Antoine-Claude Pasquin e Voyages en Corse, à l’île d’Elbe et en Sardaigne
Valery è lo pseudonimo di Antoine-Claude Pasquin, conservatore delle biblioteche del re nel palazzo di Versailles e di Trianon, sia sotto il regno di Carlo X di Borbone (1824-30) sia sotto quello successivo di Luigi Filippo di Borbone Orléans (1843-48).
Il suo “Viaggio in Sardegna” occupa il secondo volume di un progetto più corposo, che come altri a lui contemporanei prevedeva il resoconto dei viaggi compiuti nelle principali e più inesplorate isole del Mediterraneo, dal titolo “Voyages en Corse, à l’île d’Elbe et en Sardaigne”.
Valery giunge nell’isola alla fine di aprile del 1834 e vi si trattiene per circa un mese e mezzo, percorrendola, dopo essere sbarcato a La Maddalena, da nord a sud e ritorno, per un totale di oltre ottanta tappe. Dotato di vasta cultura, egli giunge nell’isola ispirato da quei sentimenti di riscoperta romantica del passato che già molti prima di lui vi avevano attirato, e che permea il suo approccio alla conoscenza di una realtà nuova ed estremamente diversa: d’origine romantica è non solo la sua percezione dei paesaggi e della natura, ma anche l’entusiasmo verso l’uomo e le sue manifestazioni culturali che sono espressione del passato, della valorizzazione di quel sentimento di “origine” che è parte dello storicismo romantico.
Egli è un viaggiatore accorto, ispirato, che nota le cose e se ne lascia coinvolgere, che asseconda lo stimolo alla meditazione che gli offrono un panorama, una fontana di acqua cristallina, una distesa di frutti succulenti, fino ad inebriarsene. Compie gran parte del suo viaggio nel mese di maggio e vede forse ciò che di meglio la natura offre, ma anche la primavera della gente per la quale “il mese di maggio in Sardegna è una festa perpetua”; le sue tappe nei vari paesi sono costellate di riti e processioni, parate sacre che si fondono con le corse di cavalli, le gare poetiche, le fiere di bestiame.
La sagra di Sant’Efisio (descritta nel viaggio di ritorno) è la festa più solenne ma è anche “il più singolare degli spettacoli per la ricchezza, la varietà dei costumi, l’allegria dei balli, e la gioia degli abbondanti spuntini sull’erba”. Il sacro e il profano sono raccontati all’interno di una cornice mutevole, che è quella del cambiamento politico, della speranza di abolizione del feudalesimo, evento che il viaggio di Valery coglie nel pieno del suo svolgimento, e al quale affida le sorti dello sviluppo tecnologico e sociale.
Voyages en Corse, a l’île d’Elbe, et en Sardaigne, tome
second, Paris, Librairie de L. Bourgeois-Maze, 1837.
Partenza da Bonifacio
Eccessi, incoerenze delle quarantene È da Bonifacio che mi imbarcai per visitare la Sardegna. Al ritorno ripassai con piacere in questa gradevole città per completare il mio viaggio in Corsica. Credo che questo itinerario sia il più semplice e il migliore quando si vogliano visitare le due isole. Per andare nell’isola della Maddalena, adiacente alla Sardegna e primo punto del territorio sardo che dovevo raggiungere, mi procurarono una lunga e scomoda barca, zavorrata con grosse pietre. Salutai di sfuggita gli scogli di San Bainzo, di Cavallo e di Lavezzi famosi per le rovine delle cave romane. Prima di arrivare alla Maddalena notai uno scoglio bizzarro che, da lontano, ha proprio la forma di un orso e ha valso a questo punto della costa il nome di Capo dell’Orso.
Alla Maddalena dovetti subire i rigori incoerenti della quarantena.
La quarantena non esisteva affatto per andare da Marsiglia a Genova; non c’era nemmeno per coloro che vi si recavano da Bonifacio, mentre mi veniva imposta per attraversare lo stretto canale da Bonifacio alla Maddalena.
Il governatore di Livorno aveva appena ottenuto che fosse tolta per le navi del porto; il console di Francia a Cagliari aveva scritto al nostro ministro degli esteri per essere autorizzato a fare un reclamo analogo, con la certezza che sarebbe stato accolto; invece non aveva ricevuto nessuna risposta. Senza la condiscendenza del comandante e delle autorità dell’isola, che segretamente permisero a me e al mio compagno di viaggio, il signor Piras, un coraggioso e impassibile negoziante di Bonifacio, di sistemarci nella camera di un capomastro del paese, sarei stato costretto, come i marinai, a passare tre giorni e due notti a bordo della nostra esile barca, e con la pioggia, o a bivaccare sotto uno scoglio della spiaggia, come un negoziante di Montpellier che in seguito ho incontrato in Sardegna. Alla Maddalena non c’è un lazzaretto e quello che si doveva costruire nell’idonea ubicazione dell’isola di Santo Stefano non si è potuto fare per mancanza di fondi.
Questa stupida quarantena, tanto spiacevole e tanto dura per i viaggiatori e per il commercio francese, fu finalmente abolita, grazie alle istanze reiterate del nostro eccellente console in Sardegna, monsieur Cottard, e io ne sono stato probabilmente l’ultima vittima.
Isola della Maddalena
La colonia corsa che circa un secolo fa si stabilì alla Maddalena ne occupò dapprima la sommità, nel punto in cui oggi si trova la chiesetta della Trinità. Questa colonia si estese poi coi rifugiati che fuggivano la coscrizione dell’Impero, e oggi conta circa 1.500 abitanti che hanno conservato la lingua dell’isola originaria. Questo punto divenne, durante il blocco continentale, un vasto e ricco deposito di merci inglesi.
È impossibile non essere colpiti dalla pulizia e dalla buona costruzione delle case, tutte imbiancate all’esterno.
Questa sorta di splendore è dovuto principalmente al barone di Geneys, creatore della marina sarda, una ventina d’anni fa comandante della Maddalena e vero fondatore dell’attuale città, tanto ha contribuito ad accrescerla e ad abbellirla.
L’isola è pressoché incolta, a eccezione di qualche vigna che dà un vino eccellente e un’ottima uva passa. È abitata soltanto da famiglie di marinai: perciò la popolazione delle donne mi sembrò esorbitante, dato che i marinai sono il più delle volte in viaggio e che cinque o seicento di loro erano allora impiegati nel porto di Genova.
Dalle fila degli abilissimi marinai della Maddalena provengono uomini arrivati ai massimi gradi, come i due Millelire, il primo morto come comandante dell’isola, il secondo ancora oggi direttore dell’arsenale di Genova, e diversi altri ufficiali meritevoli, come A. Zicavo, capitano del porto e comandante di marina alla Maddalena.
La chiesa, abbastanza bella per un così piccolo porto, era stata tinteggiata di recente in occasione dell’imminente visita del vescovo.
Questa chiesa fu ricostruita a cura del barone di Geneys con le offerte volontarie degli abitanti. I materiali tratti dalla penisola della Testa, vicino a Longosardo, e dall’isola di Tavolara, erano stati sollecitamente trasportati, nei giorni di festa e nelle domeniche, dalle donne e dai bambini.
Questa gioiosa e commovente corvée sembra confarsi ai costumi religiosi dell’Italia; è più o meno allo stesso modo che fu eretto lo splendido tempio consacrato da Canova al suo luogo di nascita, e che ora è la sua tomba.
Questa chiesa di un’isoletta non frequentata offriva, ancora fino a pochi anni fa, i diversi regali dei due principali capitani di terra e di mare che il nostro secolo abbia visto: i candelabri e la croce d’argento, con un Cristo dorato, dati da Nelson e la bomba lanciata di suo pugno da Napoleone, dall’isola di Santo Stefano, quando, come comandante in seconda del battaglione dei volontari del Liamone, faceva parte della sfortunata spedizione diretta nel 1793 contro l’isola della Maddalena. Questa bomba fu lanciata vuota da Napoleone che volle soltanto spaventare gli abitanti, quasi suoi compatrioti; essa cadde pacificamente in una tomba in mezzo alla chiesa precipitosamente abbandonata dai fedeli, i quali non mancarono d’attribuire alla protezione di Santa Maddalena, patrona della chiesa e dell’isola, il miracolo della caduta inoffensiva dell’ordigno. Ho visto i candelieri dal procuratore della fabbriceria, mercante di tele, il quale per maggior sicurezza li custodiva nel suo negozio. La bomba fu ceduta nel 1832, al prezzo di 30 scudi, a un inglese, il signor Craig, commesso della casa Macintosh di Glasgow, stabilitosi alla Maddalena, dove faceva raccogliere dalle rocce il lichene verdastro chiamato erba tramontana che la chimica inglese utilizza con successo, così come i licheni di Corsica, nelle tinture. Un consigliere municipale aveva negoziato lo scambio della bomba che fu inviata in Scozia all’insaputa degli abitanti. I 30 scudi dovevano servire all’acquisto di un orologio di cui la parrocchia era ancora mancante. Tuttavia i due grandi donatori della Maddalena non ne hanno mai toccato il suolo. Nelson, che consentiva ai suoi ufficiali di scendere a terra, non volle mai lasciare neppure per un istante la sua nave, e il corpo d’armata di Napoleone fu respinto.
Quella carriera così gloriosa, quelle innumerevoli vittorie in tanti lontani campi di battaglia, dovevano stare tra due disastri: il piccolo e oscuro fallimento della Maddalena e l’immenso rovescio di Waterloo.