1947, gita a Caprera
Con l’affermarsi dei principi e degli ideali del Risorgimento, nell’Italia di fine Ottocento, si sviluppa e si consolida un vasto apparato retorico caratterizzato da rituali e pratiche simboliche legati al sentimento di devozione alla Nazione che daranno luogo a nuove forme di escursionismo e di viaggio, i cosiddetti “pellegrinaggi patriottici”. Corredati da bandiere, labari, coccarde, medaglie, cartoline, souvenirs, brochures, rievocazioni delle insurrezioni locali e dei loro eroi e di ogni sorta di rappresentazione celebrativa dei fatti più rilevanti del Risorgimento democratico.
I pellegrinaggi appartengono al diffuso apparato comunicativo, celebrativo e retorico istituito per coinvolgere con immediato trasporto emotivo il popolo, capace di suscitare e diffondere straordinarie passioni e una forte partecipazione collettiva. Attorno alle celebrazioni storiche si costruisce una sorta di liturgia alternativa costituita da un apparato di rituali e di simboli per la formazione della coscienza, la diffusione degli ideali risorgimentali e del carattere leggendario del patriottismo italiano. Lo spirito, la simbologia e il linguaggio che accompagnano le gite e i cortei patriottici sono in stretta analogia con la tradizione religiosa cristiana, mutuandone e assumendone tutto l’apparato lessicale; le stesse mete acquisiscono un valore mistico e al pari dei santuari cristiani assumono il carattere simbolico di “sacro”, “venerando”, “immacolato”.
La diffusione dei pellegrinaggi patriottici si concentra soprattutto nell’Italia centrale, in particolare a Roma e a Caprera, anche se a nord, tra il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, si registra la maggiore frequenza e il più alto numero di località meta dei pellegrini. Una scarsa diffusione si riscontra, invece, nel meridione, a causa delle difficoltà logistiche e dell’arretratezza nello sviluppo delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto. Gli elementi religiosi e gli elementi laici si mescolavano a volte e convivevano anche in contrapposizione tra loro, come accadeva ad esempio in occasione della ricorrenza religiosa della festa di San Giuseppe, il 19 marzo, ma anche giorno dell’onomastico di Mazzini e di Garibaldi. Il popolo era pervaso da un nuovo senso religioso e devozionale nei confronti di tutti quegli uomini che avevano reso grande l’Italia in nome della libertà della Nazione; al culto di tradizione cattolica dei padri fondatori della Chiesa si contrappone il culto tutto laico dei Padri fondatori della Patria.
La discussione intorno al concetto di Nazione e di identità nazionale, scaturita dall’esperienza ottocentesca del Risorgimento italiano, conoscerà, attraverso un’articolata evoluzione critica, significativi sviluppi durante il secolo successivo. Il dibattito storiografico sul Risorgimento percorre, dunque, tutta la storia dello stato unitario intrecciandosi con i confitti ideali e politici che accompagnano la vita nazionale.
A1l’iniziale riflessione critica sul Risorgimento, intorno alla metà dell’Ottocento, segue, durante i primi decenni post-unitari, il tentativo di dare un’immagine mitica del processo di formazione dello stato unitario. In seguito, durante il periodo fascista, si aprirà un’ampia e complessa discussione sul Risorgimento, intorno alle teorie di Benedetto Croce, seguita da un ulteriore sviluppo del dibattito che prenderà l’avvio con la pubblicazione degli scritti di Antonio Gramsci nell’immediato secondo dopoguerra.
Nonostante le condizioni disastrose nelle quali l’Italia si trovava in conseguenza della guerra, la popolazione era animata da uno spirito nuovo e sostenuta dalla volontà di partecipare all’opera di ricostruzione del Paese. Dopo la scon?tta del regime fascista e 1’esperienza di lotta della Resistenza, era maturata una nuova coscienza nazionale che vedeva finalmente le masse come protagoniste. I cittadini erano più liberi di esprimersi, di seguire le proprie vocazioni politiche e di realizzare il rinnovamento della società in senso democratico. La ?gura mitica di Giuseppe Garibaldi aveva conservato intatto il fascino dell’Eroe nazionale sempre capace di suscitare nel popolo interesse e passione. Egli stesso aveva favorito, ancor prima della morte, la sua consacrazione nel mito attraverso una accorta gestione della propria immagine.
Il Generale non aveva mai trascurato di inviare un pò ovunque fotografie autografate, di scrivere romanzi autobiografici che diffondevano le sue idee politiche; inoltre si spostava di persona, infaticabilmente, per raggiungere molte località dove teneva comizi pubblici oppure intratteneva una intensa comunicazione attraverso proclami e discorsi con ostentata, semplice ed efficace eloquenza. Dopo la morte di Garibaldi, la lunga e consolidata tradizione del pellegrinaggio a Caprera si trasforma in maniera decisiva. La comunità che si era creata nell’isola rappresentava un modello sociale alternativo a quello dello Stato: vi si lavoravano i campi, si producevano beni e si effettuavano scambi in una dimensione collettiva diversa dai modelli economici tradizionali e estranea ai circuiti commerciali ufficiali.
Caprera era diventata il luogo di riferimento dell’ideologia di Garibaldi e dell’applicazione del suo modello di socialismo; designata come luogo della sepoltura dell’Eroe, si trasforma in maniera decisa e definitiva nel luogo sacro privilegiato per i seguaci e i devoti della fede politica garibaldina. Da esperienza a carattere prevalentemente individuale, con lo scopo dell’incontro personale con il Generale, il pellegrinaggio assume, dunque, la forma del viaggio collettivo, organizzato da associazioni private e con destinazione la casa e la tomba dell’Eroe da parte di gruppi composti da un pubblico piuttosto eterogeneo.
L’intera isola viene dunque considerata un “santuario’; oltre agli interni della casa, in particolare la camera da letto, anche lo spazio antistante l’abitazione e il recinto della tomba dove l’Eroe era stato sepolto diventano luoghi di culto. All’interno del panorama offerto da queste emozionanti e affollate esperienze di viaggio, da queste gite dal carattere mistico e devozionale, assume un significato specifico la pratica della gita scolastica di tipo educativo, con fini didattici e pedagogici, promossa da istituti di ordine primario o secondario. Durante la sua fuga dalla Romagna, dopo la morte di Anita e la caduta della Repubblica Romana, Garibaldi aveva attraversato i territori della Toscana dove era stato accolto e aiutato da patrioti locali di ogni estrazione sociale.
Nel 1849, anche la cittadina di Signa, nei pressi di Firenze, ebbe modo di offrire il proprio sostegno al Generale durante la sua disperata fuga.
In virtù della salubrità dei luoghi e per generici motivi di salute, nella primavera del 1867, Garibaldi ritorna a Signa dove, grazie alla vicinanza con Firenze, allora capitale d’Italia, organizza le sue attività strategiche per la liberazione di Roma; da qui partiranno infatti le prime incursioni militari, anche se con esiti negativi, nel territorio dello Stato Pontificio. Durante il soggiorno presso la Villa Castelletti, Garibaldi avrà modo di conoscere l’istituto agrario che Leopoldo Cattani Cavalcanti, suo ospite, aveva organizzato, insieme a Carlo Michelagnoli e Gino Capponi. Attraverso moderni criteri pedagogici, che integravano studio e lavoro, e superavano il tradizionale criterio dell’assistenzialismo, gli orfani degli agricoltori venivano assistiti, educati e istruiti alla disciplina e alla coltura dei campi.
La visita di Garibaldi segnerà in maniera decisiva la vita dell’Istituto Agrario Cavalcanti, al punto che, qualche anno dopo, la Direzione fornirà i ragazzi di cappello e camicia rossa, assunti ufficialmente come divisa dell’Istituto.
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, le pesanti conseguenze dei bombardamenti avevano ridotto la cittadina di Signa e i suoi dintorni in condizioni di estrema difficoltà. Oltre alle numerose vittime, la guerra aveva devastato interi quartieri e completamente distrutto la zona industriale. La volontà di ricostruzione e l’impegno costante della popolazione consentiranno di superare le difficoltà del dopoguerra e di avviare un processo di rinascita e di sviluppo dell’economia locale. Per offrire accoglienza e aiutare tutti quei ragazzi che, dopo la guerra, concluse le scuole elementari, si trovavano disorientati e in difficoltà, viene realizzato, il 3 maggio del 1945, il primo progetto del Villaggio Scolastico Artigiano di Signa, intitolato a Giuseppe Garibaldi, per volontà del maestro Leopoldo Fantozzi e del capomastro Alberto Carpitelli.
Il maestro Fantozzi, nativo di Pontedera, era rimasto orfano al1’età di due anni e aveva lavorato ?n da bambino presso varie botteghe artigiane, maturando presto capacità tecnica e perizia nelle attività manuali. Partito per la guerra con il grado di ufficiale, nel 1943 incontra per caso un soldato, Alberto Carpitelli, muratore capomastro di Livorno, con esperienze educative da allenatore sportivo. In virtù delle loro distinte esperienze di educatori, insieme maturano la convinzione che soprattutto i giovani orfani e poveri siano i più bisognosi di aiuto e manifestano il proposito di dedicarsi insieme all’opera di recupero degli adolescenti più infelici. Dopo il ritorno in Toscana, Fantozzi, rimasto in contatto con Carpitelli, intraprende la realizzazione di questo progetto, seppure nelle sue linee generali, perfezionandolo e completandolo. Quindi, sotto l’influenza del pensiero del pedagogo svizzero Iohan Heinrich Pestalozzi e ispirandosi all’esperienza di Ernesto Codignola, che, insieme alla moglie Anna Maria Melli e alla maestra Marianna “Maria” Maltoni, aveva fondato nel 1945 la Scuola-Città Pestalozzi, a Firenze, nel quartiere popolare di Santa Croce.
Il 5 febbraio del 1946, nei locali delle Scuole Elementari di Signa, inaugura il Villaggio Scolastico Artigiano Giuseppe Garibaldi, successivamente intitolato a Benvenuto Cellini, in onore dell’arte e dell’artigianato. Lo spirito che anima l’iniziativa è quello di accogliere i ragazzi rimasti orfani e privi di guida per dare loro una casa. A]l’interno del Villaggio tutto è organizzato come in un piccolo stato democratico, dove i ragazzi imparano ad autogestirsi e a capire l’importanza di essere utili a se stessi e agli altri. I principi del1’educazione civica vengono insegnati attraverso la riproposizione dell’organizzazione amministrativa comunale all’interno della struttura scolastica; la nomina a sindaco o l’affidamento di diversi incarichi di responsabilità costituiscono l’esempio più diretto dell’applicazione di tali principi.
I ragazzi che in conseguenza della guerra, terminate le elementari, sono nell’impossibilità di proseguire gli studi, vengono istruiti e avviati ad un mestiere che consenta loro di affrontare la vita dignitosamente. Oltre alle lezioni dedicate alle normali discipline scolastiche i ragazzi apprendono diverse attività lavorative: ceramica, falegnameria, meccanica, bigiotteria, tipografia. Oltre all’opportunità di studiare e di avviarsi ad una professione, viene quindi offerta loro anche la possibilità di inserirsi all’interno del tessuto produttivo locale.
Nei laboratori si impara a modellare l’argilla al tornio, a dipingere le ceramiche, a intagliare il legno, si insegnano la meccanica, l’elettrotecnica e la lavorazione della paglia, una delle attività più importanti di Signa. Le sculture, i bassorilievi e le lapidi, eseguiti nella sezione “ceramica”, accompagnano molto spesso le manifestazioni patriottiche; il riferimento iconografico più ricorrente è Garibaldi, al quale è dedicata la maggior parte delle opere.
Nel 1950 viene iniziata la costruzione della nuova sede, inaugurata nel 1958 da Clelia Garibaldi e da Wanda Ferragamo, in veste di madrine. La circostanza viene immortalata in una raffigurazione composta da una serie di mattonelle di ceramica che rappresentano Clelia circondata dai ragazzi del Villaggio e in una lapide di marmo recante la scritta “Visita di donna Clelia Garibaldi al Villaggio”. In un dipinto di Giuseppe Santelli è raffigurata, inoltre, una bambina sorridente, Osanna Fantozzi, nipote di Leopoldo, che indica la nuova sede del Villaggio Scolastico Artigiano. Fin dal giugno del 1946, quando i ragazzi si erano recati in gita all’Isola d’Elba, era stato previsto, per l’anno successivo, un viaggio a Caprera. La preparazione della gita era stata estremamente minuziosa. Dapprima la partenza sarebbe dovuta avvenire dal porto di Civitavecchia, ed erano già stati presi contatti con il sindaco della città, con il direttore e gli alunni della Scuola Industriale Luigi Calamatta, per garantire il vitto e l’alloggio. Erano state avviate anche le pratiche con il Ministero dei Trasporti che avrebbe concesso gratuitamente il viaggio in treno, mentre la Società di Navigazione Tirrenia aveva offerto il trasporto marittimo. A Olbia era disponibile un automezzo per recarsi a Palau, oltre alla disponibilità degli alloggi e delle cucine, mentre a La Maddalena erano pronti i mezzi di trasporto marittimo per raggiungere Caprera e già organizzata l’accoglienza presso la Sala del Municipio. La Direzione delle Scuole C.E.M.M. avrebbe garantito il vitto e l’alloggio e l’Ammiragliato aveva predisposto la cerimonia di accoglienza. Tuttavia, l’intervento del Ministero Difesa Marina, che concedeva un mezzo marino con partenza da un qualsiasi porto desiderato per raggiungere direttamente La Maddalena, intervenne a modificare l’organizzazione iniziale del viaggio.
Nel 1947, tra il 19 e il 25 luglio, un cospicuo numero di ragazzi, suddiviso in vari sottogruppi, si reca per la prima volta in visita a Caprera. Nel viaggio vengono accompagnati dall’assessore Donatello Bercigli, delegato del sindaco di Signa Marino Volpi, mentre l’assistenza sanitaria è af?data al dottor Roberto Fenzi e quella spirituale garantita da Don Tito Palanti. Stabilita la data di partenza, dal porto di Livorno, per il giorno 19 luglio, il Ministro della Difesa mette a disposizione, sia per l”andata che per il ritorno, la corvetta “Chimera”. Alle 4 del mattino la stazione di Signa è affollata dai cittadini intervenuti a salutare la partenza dei settantuno gitanti, cinquantuno ragazzi e venti adulti, per lo più insegnanti delle varie materie: letterarie, scientifiche, igiene del lavoro, leggi artigiane, disegno artigiano, ceramica, paglia, meccanica, falegnameria e elettrotecnica. Alle 4 e 47, al ?schio del treno fa seguito il clamore appassionato della folla festante di quelli che partono e di quelli che restano. Alle 8 si raggiunge la stazione di Livorno dove attendono gli automezzi della Marina Militare per condurre i gitanti al porto. Qui la corvetta “Chimera”, comandata dal Tenente di Vascello Natale Gulletta, è pronta per la partenza, un furiere procede all’appello e alle 8 e 30 si parte. Ben presto la vita di bordo si anima e si inizia con entusiasmo a familiarizzare con i componenti dell’equipaggio.
Abbandonato l’Arcipelago Toscano, si intravvede presto il profilo rude e selvatico della Corsica che viene costeggiata per un lungo tratto. Mentre calano le prime ombre della sera, in lontananza appare la Sardegna, dove si arriverà solo a notte inoltrata. Sul molo di La Maddalena, in attesa, si trovano schierate tutte le autorità civili e militari; alcuni automezzi della Marina Militare conducono i ragazzi alla Caserma Comandante Avegno, dove sono state allestite due lunghe ?le di letti a due posti per il riposo notturno. Il giorno successivo, dopo la sveglia e il caffè, in fretta si raggiunge la chiesa di Due Strade per assistere alla messa domenicale. Nel pomeriggio è previsto il ricevimento ufficiale preso il Palazzo del Municipio. I canti gioiosi dei ragazzi accompagnano il rinfresco presieduto dal Sindaco, Giuseppino Merella, dall’Assessore alla Pubblica Istruzione, Felicita Guccini, e da tutti i componenti della Giunta Comunale, oltre a numerosi rappresentanti della comunità cittadina. Alla manifestazione è presente anche il Comandante della Caserma Avegno, il Capitano di Corvetta Giovanni Cunsolo.
Il 21 luglio, di mattina presto, si parte per Caprera a bordo di una motocisterna della Marina Militare. Davanti alla casa di Garibaldi, li attende Donna Clelia, figlia del Generale, gelosa custode delle memorie paterne. Si visita la tomba dell’Eroe, sulla quale viene deposta una corona di fiori, e, dopo le consuete fotografie, di gruppo si procede alla visita della casa del Generale, sede del Museo Garibaldino di Caprera. Clelia accoglie la folta comitiva coadiuvata da Clelia Gonella, sua dama di compagnia, e dalla Signora Elena Marínozzi, sua fida compagna.
Lasciata Caprera, dopo il pranzo, ci si incammina verso l’Arsenale Militare, centro della vita operaia della cittadina di La Maddalena.
Il Professor Libero Sarchielli, insegnante di Meccanica, illustra dettagliatamente ai ragazzi ciascuna fase lavorativa. Poi, presso il campo sportivo della Marina, si svolge un incontro di calcio con una rappresentanza locale formata da adulti. La lunga e impegnativa giornata si conclude con la visione di un ?lm presso il cinema della Marina. Il giorno successivo è il 22 luglio, festa di Santa Maria Maddalena, patrona dell’isola, dopo una esibizione ginnica nel cortile della caserma, di corsa tutti al mare ai bagnetti della Marina nella vicina Isola Chiesa. Più tardi, l’Ammiraglio Gastone Minotti, con al seguito l”intero Stato Maggiore, raggiunge la caserma e visita, in compagnia dei ragazzi, il refettorio e l’interno delle camerate; infine assiste nel piazzale alle numerose manifestazioni in programma.
Dopo la mensa si va nuovamente al mare e verso sera in giro per la cittadina tra la popolazione locale, che festeggia con diverse manifestazioni e con una solenne processione religiosa Santa Maria Maddalena. Il 24 luglio, prima che spunti l’alba, tutto è già pronto per il ritorno. Dopo l’appello e l’imbarco, si riparte lungo una nuova rotta, più breve, che consente di raggiungere nel pomeriggio il porto di Livorno. Dopo lo sbarco, intorno alle 17, si tiene il commiato dall’equipaggio della “Chimera”, quindi, sugli automezzi della Marina Militare, si raggiungono i locali della scuola Antonio Benci, che garantisce l’alloggio e il pernottamento. La giornata successiva si svolge tra una serie di incontri con le Autorità locali e una visita alla città; nel pomeriggio si parte dalla stazione di Livorno, a bordo di un vagone riservato, in direzione di Signa. Qui, alle 21 e 30, 1’intera cittadina attende festosa alla stazione il rientro dei ragazzi. La memoria della gita, af?data a un diario di viaggio pubblicato nello stesso anno, recita nelle conclusioni: “La gita è ?nita, ma il profumo dei ricordi è in tutti noi, che guardiamo al Villaggio e crediamo alla realtà vivente di esso, alla forza educatrice che promana dalle vicende del suo passato e dai fermi e sani propositi del suo avvenire”.
La gita a Caprera, con il medesimo impegno e lo stesso entusiasmo, si ripeterà puntualmente negli anni successivi, ?no alla metà degli anni Settanta, ricordata talvolta anche dalla stampa. Durante il processo di formazione politica e sociale, nell’Italia del secondo dopoguerra, si rinnovano i principi e il carattere pedagogico dell’azione dei protagonisti del Risorgimento.
Il forte sentimento patriottico che caratterizza la Resistenza partigiana e la guerra di liberazione sarà ancora il senso dell’identità comune e dell’unità. L’identità nazionale viene costruita, dunque, come somma di identità locali attraverso il sentimento condiviso di appartenenza alla “Grande Patria*, sintesi dell’unione di molteplici “piccole patrie”. Il significato autentico del pellegrinaggio scolastico è tutto racchiuso nella volontà di recare in dono e mostrare il conseguimento dei risultati della propria esperienza di vita comunitaria.
Procedendo dal profano verso il sacro, il viaggio è metafora della vita. Come Baudolino, nel romanzo omonimo di Umberto Eco, rivela al suo confidente, Niceta. Coniate: Un doveroso e sentito ringraziamento va alla Pro Loco di Signa che mi ha indirizzato a Vito Gentile (del Comitato scientifico della Pro Loco stessa), massimo conoscitore della storia del Villaggio Scolastico di Signa, che ha seguito sempre il presente lavoro, sino al suo termine, con garbata attenzione e preziosi consigli.
Giovanni Mulas