Dall’Alta Rocca e dal Taravo alle piaghje della Corsica suttana
Nello stesso periodo alla Corsica non andò meglio. In particolare alla Corsica suttana, quella meridionale cioè, altrimenti detta Pumonte, le cui vicende hanno un significato specifico per il primo popolamento documentato delle isole Intermedie a partire dalla seconda metà del Seicento. In questa vasta area sub regionale, per tutto l’arco temporale dell’età moderna, la montagna ha svolto un ruolo specifico nella storia dei pumontinchi, nel dare alla piaghja, ricevere da essa di ritorno e ridare ancora una volta alla stessa movimenti di popolazione, a seconda delle condizioni di vita e di relazioni nei due spazi. Una ricca produzione storiografica franco-corsa ha analizzato negli ultimi anni il rapporto tra muntagna e piaghja, nel cui contesto sta il pezzo di storia che più ci interessa della colonizzazione bonifacina delle isole prima del 1767. Tutta la montagna corsa, d’altronde, ha sempre avuto un peso notevole e spesso prevalente tra i fattori considerati in sede di analisi storica sull’assetto socio-economico dell’isola, e il suo “equilibrio” ha sempre determinato la qualità di vita dei corsi nell’età moderna. Essa infatti, a differenza delle altre regioni mediterranee che hanno sempre visto la montagna quale area marginale nella loro vita sociale e nel loro sistema economico, in Corsica ha molto spesso svolto un ruolo di traino per l’intera regione. La combinazione equilibrata delle sue componenti umane, i suoi movimenti demografici, i suoi mutamenti climatici e ambientali, le variazioni della sua struttura economica e sociale, hanno segnato la vita di tutti i corsi in tutto il territorio regionale.
Anche la Corsica meridionale nei secoli XV e XVI ha sofferto lo spopolamento dei villaggi costieri e per le stesse cause. Lo sviluppo della malaria e le incursioni barbaresche, ma anche le devastazioni delle guerre intestine di natura feudale, resero invivibile la fascia costiera, la piana retrostante e la fascia collinare, e determinarono l’arretramento delle popolazioni che la abitavano sulle alture retrostanti dell’Alta Rocca e dell’Alto Taravo. Ne derivò uno squilibrio del preesistente assetto della montagna nei paesi che ricevettero i piaghjnchi. Questi, naturalmente, ripiegarono in maniera mirata verso i villaggi che riconoscevano quali originari delle loro famiglie, favorendo il consenso di chi riconosceva i sopraggiunti quali propri sfortunati componenti che rientravano nel loro territorio d’origine per necessità. L’antica regione di Freto e quella di Pruno, il sartenese e la regione di Porto Vecchio si spopolarono, e di converso si incrementarono le comunità di accoglienza. Si conoscono in gran parte le direzioni di rientro e i paesi rifugio. Serra di Scopamene e Sorbollà accolsero quelli della piaghja di S. Martino, Zonza ospitò quelli di Conca, mentre da Porto Vecchio si rifugiarono a Quenza e Ospedale. Levie accolse gli sfollati di Figari. Aullene e Zerubia accolsero rispettivamente quelli provenienti da Monaccia e da Pianatoli. Zicavo, nell’alto Taravo, a sua volta accolse i gruppi sparsi della sua estesa diaspora, che nella piana avevano utilizzato molti villaggi.
Un certo miglioramento delle condizioni di vita nella piana e nelle coste avviò nel XVII e XVIII secolo un movimento di ridiscesa negli spazi prima abbandonati. Le modalità con cui questo riflusso si manifestò in Corsica non ha un corrispondente fenomeno in Gallura. Qui la ridiscesa da Tempio e Aggius nei litorali di Surrau, del Parao, del Liscia e di Longone avvenne in termini molto ridotti e alla spicciolata, e andò a occupare in modo sparso i rebagnos di uno spazio geografico immenso per estensione quanto libero di presenza umana. Quel ridotto movimento di reinsediamento avvenne pressoché pacificamente, proprio per l’ampia disponibilità di territorio, e registrò addirittura la partecipazione di numerose famiglie corse nell’occupazione di questi spazi. D’altronde molti corsi, rientrata l’operazione di epurazione aragonese contro di loro, avevano a suo tempo partecipato alla risalita dalla costa ai centri montani galluresi.
La Corsica sottana, invece, visse il movimento di ridiscesa dalla montagna alla costa con i suoi propri particolari motivi demografici e naturali, e con modalità di “massa” e di conflittualità. Per quel che attiene alle cause della scelta di ridiscendere al piano, queste possono essere ricondotte in gran parte al sovrappopolamento che soffrirono i paesi di accoglienza, con le conseguenze economiche negative nelle situazioni già di partenza non particolarmente floride. Causa non secondaria fu il fenomeno climatico eccezionale, noto come “piccola glaciazione”, che contribuì a rendere più impellente la necessità del contro esodo. Per quel che attiene alle modalità, a differenza della Gallura in cui la ridiscesa non fece rivivere i villaggi abbandonati e nel frattempo andati a scomparire anche come vestigia di strutture murarie, nell’isola sorella la ridiscesa si manifestò come una riappropriazione degli stessi spazi già usati. I clan familiari allargati e i clan paesani tesero a rioccupare le terre e i villaggi che i loro antenati avevano occupato prima dell’esodo in montagna, e su cui i rientranti ritenevano di poter accampare un certo diritto almeno di uso. Come per la risalita, anche il movimento di ridiscesa è ben documentato negli itinerari e negli insediamenti, riscontrando che i flussi in rientro alla piaghja sono stati gli stessi, ma in senso inverso, di quelli di andata. Si ebbe così la ricostituzione delle comunità gemmate: da Zonza e San Gavino a Conca, da Quenza a Portovecchio, da Serra di Scopamene e Sorbollà a Sotta (S. Martino) e Chera, da Levie a Figari, da Aullene a Monaccia, da Zerubia a Pianatoli-Caldarello. In questa fase, un fenomeno a parte fu la discesa dei zicavesi dal loro villaggio dell’alto Taravo, caratterizzato da una loro pervasiva dispersione, diluita nel tempo, dal sartenese a Portovecchio, da levante a ponente. Questa diaspora li fece entrare in collisione con altri insediamenti di “ridiscesi” nelle terre che questi ritenevano loro spettanti. In particolare essi contesero territori di Conca ai zonzesi, e altrettanto fecero a Sari e Lecci a scapito dei discesi da S. Gavino.
Questi uomini e queste donne, che cercavano con la migrazione nella piana una condizione di vita più accettabile, erano la parte più marginale della popolazione dei villaggi dell’alta Rocca e dell’alto Taravo, i discendenti meno fortunati di coloro che avevano ripreso la via della montagna almeno 150 anni prima, sempre per cercare una possibilità di sussistenza. Quelli senza terra e che rimasero senza terra e pastori senza proprio bestiame che si ponevano al servizio di chi ne aveva.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma