Don Capula la guerra e il dopoguerra
Il periodo della guerra si apriva in maniera drammatica con un allarme aereo durante la celebrazione della messa, che dovette essere interrotta, il lunedì 24 giugno 1940. Molte persone erano sfollate nei primi giorni del conflitto raggiungendo i paesi della Gallura e dell’Anglona che erano stati destinati ad accoglierli. E la stessa esperienza, ben più drammatica, si ripetè dopo il bombardamento del 10 aprile 1943 quando tutta la popolazione civile fu fatta evacuare: situazioni precarie per i più poveri che non potevano permettersi di affittare una casa e dovevano vivere nelle aule scolastiche o in capannoni in una promiscuità degradante, senza redditi, sottoposti alla carità non sempre generosa dei podestà dei paesi ospitanti che subivano lo sfollamento come una indesiderata invasione. Don Capula non abbandonò mai gli sfollati. Già il 26 luglio del 1940 visitava, a Tempio, gli operai ospitati dalla chiesa di S. Giuseppe e, nei tristi mesi del ’43, periodicamente ripeteva i suoi viaggi di consolazione materiale e morale.
Intanto diventava sempre più pressante la necessità di dare notizie alle famiglie divise, ai prigionieri e ai loro cari che a lui ricorrevano e da lui ricevevano sempre disponibilità; assolveva, per quanto possibile, alla necessità di “custodire le case abbandonate contro furti; di dare relazione sulla loro integrità tranquillizzando i padroni lontani”.
Si era preoccupato, però, di ottenere dal Vescovo il permesso di rimanere a La Maddalena presso coloro che sopportavano il pericolo della guerra. Così il vescovo Morera lo faceva munire dei documenti che gli consentivano di accorrere in caso di attacco: “come dovere inerente al vostro ministero pastorale, siete incaricato di prestare assistenza spirituale ai feriti e moribondi nella ipotesi di un attacco aereo in codesto centro abitato o in altri luoghi del territorio di cotesta parrocchia.” Ricevette dal Comitato Provvisorio di protezione antiaerea di Sassari “apposita tessera per poter liberamente circolare durante gli attacchi aerei. Appena avuta, quindi la segnalazione di un attacco, vi terrete pronto ad accorrere sul luogo colpito per prestare sollecitamente il vostro ministero alle vittime che ne abbisognassero”. Il Vescovo gli consentiva di dare l’indulgenza plenaria e la remissione di tutti i peccati: “se mai pertanto si verifica la deprecata ipotesi, vogliate con esemplare coraggio e santo zelo prestare l’opera vostra per la salvezza e il conforto dei cari nostri fratelli“.
Dopo il bombardamento del 10 aprile 1943 il vescovo Morera, addolorato per la situazione, suggeriva di far allontanare il viceparroco don Maciocco ormai anziano e concedeva a don Capula e all’altro vice don Sanna di rimanere all’isola “finche vi è un numero discreto di anime da assistere, però usate le debite precauzioni per essere meno esposti ai pericoli”. Don Capula aveva chiesto di potere, in caso di necessità, soccorrere spiritualmente anche i soldati che, normalmente, dovevano essere assistiti solo dal cappellano militare. Il Vescovo spiegava che le facoltà concesse ai cappellani si estendevano a tutti i sacerdoti durantibus incursionibus e per coloro che erano in pericolo di morte; dava, inoltre, indicazioni pratiche di comportamento: in caso di incursione, l’eucaristia doveva essere custodita in luogo sicuro oppure consumata; gli oggetti preziosi e gli archivi conservati anche fuori parrocchia; sacerdoti e fedeli erano autorizzati a prendere, “nei casi di allarmi aerei notturni, qualche liquido prima della S. Messa e della Comunione, escluse le bevande alcoliche e sempre remoto scandalo”. Dopo ogni bombardamento il Parroco manifestava la sua solidarietà e la presenza consolatrice della fede con le messe in suffragio dei caduti, celebrate in chiesa e al cimitero e, dopo gli avvenimenti del 13 settembre del 1943, con l’assistenza ai feriti senza distinzione di nazionalità: ricorse segretamente all’aiuto di una suora per aiutare tre giovani soldati tedeschi, ricoverati in gravi condizioni all’ospedale militare dove gli era proibito entrare.
Nel mese di agosto del 1943 portò il suo conforto religioso a Mussolini prigioniero a Villa Webber: per quattro volte ebbe il permesso di visitarlo nei giorni 17, 20, 23 e 25. La domenica 22 ebbe la possibilità di celebrare la messa nella vasta sala di fronte al piccolo appartamento di Mussolini. Aveva ottenuto dal Vescovo la facoltà di assolvere anche da peccati “riservati”, ma solo il tenente Faiola che controllava da vicino il prigioniero si confessò e comunicò quella domenica, Mussolini no.
Nel dopoguerra le iniziative si moltiplicarono: da quelle strettamente religiose (come l’accoglienza della Madonna Pellegrina arrivata il 16 settembre 1949 accompagnata da una processione trionfale, e della peregri-natio Mariae del 1954, la consacrazione dell’Arsenale Militare alla Vergine nel 1951, le crociate della bontà, le processioni solenni), a quelle assistenziali (come le colonie per bambini a Nido d’Aquila e a Carlotto o la distribuzione dei beni della Pontificia Opera di Assistenza). L’Azione Cattolica si espandeva comprendendo tutte le fasce d’età della popolazione.
A tanta attività organizzativa, a tanto impegno profuso nella propaganda della fede, a tanto interesse dedicato alla politica del paese, don Capula non faceva corrispondere altrettanta attenzione nelle cose amministrative, nella tenuta dei registri e nella contabilità, e di questo i vescovi si lamentarono sempre mentre lodavano l’impegno in campo religioso e sociale. Scorriamo alcune parti delle loro relazioni, tralasciando volutamente quelle degli ultimi anni. Anni in cui si intrecciarono questioni legate alla sua funzione -quali i rapporti con i vescovi da un lato e con i viceparroci dall’altro, la gestione dei beni della Chiesa, la vendita dell’isolotto di Giardinelli, il suo arroccamento nel non volere lasciare l’incarico con problemi personali dati dalla salute sempre più malferma, dal dolore insanabile per la malattia e la morte della sorella Anna Maria, dal senso oppressivo di solitudine nel quale si sentiva, a torto o a ragione, abbandonato da tutti.
Già dal 1934 il vescovo Morera, complimentandosi per la attività e i risultati ottenuti da don Capula, notava che l’archivio non era stato riordinato secondo le sue indicazioni. Seguiva la severa minaccia: “Non posso più tollerare oltre tanta negligenza e quindi Le fisso il termine del 15 settembre per provvedere”.
L’anno seguente, pur dichiarandosi, come abbiamo visto, molto soddisfatto dell’associazione giovanile Benedetto XV, emetteva un decreto molto duro riguardante la tenuta dei registri: “prescriviamo sub gravi che entro un mese siano apposte le firme mancanti nel registro dei matrimoni, specialmente del 1934 e siano completate le annotazioni marginali riflettenti la registrazione civile, sotto pena della multa di lire cinquanta; il parroco non proceda alla celebrazione di alcun matrimonio se prima non ha steso per intero l’atto relativo”. Notava anche, con un certo fastidio, il persistere dell'”abuso” del passaggio “davanti all’altare maggiore nel presbiterio per entrare od uscire di chiesa o recarsi in sacrestia”, abuso che rimarrà tale anche negli anni seguenti, ripreso, ci pare di poter dire con santa pazienza dal Vescovo. Malgrado questo atteggiamento intransigente, questi affettuosamente si preoccupava, e lo fece sempre anche in seguito, della salute del suo parroco consigliandogli di limitare il suo lavoro, che riconosceva gravoso e proficuo, e di prendersi, di tanto in tanto, dei periodi di riposo.
Dopo la quinta visita pastorale del maggio 1938 che riproponeva, grosso modo, le stesse annotazioni, quella del giugno 1941. Soddisfazione per il lavoro “zelante e indefesso”, per la cresima a 238 persone fra cui adulti e soldati, per il catechismo e per la partecipazione popolare. Scriveva il Vescovo: “nonostante lo stato di guerra la chiesa fu affollatissima… la parrocchia, nonostante lo stato fluttuante della popolazione e le magagne di una città marittima, è abbastanza ben coltivata dallo zelo del parroco … Confidiamo che egli superando non poche difficoltà saprà dare sempre maggiore impulso all’insegnamento catechistico ed alle opere tendenti a preservare la gioventù dalla immoralità“. Fra i decreti spuntava, perentorio quanto disatteso, quello di “confezionare” entro un anno, “il libro cronico o cronistoria della parrocchia a norma del can. 101 del Concilio Sardo e di aggiornare entro lo stesso tempo lo stato delle anime“.
La sesta visita si svolse l’11 e il 12 giugno 1944 con la messa celebrata alle 9 “dato il pericolo degli allarmi”, e la somministrazione della cresima a circa 200 persone. Il Vescovo trovò buona la preparazione del catechismo, tenuto conto dello stato di guerra che limitava fortemente le attività dei bambini. Notava che la popolazione, rientrata dallo sfollamento solo negli ultimi mesi del 1943, aveva subito “un grave perturbamento anche nella vita religiosa e morale, soprattutto per il dilagare spaventoso del malcostume per la presenza di numerosi militari. Ci rallegriamo con il parroco perché con esemplare coraggio ha saputo rimanere sempre al suo posto anche nei momenti dei più gravi pericoli, prestando il necessario soccorso a tutti i bisognosi tanto dal lato materiale che spirituale e riorganizzando poi, appena fu possibile, il servizio religioso della parrocchia”. Con le solite raccomandazioni per la tenuta dei registri, il Vescovo terminava con la prescrizione (ma chissà se sperava più nella possibilità di ottenerla!) di formare e mantenere aggiornato il libro cronico. La stessa prescrizione compariva nella successiva visita del 1950.
Nel maggio del 1947 il Vescovo aveva constatato il grande miglioramento della vita della parrocchia “dal lato religioso e anche, speriamo, dal lato morale” e, a riprova che l’interesse politico non era solo di don Ca-pula, si era congratulato per la gioventù maschile ben curata, “che conta numerosi e ferventi giovani che esercitano anche in mezzo al popolo una efficace propaganda di bene e di difesa contro la propaganda dei partiti sovversivi”.
Il lato morale che tanto preoccupava il Vescovo trova una spiegazione in una interessante relazione di don Capula che, per il periodo 1944-47, scriveva: “la presenza di truppe straniere di occupazione anche nel 1945 non aveva favorito la moralità ed avevano aggravato la situazione la presenza di molte truppe italiane impossibilitate per mancanza di mezzi a rientrare alle proprie case. Si diffuse una libertà di idee in materia religiosa che nei meno preparati produsse l’indifferenza e li allontanò dalla pratica dei sacramenti ma servì al contrario ad irrobustire la fede nei meglio disposti e li preparò a quell’apostolato attivo che diede ottimi frutti”. Le case di malcostume che, fino al 1945 erano tre, in quel momento erano ridotte a una. L’azione della gioventù maschile fu enorme: “si deve ad essa se le organizzazioni comuniste ebbero un freno ed evitarono violenze e furono spesso battute in conversioni aperte. Ciò consentì l’ascesa dell’amministrazione pubblica della democrazia nel nostro comune; così pure l’affermarsi della democrazia nelle elezioni politiche del giugno passato. In una cittadina come la nostra costituita in prevalenza da operai riuniti in cantiere, di muratori e di scalpellini questi successi fecero impressione“. La gioventù femminile di casa in casa agitava i problemi della fede scuotendo le coscienze sopite: “il sopravvento della vita civile sull’influenza dei militari ha reso più regolare la vita religiosa. Tuttavia la povertà sopraggiunta ha reso fragile la virtù delle fanciulle troppo desiderose di accasarsi. Tutto sommato in questa parrocchia la fede è sentita dalla totalità e se vi è molta immoralità è generalmente riprovata“. Negli anni successivi, accanto alla fede ancora ben diffusa nella popolazione e alla efficienza dell’azione Cattolica, don Capula scorgeva i pericoli per la moralità nel turismo e nel progressivo distacco della Marina Militare: ” la corruzione della gioventù maschile e femminile è in aumento. Il turismo e il confluire di elementi eterogenei dalle diverse parti d’Italia causano gli stati di coscienza più impensati. La stessa presenza della Marina Militare – che ha in mano buona parte delle risorse economiche dell’isola – nel campo religioso diventa appena benefica quando e raramente è comandata da un capo militare che conosca ed apprezzi il valore della fede“.
Intanto, nel 1948, con lo smantellamento del vecchio cimitero, la parrocchia aveva ottenuto tutto quel terreno per costruirvi una Opera Pia intestata a Santa Maria Maddalena e dedicata alle attività educative, didattiche e religiose. Impresa colossale progettata dall’ingegner Battino, mai portata a termine, accompagnata da variazioni di destinazione, da abbandoni più o meno temporanei e, sempre, da accanite polemiche.
Nel 1947 don Capula aveva presentato formale richiesta di completo restauro della chiesa parrocchiale che prevedeva anche un allungamento dell’edificio, progetto realizzato nel 1952.
Il 24 ottobre 1964, con una solenne cerimonia, monsignor Raffaele Forni, nunzio apostolico a Montevideo, consacrava i nuovi altari di marmo delle cappelle laterali della parrocchia e l’altare maggiore con il nuovo tabernacolo.
Nel 1966 il vescovo monsignor Melis definì la lunga e tormentata vicenda della vendita dell’Isuleddu.
L’ultima visita pastorale della quale diamo conto, fu quella dello stesso mons Melis del 1967. Malgrado l’ottimo andamento della parrocchia, erano cambiate tante cose: ma forse il mutamento più importante stava nella qualità del rapporto fra Vescovo e Parroco. I toni severi ma affettuosi e pieni di premura di monsignor Morera erano ormai lontanissimi.
Dopo l’arrivo a La Maddalena sul motoscafo della Marina militare, il Vescovo si recava in Comune, ricevuto dal sindaco Vasino e assisteva al discorso commemorativo per il bicentenario della nascita della Maddalena. Nel salone consiliare ascoltò la relazione sull’argomento del professor Mattia Sorba e il concerto pianistico della signorina Onida. Notava positivamente l’accordo fra Parroco e vice, “l’intesa fra autorità religiosa e quella civile e militare; la collaborazione prestata dalle suore e tutte le iniziative della parrocchia; la partecipazione del popolo alle funzioni liturgiche; le prestazioni della Schola Cantorum; l’alto livello spirituale e organizzativo a cui sembrano giunti diversi dirigenti; il decoro e la proprietà con cui sono tenute le chiese, soprattutto quella parrocchiale“. Seguivano, però, tante osservazioni, fra le quali le solite note dolenti sulla tenuta dei registri, il fatto che non si fosse “presentato il Chronicon e lo Stato delle Anime”, le solite carenze nei libri contabili con la prescrizione di adempiere entro sei mesi a rimediarle.
Il Parroco obbedì, almeno in parte, e compilò un preciso elenco dei beni.
Don Capula fu sollevato dall’incarico il 24 gennaio 1998 dal vescovo Atzei: aveva 90 anni. L’ultima gratificazione della sua vita la ebbe nel mese di novembre di quello stesso anno della sua destituzione con la medaglia d’oro consegnatagli dal sindaco Birardi. Morì il 23 luglio 2000, nel giorno successivo alla festa di Santa Maria Maddalena.
Come abbiamo detto, lasciamo ad altro tempo il racconto della vita e dell’attività del Parroco negli ultimi decenni. Notiamo soltanto che, forse, don Capula aveva presentito i sentimenti che avrebbe provato, quando, nel lontano 1954, aveva accolto don Paolo Pintus sollevato d’autorità dal suo incarico di parroco. Allora aveva scritto: “Il vescovo gli ha imposto le dimissioni da parroco di Luogosanto. È molto amareggiato e avvilito. Si risente molto per la maniera con la quale è stato allontanato. Aveva appena celebrato il 50° di messa. Il vescovo gli aveva fatto gli auguri. Non si era rimesso ancora dalla dolcezza di questa ricorrenza che gli viene comunicata l’altra notizia. Fa pena vedere piangere un prete anziano”.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma