lo sviluppo economico di un’isola strettamente legato all’efficienza dei collegamenti marittimi con il continente, l’approdo dei mezzi portuali di collegamento tra la Sardegna e l’Italia fu, nel corso dei decenni, motivo di contrasto tra Terranova (ora Olbia) e Golfo Aranci. La questione relativa alla contesa tra i due centri galluresi ebbe inizio nel 1881, anno in cui fu completato l’ultimo tronco ferroviario che collegava Chilivani con Terranova. Nella medesima occasione, la Compagnia Reale e il Ministero della Marina predisposero il prolungamento della strada ferrata fino al promontorio di Capo Figari dove sorse, presso la nuova stazione ferroviaria, il paesino di Golfo Aranci. Di conseguenza, per decisione delle autorità statali, nel 1883 fu trasferito l’approdo portuale da Terranova a Golfo Aranci.
Per un paese ancora piccolo come quello di Terranova, che nel 1881 contava solo 3.553 abitanti, il trasferimento dell’imbarco significava l’ostruzione di tutte le attività professionali legate al porto. Erano, infatti, molteplici le professioni che l’attività portuale garantiva. Ricordiamo, per esempio, la presenza degli ormeggiatori, degli impiegati doganali, della guardia di finanza, degli scaricatori.
Considerati, quindi, i mutamenti che il trasferimento dell’approdo portuale avrebbe potuto generare per quanto riguarda le attività professionali cittadine, il malcontento popolare non si fece attendere. Il primo a rivendicare le istanze della comunità di Terranova fu l’on. Giacomo Pala, figura forse poco rammentata in città, ma di elevato valore sia umano che politico. L’on. gallurese, portando la protesta sino in Parlamento, pose la questione relativa al porto di Terranova al centro della sua attività di deputato. Illustrò, punto dopo punto, quali erano le motivazioni che spingevano la comunità terranovese ad opporsi alla decisone statale. Oltre alla questione professionale, l’argomentazione principale era legata agli inconvenienti che si potevano riscontrare lungo la tratta Golfo Aranci – Civitavecchia, tratta in cui la navigazione dei piroscafi, sia postali che commerciali, era fortemente osteggiata dagli agenti atmosferici. Il forte vento, soprattutto se di ponente, rendeva difficoltoso l’attracco delle imbarcazioni alle banchine portuali. I piroscafi giunti da Civitavecchia, infatti, potevano attendere in rada anche per 10 o 15 ore fino alla cessazione del vento, generando quindi forti ritardi che andavano ad incidere sull’intero sistema commerciale e di trasporto dell’isola.
Di conseguenza l’on. Pala riteneva invece che, se impiegato lo scalo di Terranova, simili intoppi potevano essere evitati in beneficio non solo delle comunità limitrofe, ma di tutta l’isola che, sino a quel momento, riscuoteva le merci e la posta con sostanziale ritardo.
La battaglia incessante condotta dal deputato Pala, sostenuta inoltre dalla massa dei lavoratori della Camera del Lavoro di Terranova, dai socialisti e dai repubblicani, trovava però una forte opposizione da parte dei grandi proprietari terrieri rappresentati in Parlamento dagli onorevoli Cocco Ortu, Sanjust e Cao Pinna. Quest’ultimi, i potenti della borghesia regionale, ostentando una visione scarsamente complessiva dello sviluppo portuale in Sardegna, scongiuravano il trasferimento dell’attracco a Terranova, preferendo la concentrazione del traffico commerciale su Porto Torres. Erano in gioco interessi privati circa la gestione del sistema ferroviario, relativi ai contributi statali per le linee di navigazione e, soprattutto, agli interessi dei proprietari terrieri nella zona di Golfo Aranci. Come scriveva il giovane avvocato sassarese Mario Berlinguer (padre di Enrico), «la battaglia per Golfo Aranci è ormai il rifugio tipico di tutte le forme di brigantaggio politico ed economico che avvelenano l’isola nostra».
Lo scontro tra sviluppo e conservazione, comunque, fu aspro e lungo. Alla fine della Prima Guerra, dopo 37 anni di lotte e di promesse mancate, la situazione rimane invariata. La guerra, la fame, la disoccupazione e i sacrifici, però, spinsero i terranovesi ad intensificare la lotta per l’approdo, concepito oramai come unica via di sviluppo e di benessere sia economico che sociale. Nel settembre del 1919, infatti, i cittadini di Terranova formarono un Comitato di agitazione che si poneva come fine quello di coordinare la protesta, prendendo in considerazione l’utilizzo di ogni tipo di lotta, violenza inclusa. Dietro il grido di “oggi a qualunque costo”, Alessandro Nanni, Cesare Giorgini, Agostino Amucano, Stefano Linaldeddu, Franco Bergami, Pietro Spano Arturo Baravelli e Giovanni Sotgiu assunsero la guida del Comitato, preparando di fatto i cittadini alla riscossa.
Nell’arco di poche settimane dalla sua fondazione, il Comitato godeva di un forte consenso popolare. Considerato ciò e preso atto dell’incessante aria di rivolta che tirava a Terranova, la risposta del governo non si fece attendere. Fu così che vennero inviati nel centro gallurese forti contingenti di polizia, di carabinieri e di artiglieria. La situazione era tesa, pronta a sfociare nei fatti che segnarono il destino di Terranova.
Giunto il mese di dicembre, si passò definitivamente dalle parole ai fatti. Dopo decenni di lotte e di mancate promesse, i terranovesi presero in mano il proprio avvenire. In una notte stellata e poco fredda, quella tra il 23 e il 24, furono posti alcuni candelotti di dinamite sotto i ponti della ferrovia che portava a Golfo Aranci. In pochi dormirono a Terranova quella notte. All’alba della vigilia di Natale, la popolazione, allegra e animosa guidata dalla bandiera rossa della Camera del Lavoro, come riporta la Nuova Sardegna dell’epoca, si riversò in Piazza Regina Margherita dove si tenne un grande comizio che vide la partecipazione di tutta la cittadinanza, lavoratori compresi.
Terminata la manifestazione popolare, una lunga colonna di cittadini si diresse nuovamente verso la ferrovia dove furono sradicati, sempre con il sussidio della dinamite, i binari che collegavano Terranova con Golfo Aranci. Per ultima cosa, altri manifestanti assaltarono il treno che da Monti portava l’acqua nel paesino di Capo Figari. Le cisterne furono danneggiate e svuotate. Golfo Aranci non doveva bere.
Sfociati nella violenza, comunque, gli avvenimenti del dicembre del 1919 sancirono la vittoria della popolazione di Terranova. Il 29 gennaio 1920, dopo 37 anni di lotta, il piroscafo di linea approdava a Terranova, alla presenza di tutta la cittadinanza festosa e speranzosa in uno sviluppo portuale che, di fatto, si riscontrò nel corso dei decenni.

11 maggio

Le guardie regie uccidono i minatori in rivolta a Iglesias. Nelle miniere di Monteponi, San Giovanni e Campo Pisano, nell’Iglesiente, si respirava aria di tensione tra gli operai e la Direzione guidata dall’ingegner Andrea Binetti. Le condizioni di lavoro erano molto critiche e i salari bastavano a malapena per sopravvivere. Perciò, l’11 maggio i minatori decisero di scioperare contro l’intransigenza della Direzione che non ne voleva sapere di ascoltare le loro richieste. Dalla miniera di Monteponi partì un corteo di 2000 minatori (il direttore fu costretto da questi ultimi ad unirsi a loro) alla volta del Comune di Iglesias, con la speranza di poter parlare con l’allora sindaco Angelo Corsi in cerca di una soluzione. All’arrivo trovarono invece le guardie regie, schierate apposta per “prevenire eventuali tumulti”. Cominciarono così gli scontri e le guardie aprirono il fuoco sulla folla inerme degli operai, uccidendone cinque sul colpo: due morirono a causa delle ferite riportate e molti altri rimasero feriti. Il direttore della miniera e il sindaco di Iglesias furono risparmiati dai disordini perché messi in salvo anticipatamente. Ai funerali degli uccisi parteciparono migliaia di persone. Tanti furono i pretesti usati dalla Direzione per giustificare il massacro: uno fra questi fu quello secondo cui i minatori si accingevano a occupare le miniere e costruirci i “soviet”. Pretesti appunto, perché in realtà già qualche mese prima il Sottoprefetto aveva ordinato ai comandi dei Carabinieri di utilizzare “cittadini fidati” per azioni di repressione contro manifestazioni e scioperi degli operai. Un massacro dunque premeditato per tutelare gli interessi della direzione. Ma la determinazione dei minatori dopo il tragico evento non venne meno. Al contrario, dopo mesi di lotte sindacali, il 9 dicembre dello stesso anno l’associazione esercenti miniere non poté fare a meno di firmare l’accordo che concesse i diritti di base per i lavoratori: aumenti salariali, indennità di carovita e riconoscimento delle commissioni interne elette liberamente dagli operai.

30 maggio

Nasce nel capoluogo sardo un nuovo sodalizio calcistico, il Cagliari. Il presidente e fondatore si chiamava Gaetano Fichera ed i colori sociali scelti furono il nero e l’azzurro, le casacche rossoblù arriveranno solo nel 1926. La prima sfida ufficiale del neonato club cagliaritano si giocò l’8 settembre 1920 sul terreno dello “Stallaggio Meloni” contro la Torres. Il punteggio vide alla fine la netta affermazione dei padroni di casa col punteggio di 5 reti a 2. Protagonisti della clamorosa vittoria furono Figari con una doppietta, Cottiglia e Carlo Mereu. In seguito partecipò al Torneo Sardegna, al quale partecipavano formazioni ben più titolate quali l’Amsicora, l’Eleonora d’Arborea, l’Ilva di La Maddalena e appunto la Torres. A sorpresa l’ultima nata, guidata dall’allenatore-giocatore Giorgio Mereu, vinse il torneo.

2 giugno

Nell’Arsenale un incendio causa 200.000 lire di danni; sull’episodio è avanzata un’interpellanza parlamentare.

3 giugno

Nel giugno un violento incendio, favorito dal solito forte vento di maestrale, mandò in cenere a Caprera diversi ettari di macchia mediterranea e della giovane pineta che faticosamente veniva su, piantata nel 1906 dalla Regia Marina. Le fiamme risparmiarono casa Garibaldi ma grande preoccupazione ebbero Francesca Armosino, ultima moglie dell’Eroe, allora 74 enne (morirà tre dopo nel 1923) e Clelia, presente per il 2 giugno. Poco poterono contro le fiamme alimentate da vento le squadre di pompieri militari e le diverse compagnie dell’Esercito e della Marina.

2 luglio

Mentre Clelia e sua madre, Francesca Armosino, erano in procinto di partire per Livorno, a Caprera si scatenò un violento incendio. Le due donne, che si erano rifiutate di abbandonare l’isola, furono soccorse dall’intervento dell’equipaggio dell’Andrea Doria; dalla nave sbarcarono centinaia di militari, comandati dall’Ammiraglio Mola, che domarono l’incendio.

10 ottobre

Incontro amichevole Cagliari – Società Ginnastica “Ilva”. I biancocelesti maddalenini arrivano nel capoluogo con il treno diretto delle 10:00, l’incontro si gioca sul campo di viale Trieste alle 16:30. Conosciuto il valore dell’avversario, l’Ilva può andar orgogliosa della nuova vittoria riportata. Dalla accurata relazione del capo squadra riassumiamo così le fasi della partita svoltasi brillantemente alla presenza d’un numeroso e scelto pubblico nel vasto campo del viale Trieste. Iniziatosi il gioco alle 16:30 precise dopo appena tre minuti il nostro Bovone segnò il primo “goal” su passaggio dell’ala sinistra Fava. Al 13° minuto il Cagliari segna anch’esso un goal in chiara posizione do off side. Ciò vale a rianimare la forte squadra che infatti dopo soli altri due minuti di gioco molto movimentato riesce a segnare il suo secondo goal per ben tre volte parato dall’ottimo portiere dell’Ilva. Ma anche l’Ilva non perde tempo e segna subito anch’essa il suo secondo punto. Alla ripresa e dopo pochi minuti per un corner tirato da Fava, l’Ilva segna il terzo goal che decide la vittoria. Le squadre si schierano con le seguenti formazioni:
Cagliari: Bertari, Fiori, Mastio, Rocca, Mereu C, Levante, Figari, Coni, Puddu, Cau, Mereu G.
Ilva: Abis, Angioini, Dulbecco, Lisati, Amato, Zecchina, Casazza, Bovone, Memoli, Bodini, Fava.

novembre

Dimostrazioni popolari in tutta l’isola contro la scarsezza di generi alimentari.

21 novembre

Con una lettera diretta al generale Ricciotti Garibaldi, il presidente del consiglio dei ministri Giovanni Giolitti comunicava al figlio dell’Eroe: ”Illustre Generale, sono lieto di parteciparLe che, su mia proposta, in seguito alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, S.M. il Re, si è compiaciuta di nominarLa Conservatore della Casa di Giuseppe Garibaldi nell’Isola di Caprera. Nel rimetterLe copia del decreto mi è gradito confermarmi, Aff.mo Giolitti”. Con questo laconico messaggio veniva annunciato il tanto sospirato provvedimento che avrebbe finalmente consentito a Ricciotti di accedere liberamente a Caprera ponendo fine, almeno in parte, alla lunga diatriba sorta fra gli eredi che per anni aveva visto il figlio di Garibaldi escluso dall’isola di che fu di suo padre. Le ostilità fra i familiari di Garibaldi, aperte subito dopo la sua morte, sono passate prima alla cronaca a poi alla storia come le “beghe di Caprera”. La preziosa bibliografia sulla vita di Garibaldi nell’isola, pubblicata nel 1982 da Antonio Frau e Gin Racheli, riporta sull’argomento oltre cento notazioni di fonti letterarie, articoli e documenti sulle varie vertenze sorte tra Francesca Armosino e Clelia Garibaldi da una parte e Ricciotti dall’altra. Le schermaglie legali, di cui furono investiti la pretura di La Maddalena, il tribunale di Tempio, la corte d’appello di Cagliari ed infine la cassazione, furono riprese da quasi tutti i quotidiani e periodici italiani, spesso con interviste ed accesi interventi in prima persona dei protagonisti delle controversie e di vari personaggi che parteggiavano per l’una o l’altra fazione. Nella vicenda, anche i maddalenini, come emerge dalle corrispondenze dell’epoca, erano divisi in due fazioni: da una parte vi erano quelli favorevoli a Francesca, che arroccata a Caprera inibiva l’accesso nell’isola non solo a Ricciotti ed ai suoi familiari, ma anche a coloro che erano sospetti di essere amici della sua famiglia; dall’altra vi erano quelli che parteggiavano per Ricciotti la cui consorte Costanza si era sempre attivata a favore della popolazione con iniziative umanitarie e sociali. E le battaglie raggiunsero punte di tale intensità da provocare denunce, querele e persino sfide a duello, fino a far tuonare La Nuova Sardegna con un articolo del 18 e 19 settembre 1907 dal titolo “Caprera in carta bollata”. Dopo la morte di Garibaldi, Francesca Armosino aveva assunto il completo dominio di Caprera, estromettendone gli eredi del ramo Anita, con eccezione di Teresita, del marito Canzio e di Menotti, che in forza del codicillo vergato da Garibaldi il 1° giugno 1882, era stato nominato tutore dei minori Clelia e Manlio. A Ricciotti e agli eredi di Menotti era stato assolutamente vietato l’accesso nell’isola. Ricciotti, rimasto poi unico antagonista di Francesca, che, dopo la morte di Manlio, con atto del 4 giugno 1900, aveva acquistato la parte di eredità di Menotti e Teresita, oltre ad impugnare il testamento ed in particolare il codicillo che riteneva essere stato estorto in punto di morte, contestava la validità del matrimonio contratto da suo padre e quindi la legittimità della presenza a Caprera dell’Armosino. (A. Ciotta)

1 dicembre

Consapevoli dell’importanza sempre crescente del turismo balneare, l’amministrazione comunale di Santa Teresa delibera di far pagare ai bagnanti una tassa di soggiorno con la quale finanziare la costruzione della strada per la spiaggia.

25 dicembre

Si conclude la trionfale tournée americana del tenore sardo Bernardo Demuro. La stampa statunitense lo osanna come uno dei più grandi cantanti di sempre. La sua voce viene addirittura definita come “la più pura, la più bella, la più possente che mai abbia avuto sede in ugola umana”.