Dal litigio sulla peste al litigio sul diritto di proprietà
Ancora una volta il commissario bonifacino Pallavicini si fece parte diligente e condusse una propria inchiesta che produsse la verbalizzazione, il giorno 8 agosto del 1728, di tre testimonianze pressoché univoche rispetto l’utilizzo remoto e recente delle isole Intermedie da parte di bonifacini e di pastori corsi alle loro dipendenze. Il primo testimone fu l’ottantaquatrenne Simone Lantero che dichiarò che gli risultava che le isole, sebbene frequentemente assalite dai turchi con prede di uomini, donne e ragazzi, erano state abitate e utilizzate per pascolo da bonifacini e dal loro bestiame custodito da pastori alle loro dipendenze. Lui stesso aveva visto corsi recarsi con i loro attrezzi a seminare biade nelle isole e pastori con le bestie, e anche lui vi aveva inviato al pascolo dei somari. Il secondo testimone fu un ottantunenne patrone marittimo bonifacino, Francesco Pittaluga fu Pietro, che avviò la sua dichiarazione affermando che già da giovane marinaio era più volte stato nelle isole. In esse aveva sempre trovato molti bonifacini a seminare le biade e molti pastori a custodire il bestiame degli stessi bonifacini. Il testimone precisò, inoltre, che negli anni addietro la presenza nelle isole era più numerosa e che era stata più volte decimata da incursioni barbaresche. Anche lui confermò che quei pastori custodivano il bestiame di proprietari di Bonifacio, e aggiunse che gli risultava che i delitti commessi nelle isole vedevano i processi celebrati a Bonifacio. L’ultimo testimone fu un altro vecchio ottantacinquenne sempre di Bonifacio, omonimo del precedente Francesco Pitaluga ma fu Paolo. Quest’ultimo, oltre a ripetere che dei bonifacini avevano seminato e raccolto biade in quelle isole e dei pastori governato il loro bestiame, verbalizzò che lui stesso molte volte aveva seminato e raccolto, e che con il proprio padre, almeno sessant’anni prima vi si recava a caccia di cinghiali e cervi.
I bonifacini, anche in questa occasione, non ebbero più fortuna dei sardi nella ricerca di titoli di diritto del regno di Corsica, e quindi della Serenissima, sulle Intermedie. La ricerca nei loro archivi risultò infruttuosa, e non riuscirono ad andare oltre la verbalizzazione di testimonianze di mero utilizzo del territorio delle isole per pascolo e semina. Delusi, ne presero atto prima il commissario di Bonifacio Pallavicini, che relazionò al governo di Bastia, e quindi il governatore Pinelli che ne informò i Serenissimi a Genova. Mentre per i sardi era la prima volta che tentavano di rintracciare i titoli del loro presunto dominio sulle Intermedie, per i bonifacini era l’ennesima. Nell’archivio di stato di Genova, nella sezione intitolata “archivio segreto” che raccoglie le carte relative al governo della Corsica, si ritrova traccia precisa e corposa della ricerca dei titoli possessori in almeno altre due altre circostanze. La prima nel tempo la si registra negli anni 1709-1711, in diretto riferimento al cosiddetto “caso Carboni”, la seconda negli anni dal 1718 al 1721, in occasione del passaggio della Sardegna alla casa Savoia.
Il “caso Carboni” nacque in una situazione di transizione, nel pieno della guerra di successione spagnola tra il francese Filippo V e l’austriaco Carlo III. Giacomo Antonio Carboni, nato e residente a Bonifacio dove svolgeva da tempo la funzione di vice console sardo-austro-spagnolo, il 27 agosto 1709 ebbe dalla Giunta del Patrimonio del governo spagnolo di Cagliari la concessione “di poter pascolare e boscheggiare nelle isole Intermedie tra la Sardegna e la Corsica”. Carboni aveva richiesto quel beneficio non solo per ricompensa dei servizi resi alla Spagna allora retta da Carlo III d’Asburgo, ma anche come recupero di spese sostenute nell’espletamento del suo incarico e non rimborsate. Nella sua petizione il viceconsole argomentava che le isole non davano alcun utile al regno sardo, giacché venivano da molti anni utilizzate da pastori corsi che non corrispondevano alcun diritto alle casse sarde. L’usufrutto era stato concesso per dissodare le isole o affittarle a chi e come avrebbe gradito il concessionario, e prevedeva la condizione di corrispondere alla cassa regia la terza parte dei frutti ricavati e di dare conto dell’amministrazione della concessione ad un fiduciario indicato dal governo. I maggiorenti bonifacini reagirono male, perché ritenevano la concessione lesiva dei propri interessi nelle isole, che non sarebbero più state nella piena e libera disponibilità per il loro bestiame e per i loro pastori. Intervennero, pertanto, presso la Serenissima argomentando che Carboni con la sua istanza aveva riconosciuto il dominio sardo sulle isole, disconoscendo quindi quello corso-genovese. Paventarono gravi danni al sistema di rifornimento dei viveri, essendo Bonifacio fortemente tributaria dalla Gallura e dalle isole, e arrivarono anche al pettegolezzo circa l’interesse del Carboni sull’arcipelago, dove avrebbe inteso far risiedere le proprie figlie da maritare con dei sardi. Mentre da Genova i Serenissimi per decidere chiesero certezze sul diritto del dominio corso sulle isole, il commissario di Bonifacio procedette all’arresto di Carboni, nonostante l’immunità diplomatica riservata anche ai consoli. Dopo l’intervento del governo sardo sul console di Corsica a Cagliari, con minacce di ritorsioni, Carboni fu liberato, ma si convinse a far pubblico e formale atto di rinuncia alla concessione.
Il “caso Carboni” fu utilizzato per molti decenni nella lunga guerra diplomatica con la Francia, succeduta nel 1769 alla Repubblica di Genova nel dominio sulla Corsica, per il riconoscimento della giurisdizione sulle Intermedie. Nell’ultima fase della diatriba fu, addirittura, uno degli argomenti forti di parte sabauda, giacché la richiesta di Carboni della concessione era il riconoscimento di un autorevole bonifacino del dominio sardo sulle isole, e la sua rinuncia era stata frutto non del riconoscimento dell’abuso da parte sarda di concedere illegittimamente ciò che non apparteneva al regno sardo, ma di un atto di costrizione fatto su di lui perché rinunciasse alla concessione. D’altronde i bonifacini, sollecitati dal governatore Filippo Cattaneo de’ Marini, e ancor più spinti dal loro diretto interesse, ancora una volta cercarono con affanno nei loro archivi le pezze giustificative del diritto corso sulle isole, per munirsi di titoli giuridicamente ineccepibili rispetto alle pretese sarde. Si rendevano conto che il loro uso non era sufficiente ad evitare l’azione legittima dei veri proprietari di disporne in qualsiasi momento e in qualsiasi modo. Ciò nonostante non dovettero trovar niente, se il comandante di Bonifacio, Francesco Maria Segni, ne scrisse deluso alla fine dell’anno 1709 al governatore di Bastia perché ne potesse dare conto al governo della Serenissima di Genova, che aveva a suo tempo avanzato la richiesta di avere documentazione certa e probante.
Nell’archivio segreto di Genova si trova una importante memoria che in quella situazione definiva gli elementi utili a dimostrare la sovranità genovese sulle isole Intermedie. In essa si suggerisce un mix di argomentazioni riferite alla mera occupazione “ab immemorabilis” senza contrasto delle isole, alla giurisdizione penale, a quella ecclesiastica e a quant’altro su di esse. E’ un primo esempio della impostazione, che fu utilizzata nelle corpose memorie che i cameralisti di parte francese predisposero successivamente, in contrapposizione alle analoghe memorie di parte sarda. Il documento è una memoria databile 1712 predisposta da certo Domenico Salineri, bonifacino. Testualmente si legge: “Le isole della Cabrera e della Maddalena, di Santa Maria del Budello et altre adiacenti verso la Corsica sono state ab immemorabili abitate e tuttavia lo sono da bonifacini e possedute pacificamente nelle coltivazioni e tenuta de’ bestiami, senza che alcuno abbia mai preteso di molestarli e le hanno godute e godono come proprie sotto il dominio della Serenissima repubblica di Genova. Ne’ cartulari delle colonne di S. Giorgio vi è una partita col titolo di S. Maria de Budellj annesso al beneficio della Santissima Trinità di Bonifacio, che nelli anni scorsi fu conferita da questa curia arcivescovile al sig. canonico Spinola, la quale ne era in possesso dal tempo del sig. Cardinale Durazzo di conferirla non ostante l’opposizione del beneficiato della SS.ma Trinità e della comunità di Bonifacio che pretende propria la partita. Ciò che conferma il possesso bonifacino e dominio generale. In tempo che il sergente maggiore Paolo Buttafuoco stava alla difesa de’ bonifacini contro i corsi, un famoso bandito soprannominato il Turco, inseguito dal sopra nominato sergente maggiore colla di lui squadra, se ne fuggì nella detta isola della Maddalena co’ suoi compagni, dove portatosi lo stesso maggiore Buttafuoco con la sua squadra e con rinforzo d’altri soldati genovesi attinse detto Turco bandito perché lo ritrovò nel dominio genovese, senza essersi udita alcuna doglianza per parte de’ spagnoli che possedevano la Sardegna. Essendo occorsi casi criminali in dette isole sono i rei stati processati dalla corte di Bonifacio come può ivi riconoscersi senza che alcuno vi abbia avuto pretenzione. Anzi essendo passati in Bonifacio de’ banditi sardi pastori alcuni di essi sono andati in dette isole a custodire i bestiami de’ bonifacini poiché sapevano di potervi stare sicuri per essere del dominio genovese le isole suddette”.
La seconda occasione in cui i bonifacini si impegnarono a raccogliere gli elementi di diritto sul dominio corso sulle Intermedie, fu a seguito dell’intricato momento (1718-1720) del baratto tra Sicilia e Sardegna, della definitiva assegnazione della Sardegna al duca di Savoia, e quindi della sua presa di possesso da parte di Vittorio Amedeo II nel 1720. Anche stavolta la ricerca si avviò su richiesta dei Serenissimi genovesi, che vollero conoscere, nel giugno del 1718, “di qual dominio e paviglione” fosse l’isola di Caprera, le cui acque erano state teatro di un episodio criminoso sottoposto alle loro determinazioni. Nella primavera di quell’anno si era, infatti, avuto un insolito scontro di archibugiate tra due feluche napoletane presenti per praticarvi la pesca del corallo, che proprio nel mare intorno a quell’isola aveva allora il più ricco dei “giacimenti” di oro rosso delle Bocche da cui attingere. La flottiglia delle coralline aveva come base Bonifacio, dove venivano pagati anche i diritti di pesca, e interveniva in tutta l’aria marina vasta dell’arcipelago. L’incidente di Caprera era nato dalla recriminazione di una presunta invasione di area di pesca tra feluche concorrenti. Nella sua risposta il Magistrato di Corsica citò una serie di atti possessori esercitati da parte genovese sulle isole, a partire dal caso Carboni e dall’azione di polizia del sergente maggiore Buttafuoco. Per quest’ultimo episodio, in particolare, si scriveva che i fatti si svolsero nel 1685 e che il militare fu inviato a caccia dei banditi per iniziativa dell’allora governatore generale della Corsica, il magnifico Agostino de Franchi. Tra l’altro si apprende da questo testo che: “detti isolotti anticamente erano disabitati e che circa 50 anni or sono si introdusse nell’isola Maddalena una compagnia di dodici bonifacini e vi sementarono. Che dopo il primo raccolto andarono a sementare in detti isolotti altri bonifacini negli anni seguenti in diversi tempi e che in appresso da venti anni a questa parte vi posero a pascolare de’ bestiami, senza che siano stati mai impediti ne che abbiano mai fatta veruna contribuzione ad alcuno”. Oltre questo documento, le dichiarazioni sulla sovranità in discussione furono affidate ad una serie di note riferite soprattutto ad episodi della giurisdizione penale e anche ad informazioni sullo stato delle isole.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma