Da Cava Francese a …..
Si deve alla sezione maddalenina di Italia Nostra A mimoria d’a petra uno studio fra i più completi che siano stati pubblicati sugli scalpellini e la vita di Cava Francese. Ai rappresentanti di questa associazione in modo particolare a Giovanna Sotgiu Battaglia che ha curato i testi, dobbiamo il ringraziamento più grande per il lavoro fatto (e per quello che stanno continuando a fare per far conoscere alcuni aspetti della comunità maddalenina) e per la possibilità che ci viene data di divulgarlo con questa pubblicazione. Si tratta di un lavoro che Italia Nostra ha fatto “prima che anche i ricordi dei vecchi scompaiano” raccogliendo testimonianze, foto e documenti inediti che danno un quadro se non completo, comunque sufficiente, per capire e conoscere uno degli eventi economici più significativi dell’arcipelago. La storia affonda la sue radici nel lontano 1860, quando ancora non era neppure ultimata l’unità d’Italia e ha conosciuto negli anni Venti e Trenta il suo maggiore splendore, prima del progressivo declino culminato con l’abbandono non solo della mitica cava di Cava Francese e altre più piccole aperte nella zona di Santo Stefano, ma della stessa professione. Professione che si era andata “perfezionando”, verso il 1890 (in quegli anni venne istituita la piazzaforte marittima a La Maddalena), da operai provenienti dalla Toscana, dall’Emilia. dal Piemonte e dalla Lombardia, regioni dove il clima politico (si cominciava a parlare di Socialismo) si respirava a pieni polmoni e dove la grande industria aveva dato vita ad una classe operaia organizzata, anche se non ancora estesamente sindacalizzata. Questi operai che erano fabbri, scalpellini tagliapietre, falegnami, con la professione importarono anche le prime idee del socialismo e dell’anarchismo che sempre, in seguito, ha contraddistinto la categoria degli scalpellini sardi nella quasi totalità.
La cava di Cava Francese rimase in piena attività per circa mezzo secolo. Si deve all’ing. Bertlin, inglese, l’affermazione, a livello nazionale. del granito maddalenino. Sotto la sua guida Cava Francese condusse a termine forniture importantissime. Fu in quell’epoca (siamo alla fine del 1800) che una commissione governativa scelse il granito di la Maddalena per la costruzione del Ponte Palatino e dei bauletti e zoccoli del lungo Tevere in Roma. “La qualità certo superiore del granito di Cava Francese andava affermandosi, ed anche la Società di Risanamento con sede a Napoli ne commissionava a Bertlin molte centinaia di metri cubi, che furono specialmente usati nel Palazzo della Borsa. negli edifici di Piazza Depretis e via Duomo. Il Genio Militare e quello Marittimo, furono concordi nel preferirlo e prescriverlo per la costruzione del Bacino di Carenaggio a Taranto e per le opere di difesa dell’Estuario della Maddalena.”
Deceduto l’ing. Beitlin le cave furono prese in affitto (ma presto ne divennero proprietari) dalla ditta F.lli Marcenaro & Grondona. Era il primo maggio del 1898.
Il merito dei nuovi proprietari fu quello di essere riusciti ad impiantare “in quella sterile plaga della dimenticata Sardegna” la più importante industria estrattiva dell’Isola, ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, insuperata sia per numero di operai occupati, sia per la mole davvero notevole, di ordinazioni e lavori in Italia e all’estero.
Una delle forniture più grosse riguarda in quel periodo (1905) il bacino di carenaggio del Regio ammiragliato inglese di Malta. Si tratta di una fornitura pari a tredicimila metri cubi di granito, ordinati dalla ditta inglese Pearson & Son Limited di Londra. A questo seguirono anche quello di Venezia (1912-16, mc 5.500) quello di Taranto (1911-16 mc. 1750), il porto di Alessandria d’Egitto. quello di Tripoli Italiana, di Porto Said, di Genova.
Migliaia di tacchi – si scrive nella pregevole pubblicazione di Italia Nostra – lavorati per pavimentazione stradale furono inviati a Genova, Napoli, Roma; pezzi speciali per ponti, banchine, edifici. furono approntati per varie città d’Italia. Ma il granito di Cava Francese fu adoperato felicemente anche per monumenti commemorativi come la colonna Garibaldi a La Maddalena (1907); il monumento a D. Guzmao a Santos (Brasile), realizzato dall’architetto Mazza di Genova (1920-25); il monumento ai caduti di Castelletto e di Arquata Scrivia; la tomba di Clelia Garibaldi e della cavalla Marsala ed infine il grandioso monumento eretto a Ismalia (Egitto) per ricordare la difesa del canale di Suez, progettato nelle varie fasi, dagli architetti Roux-Spitz (1925-26) e Delamarre (1929), composto da due grandi piloni poggiati su tre basi sovrapposte, per un’altezza totale di cinquanta metri e una lunghezza 240, e di due figure alte nove metri simboli della “force mise au service de la civilisation”.
Per avere un’idea del lavoro che gli scalpellini di Cava Francese hanno dovuto fare, riportiamo un articolo comparso nella rivista Marmo, Pietre, Graniti del maggio 1930. “Il 3 febbraio venne inaugurato ad Ismalia sul Canale di Suez, il monumento che la Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez, volle colà erigere in commemorazione della difesa del Canale e specialmente degli attacchi sferrati alla grande via d’Oriente il 3 febbraio 1915 dall’esercito turco, attacchi sanguinosi che furono vittoriosamente respinti dalle armi francesi e inglesi. L’opera fu aggiudicata in seguito a concorso all’architetto Michel Rozlx Spitz di Parigi, Primo Gran Premio di Roma.
Essa fu progettata per esser innalzata sul Dyebel Mariam, un’altura di circa 28 metri di altezza e di 500 metri di lunghezza sulle rive del Iago Timsab di fronte a Ismalia. Questa altura servì magnificamente come formazione del grande zoccolo del monumento, si accede alla sua sommità dalle rive del lago per mezzo di due vasti piani inclinali di circa 600 metri, sostenuti da un gran muro lungo 260 metri. Il monumento consiste in due enormi pilastri posti su di una base quadrangolare di metri 24×24 avente m 2, 70 di altezza, contornata da un bordo, e poi da una scarpata di m 60 di lato. Ai piedi dei due piloni che formano il motivo centrale del Monumento, messi sulla stessa fronte e divisi tra loro da uno spazio di metri 1, 50 si ergono due figure alate, rappresentanti una l’Intelligenza portatrice della fiaccola, l’altra la Forza posta a guardia dei destini del Paese: simboli ambedue delle volontà che salvarono il Canale durante la Grande Guerra. Alla fenditura che sta tra la due statue e i due piloni si arriva per mezzo di una scalinala, che ha inizia alla base della scalinata. Le due figure ideate dallo scultore Raymond Delamarre pure di Parigi, altro Gran Premio di Roma. L’opera d’arte si intona alla stile egizio e quindi all’ambiente in cui fu costruita ed è stata eseguila tutta in granito. La Società Esportazione Graniti Sardi di Genova che da 30 anni esercisce le Cave di Granito di sua proprietà, di Cava Francese (Isola della Maddalena — Sardegna) e dalle quali proviene il bel granito grigio-rosa, ormai rinomato in Italia ed all’Estero, venne a conoscenza nel 1925 che si stava per iniziare questo grandioso monumento. Essa offerse il suo materiale all’architetto ideatore signor Michel Raux Spitz e alla Compagnia del Caizale di Suez. Dopo le prove e le analisi dei campioni presentati dalla Graniti Sardi questo granito venne prescelto fra tutti gli altri. Il 23 agosto 1926 veniva firmato il contratto per la fornitura dei conci lavorati della base e dei piloni. e il 24 dicembre 1927 quella per la fornitura dei pezzi lavorati delle statue. Il 29 gennaio veniva effettuato nel piccolo porto della Società di Cava Francese il primo carico del materiale sul vapore “Luisa” di 1400 tonnellate ed il 14 maggio 1929 nel tempo previsto e pattuito per il completamento della fornitura, veniva eseguito l’ultimo sul vapore “Adone” di 600 tonnellate. Per tutto il lavoro assunto occorsero circa 5000 conci di granito del peso complessivo di 4730 tonnellate. Il muro di sostegno delle rampe è stato eseguito in conci lavorati dalla punta grossa con una tolleranza di 15 mm nei rilievi, questi blocchi hanno un’altezza minima di 0,80 ed una larghezza minima di 1.20. In tali conci si fece l’iscrizione “1914 – Difesa del Canale di Suez – 1918″ in lettere di metri 1,50 d altezza. Ogni lettera e contenuta in un sol blocco e incisa in con 0,10 di profondità. Il bordo della scarpata è stato fatto in pezzi di 0,40 di larghezza ed il bordo della piattaforma attorno alla base in pezzi di m 0, 50. La base del motivo centrale é stata eseguita in blocchi di m 0,70 e 0.50 di altezza alternati, con un basamento superiore in lastre di m 0,16 di spessore. I conci dei bordi e della base sono stati lavorati alla punta grossa con rilievi di 10 mm. I due piloni hanno un’altezza di 38 metri dalla base e una dimensione che va da metri 10,10 x 6,85 alla base a metri 4.32 x 3,85 nella sommità. Le tre facce esterne di ogni pilone sono rastremate, quella interna è verticale. I piloni sono stati formati da corsi, che vanno diminuendo gradatamente nell’altezza dal basso in alto, e cioè i conci del primo corso hanno un’altezza di m 0,70 e quelli del l’ultimo di m 0,50; lo spessore di essi va pure diminuendo proporzionalmente da m 0,80 a 0,60. La lavorazione di questi pezzi fu eseguita nelle facce viste alla punta mezzana con rilievi di 8 mm, I piani di posa sono a perfetto combacio ed hanno una tolleranza di sotto squadro di 0,05. La copertura dei piloni è stata fatta con lastre di 0.12 dl spessore sovrapposte ad esso delle tegole. Gli spigoli dei conci hanno una scalpellatura di 0,02. Nello stesso modo furono lavorati i gradini della scala d accesso. I pezzi forniti per la base dei piloni, furono in totale 4589 per un importo di metri cubi 1798. Le due statue alate sono formate dai due zoccoli interni, dalle due figure e dalle due ali. Gli zoccoli sono stati fatti in quattro corsi. I blocchi per la formazione delle figure e delle ali furono scolpiti da provetti scalpellini della Graniti Sardi secondo i disegni di allestimento ed i bozzetti a metà grandezza preparati dallo scultore signor Raymond Dellamarte. Sotto la direzione dello scultore e del signor Guerin dello studio dello scultore stesso e con la sorveglianza della Dirigenza delle Cave e del Gerente della Società Graniti Sardi sig. Attilio Grondona, le due grandi statue furono eseguite in modo perfetto. Ogni statua ha l’altezza dl circa metri 9 ed è composta da vari pezzi formanti sei corsi. Sono state preparate nell’hangar appositamente costruito alle Cave. La lavorazione è stata eseguita alla punta fine su tutte le parti viste e sui letti di posa. ll numero dei pezzi costituenti le due figure fu complessivamente di 142 per un totale di metri cubi 200 il peso di ogni pezzo variò da 3 a 8 tonnellate, la testa con la sommità del busto di ogni figura modellata in un sol blocco. Tutti i pezzi del monumento sono stati accuratamente imballati ed inviati a Djbel Mariam (lsmalia) dove vennero messi in opera dai Servizi Tecnici della Compagnia del Canale di Suez. Tutta la fornitura venne allestita con la massima precisione secondo le norme dei severi contratti stipulati e la Compagnia del Canale dichiarò Società Italiana la sua piena soddisfazione per le lavorazioni, la bontà e la bellezza del granito consegnato. Il monumento testé inaugurato costituisce una pregevole e gigantesca opera d’arte ed è vanto dell’organizzazione tecnica di una importante e tipica industria italiana quale è quella dell’estrazione e lavorazione del granito. Questa rilevante fornitura di più di 2000 metri cubi di granito lavorato fatta all’estero sta a dimostrare quali possibilità di esportazione si possono schiudere all’industria del granito, specialmente quando si tratto di materiale ottimo dal punto di vista della finezza e della resistenza, quale è quello prescelto dalla Compagnia del Canale nelle cave dell’Isola Maddalena.
E sulla bontà e la durata del granito presentato quasi come materiale eterno, puntava la dirigenza di Cava Francese per accaparrarsi il maggior numero di forniture possibili. Nel 1932 una verifica operata su un massello prelevato da via Balilla in Genova (messo in opera nel 1873 all’epoca delle prime forniture), rilevava che, malgrado il logorio al quale era sottoposto, le dimensioni del pezzo, dopo 60 anni, erano ancora quasi le stesse. Si legge nella pubblicizzazione di Italia Nostra :”furono anni di lavoro intenso per il quale gli operai presenti a La Maddalena, formati dal primitivo nucleo di continentali, venuti attorno al 1887, non era più sufficiente si assistette cosi ad una seconda immigrazione di lavoratori che venivano da zone ben identificabili della Toscana (Sambuco Pistoiese, ad esempio, patria della numerosa famiglia Nativi che ancora a La Maddalena viene indicata come quella degli scalpellini per antonomasia ed è anche quella che sino ad oggi ha esercitato la guardiania degli impianti dismessi) e della Liguria (Levanto, patria dell’altrettanto ben numerosa famiglia Del Bene). Di questo secondo nucleo fanno parte i più celebri scalpellini del tempo, Merlo e Margutti, veri maestri scultori, abili non solo nella lavorazione, ma anche nella creazione di forme, nella realizzazione di oggetti che i nostri pur bravi scalpellini guardavano con ammirazione”.
L’indice che l’attività estrattiva rappresenta per La Maddalena il volano economico è confermato dalle cifre che riguardano la popolazione. Al censimento del 1891 il centro contava poco più di 2.000 anime, quasi completamente dedite alla pesca e allo sfruttamento intensivo di quei piccoli brandelli di terra buona, appannata fra i massi granitici e riparata dalla sferza dei venti. Vent’anni dopo, nel 1911, la popolazione era addirittura quintuplicata: si contavano infatti 10.500 abitanti; era l’effetto di una accoppiata di vaste proporzioni e ripercussioni socioeconomiche dovuta all’apertura delle cave che producevano a ritmo industriale e alla realizzazione dell’arsenale (1907) e delle altre strutture militari dell’arcipelago. A partire dunque dall’inizio del secolo l’attività estrattiva delle cave andò quasi costantemente aumentando di quantità, ed anche la qualità delle lavorazioni assunse aspetti più artistici mentre miglioravano a poco a poco anche le acquisizioni tecniche e le strutture logistiche. Il miraggio di Cava Francese attirò in quegli anni numerosi scalpellini galluresi e numerosi furono i manovali, forgiatori. tagliatori e taccatori che giunsero dal resto dell’isola. D’altra parte anche la paga era buona per quei tempi (nel 1902 un operaio aveva una paga di circa 165 lire al mese) e il lavoro garantito. Ricordava Pasquale Serra, proprietario di cave e industriale del granito, “erano gli scalpellini i maggiori clienti delle macellerie della Maddalena“.