12 settembre 1943
Fu la giornata più triste per la dignità dei comandi italiani, ancora caratterizzata da concessioni e compromessi, quindi dalla decisione tedesca di togliere la libertà all’ammiraglio, ma anche, fortunatamente, dalla preparazione testarda, senza tentennamenti, della rappresaglia.
Brivonesi aveva pensato di aver risolto il problema delle esorbitanti richieste del giorno precedente presentate da Lungerhausen, oltre che concedendo i due tratti di banchina a La Maddalena, con una decisione gravissima, dalla quale non era estraneo il generale Basso. Dice egli stesso: “Tenendo conto che S.E. Basso mi aveva dato l’autorizzazione di far montare alcune batterie tedesche nella zona di La Maddalena, ho proposto ad Almers che le sue truppe piazzassero alcune loro batterie sulle tre isole di Santa Maria, Razzoli e Budelli dalle quali avrebbe potuto difendere efficacemente tutto il traffico dei mezzi per Bonifacio“. La situazione che si configurava in base a tale decisione era assurda: gli italiani avevano dato assicurazione agli alleati anglo-americani di non fare nessuna azione contro eventuali loro sbarchi, (e in questo senso erano state emanate precise disposizioni dallo stesso Brivonesi fin dal giorno 9), e era consentivano ai tedeschi di piazzare loro batterie in posizione particolarmente delicata come le isole di nord-ovest ben sapendo che essi avrebbero anche potuto usare le batterie italiane già sottratte nei giorni precedenti, e tutte dirigibili verso lo stretto di Bonifacio.
Fortunatamente i tedeschi avevano fretta e non potevano perdere tempo a installare nuove postazioni e preferirono accelerare il loro esodo. Nuovi mezzi venuti dalla Corsica aiutavano il trasferimento che avveniva con operazioni disciplinate, rigidamente controllate ed efficaci.
Malgrado le concessioni già ottenute pero, continuavano a richiedere con insistenza, ma senza azioni di fuoco, la batteria di Monte Altura. Due volte nella giornata si presentarono al comandante Naseddu che chiedeva inutilmente aiuto a La Maddalena; l’unica risposta era di non cedere, ma sempre anche di non sparare se non attaccati. I tedeschi avevano minacciato di usare la forza, ma l’ultimatum era solo una tattica di pressione: preferirono infatti telefonare direttamente da Monte Altura ad Almers che si trovava all’ammiragliato e quindi in condizioni di risolvere la questione direttamente con Brivonesi, senza intermediari. Era una situazione di stallo per Almers per una decisione difficile, dalla quale il tedesco uscì a suo modo; imprigionando definitivamente i due ammiragli, piantonandoli nei loro alloggi e staccando tutti i telefoni del comando. Erano le 16.00. A questo punto la Base era veramente decapitata; nessuno poteva più entrare o uscire dall’ammiragliato, impossibile dare ordini. I tentativi di Sollazzo di prendere in mano la situazione da Caprera deve si era recato subito dopo l’occupazione del 9, erano inficiati dalle reazioni del comando DICAT, peraltro inefficiente nel suo isolamento nella sede protetta circondata da tedeschi e tenuta volontariamente al di fuori dai piani di Barsotti, data la diffidenza che il personale MILMART suscitava. Quando alla DICAT giunse la notizia dell’arresto dei due ammiragli, il seniore Zanetti annotò: “Si ha l’impressione di dover subire un atto di forza, pertanto viene predisposto per la distruzione di tutti gli impianti in sede protetta, mentre si distrugge senz’altro col fuoco il carteggio segreto”. Nessun tentativo di reazione e di coordinamento per resistere all’ipotizzato “atto di forza”.
Quando si diffuse la notizia dell’arresto dei due ammiragli, dilagò la convinzione che Monte Altura stesse per essere attaccata. Anche la segnalazione della presenza di molti tedeschi a Palau ai quali si erano uniti i paracadutisti della divisione Nembo, rafforzava l’ipotesi di un conflitto imminente e quindi la certezza che l’atteso segnale concordato stesse per arrivare. Perciò il comandante Avegno, stabilita la difesa di Faravelli e dell’arsenale, disponeva un uomo con funzioni di collegamento a forte Piticchia per tenere contatti con il battaglione costiero ed essere quindi avvertito del momento dell’attacco. In serata, (alle 19.55) una telefonata di un ufficiale superiore, che diceva di aver ricevuto un ordine da Brivonesi prigioniero attraverso l’attendente, trasmetteva al comandante Avegno il messaggio “di far subito quella cosa”; pareva che si trattasse del segnale di attacco, ma qualche dubbio sulle modalità col quale era stato trasmesso e soprattutto la mancanza di collegamento con le altre forze, consigliò di attendere per non inficiare tutto il lavoro di preparazione svolto tino a quel momento. Il piano era pronto, ma era condizione indispensabile la coordinazione e l’intervento simultaneo. Da ponente dovevano arrivare i marinai di Parco Padule, per penetrare in città, e i mitraglieri di Abbatoggia per agganciare le postazioni situate presso il palazzo scolastico; da nord i gruppi delle compagnie del battaglione costiero per convergere verso piazza Comando, Due Strade e Ferrovecchio; da levante due compagnie di Faravelli e della Base dirette verso Villa Bianca, le Due Casette e isola Chiesa aiutate da Forte Camicia e dal rimorchiatore Porto Quieto. Le postazioni di Guardia Vecchia sarebbero state impegnate dalla Trinita e da un nucleo del battaglione costiero.
Nel pomeriggio del 12 un giovane maddalenino, Pietro Balzano, che dal 9 aveva raggiunto le truppe di fanteria dell’acquedotto mettendosi a disposizione, veniva inviato in ricognizione per osservare le posizioni tedesche nella zona di Due Strade; dalla casa di un parente vide due giovanissimi soldati tedeschi, con la faccia punta dalle zanzare, presso una mitragliatrice, nel terreno fra il palazzone militare e villa Manini; fu preso da un senso di simpatia, parlo con loro cercando di farsi capire, offri dell’acqua, chiese se volevano degli abiti civili per scappare. Prese nota dei diversi gruppi fra Punta Nera e Piazza Comando. Poi ritornò indisturbato per riferire ciò che aveva visto.
Nelle condizioni di profondo disagio avvertibili ad ogni livello nella giornata del 12, si verificarono avvenimenti apparentemente senza causa, ma legati alla disgregazione di alcuni organismi di comando e di controllo che rasentava ormai l’anarchia. Molti operai, soprattutto giovani, incominciarono a partire senza permesso, cercando disperatamente barche disponibili per raggiungere Palau. E nei magazzini del Commissariato incominciò, non si sa come, una “distribuzione” di materiale che assunse in breve l’aria del saccheggio. “….vestiario veniva dai sottufficiali del Commissariato versato a intere braccia nelle mani dei marinai presenti i quali se li contendevamo mediante zuffe violente; molti altri marinai introdottisi nei magazzini si appropriavano di tutto quanto loro veniva a portata di mano. Fu sparato, non si sa da chi, qualche colpo di arma da fuoco. Nella serata del 12 e nei successivi 15 e 14 siffatto stato di cose …. assunse proporzioni che possono dirsi scandalose: autocarri e moto furgoncini con vestiario e generi alimentari uscivano liberamente dal Commissariato e da altro magazzino situato nel caseggiato scolastico, dirigendosi verso le abitazioni di ufficiali, sottufficiali, comuni e civili.
Anche a Palau erano iniziate le razzie da parte, però, di tedeschi e paracadutisti della Nembo che si erano appropriati di capi di bestiame e di carburante.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma
- Premessa di Settembre 1943 a La Maddalena
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