“Che ci pensi il papa”
Chissà che cosa dovette pensare il “ cavalier ” Luigi Alibertini, sindaco anticlericale nella sua quintessenza, quando gli pervenne quella notizia che mai egli avrebbe voluto apprendere. [1]
Un convento di frati sarebbe dovuto sorgere nell’area a ridosso del Regio cantiere navale, laddove erano posti ai lavori forzati circa duecento galeotti, provenienti da ogni parte d’Italia, e ad un tiro di schioppo dall’eremo del “Fratello” Giuseppe Garibaldi. Il quale, a sua volta, tutto si sarebbe atteso, fuorché di riposare, dopo essere migrato nell’Oriente Eterno, accanto ad un istituto retto da coloro che, quando era in vita, aveva definito in modo sprezzante: “la setta degli impostori!”. [2]
Il primo cittadino, ex ufficiale di Marina e massone dichiarato della Loggia intitolata alla memoria dell’Eroe dei Due mondi trasalì ed ebbe un sussulto d’ira allorché si senti rivolgere, finanche, una richiesta di contributo economico dagli abitanti di Moneta per far sorgere un ente che solo al sentirne parlare faceva diventare il vecchio “gentleman” isolano ordinario e screanzato. [3]
“ Il re della religione” era il papa: ci avesse pensato lui a pagare tutte le spese.
Non si trattava di una notizia ricevuta per vie traverse. Avevano “parlato” dell’erigendo convento del Passo della Moneta persino i quotidiani nazionali.
Qualcuno, dall’ambiente della piazzaforte militare, ovverosia dal cuore pulsante della Piccola Parigi, raffinata, chic e mangiapreti, aveva deciso di opporsi alla necessità religiosa avvertita dagli abitati del quartiere operaio “in nuce” e dal padre vincenziano, in odor di santità, Giovanni Battista Manzella, durante la sua storica missione nell’arcipelago. [4]
Qualcuno, dall’isola che accoglieva personaggi d’ogni formazione politica e d’ogni cultura, aveva voluto scatenare il fior fiore dell’anticlericalismo nazionale, con una campagna di stampa “scientifica”.
Il Secolo- Gazzetta di Milano, due giorni prima del Natale del 1907, pubblicò la notizia. [5] L’estensore del “pezzo” ne citò, a suo modo, anche la fonte – “ci telegrafano da Sassari”- e l’ora in cui era stato informato – le 22 della sera, del giorno prima di quello d’uscita del quotidiano: “ …Giunge a La Maddalena la strabiliante notizia che i Monaci di San Vincenzo hanno deciso di fondare un convento all’estremità sud dell’isola, presso il ponte levatoio di Caprera, proprio di fronte alla casa e alla tomba dell’eroe. Tale atto interpreta come una sfida al culto di Garibaldi, come un effetto della politica tittoniana. [6] Regna un fermento nella popolazione”. [7]
Il Secolo di Milano, di proprietà della casa editrice Sonzogno e diretto, in quegli anni da Carlo Romussi [8], fu la prima voce contraria all’edificazione di un luogo di culto cattolico presso il Regio Cantiere, aprendo una sfida all’autorità religiosa che proseguirà nei mesi successivi e che assumerà i contorni di una vera prova di forza da parte degli enti civili e militari.
Qualche giorno dopo uscì anche La Nuova Sardegna, quotidiano di Sassari fondato dal gruppo dei repubblicani locali guidati da Filippo Garavetti. Nell’articolo, una corrispondenza da Tempio, fu posto l’accento sulla “profanazione” del sacrario di Caprera. [9]
“ Una lettera pervenuta all’associazione Giordano Bruno contiene una strabiliante notizia che ci sorprende e ci rattrista ad un tempo, profondamente- si leggeva- Esiste in La Maddalena un asilo condotto dalle suore di San Vincenzo le quali si occupano di educare i giovinetti… che han ben pensato di chiamare i fratelli dello stesso ordine per mettere su casa propria e fissarsi stabilmente in Maddalena. Anzi han già cominciato le trattative per l’acquisto di un’area fabbricabile e costruirvi un grande convento. Sapete dove? Non già come era logico nel centro abitato o nelle vicinanze di esso, ma in regione La Moneta, cioè nell’estremità sud dell’isola, proprio presso il ponte levatoio di Caprera e proprio di fronte alla casa e alla tomba del Generale. E’ un caso? O non vi é da pensare piuttosto che si sia agito ad arte e che si faccia sorgere l’imponenza dell’edificio claustrale come una sfida, come una minaccia a quella casa e a quella tomba? Dalle colonne di questo vecchio giornale della democrazia di Sardegna, noi gettiamo il grido di allarme e diciamo ai cittadini di Maddalena, ai cittadini d’Italia tutta, a quanti in questa età di rinunzie e di vergogne non hanno ancora il collo al giogo del servaggio e le coscienze prostituite al fango delle menzogne e della corruzione, diciamo che questo scandalo dell’audacia tittoniana deve essere ad ogni costo impedito. Noi giovani, che sentiamo altissimo il culto per il grande eroe della nostra gente e dovremmo domani ereditare il compito sacro di custodire la titanica sepoltura, dove verranno a tirar gli auspici le falangi dei ribelli, marcianti alla conquista dei nuovi destini, noi assistiamo vigilanti, muti e addolorati, in quest’ora grigia della vita italiana, al tramonto degli ideali, delle aspirazioni e dei pensieri di libertà e di indipendenza: dinnanzi alla vostra opera costruttrice, o governanti e schiavi, noi chiniamo la testa piangendo ai fati della patria. Ma Garibaldi é ancora nostro, é nostro, della generazione nuova, questo genio tutelare della stirpe italica, perché non ci sentiamo scossi da un fremito di ribellione e trafitti da una punta di dolore, quando si osa turbare l’eternità dei suoi sogni e di far minaccia alla sua memoria. Lasciate ch’ei dorma sotto il fragore del mare: ci sembra che il tocco delle vostre campane, o frati di San Vincenzo, e il canto delle voci salmodianti, portato sull’ali del vento, andrà a svegliarlo nelle notti della tempesta e la sua ombra si leverà di sotto il masso granitico ed andrà vagando come un leone ferito nella solitudine degli scogli ruggendo di dolore e di disdegno.
E forse voi, o frati di San Vincenzo, udrete i ruggiti e le maledizioni dello spettro implacato. Sui lidi dell’Ellesponto si accoglievano la notte i fantasmi degli strateghi achei per placare l’ombra di Aiace e i marinai passavan lontano, paurosamente. Anche a Caprera correrebbero le legioni dei martiri; le ombre di tutti gli eroi, di tutti i ribelli, di tutti i liberi a placare il nume risvegliato dal dolore del tocco delle vostre campane, o frati di San Vincenzo” [10] L’articolo fu firmato da un tale “Del Nero”. [11]
Ma l’ente religioso che sarebbe dovuto sorgere a Moneta non avrebbe dovuto assumere le peculiarità di un ritiro monastico e non vi avrebbero trovato accoglienza quei padri che, secondo la regola del loro ordine, erano votati alla carità e all’assistenza.
I propugnatori dell’iniziativa, più semplicemente, avevano previsto di dare origine ad un luogo di culto e di preghiera a beneficio delle maestranze dell’arsenale militare e delle loro famiglie.
L’autorevole quotidiano milanese aveva preso, come suole dirsi, una “topica” colossale.
Si era trattato di una superficiale valutazione delle informazioni ricevute, da parte dei cronisti, oppure l’organo di stampa, che faceva riferimento ad una determinata area politico-culturale, aveva pubblicato una notizia falsa, soltanto per sollevare un polverone?
Ci pensarono quelli de “La Tribuna”, un giornale concorrente al “Secolo”, a ristabilire la verità. [12]
La smentita partì direttamente dalla Maddalena: “ La notizia data da Sassari al Secolo di Milano, circa l’istituzione di un convento per opera di frati di San Vincenzo nei pressi del ponte di Caprera é priva di fondamento. Solo c’è di vero che fra breve sarà costituita una piccola chiesa per i fedeli della frazione Moneta e dove abitano tutti gli operai del Regio Cantiere con le loro famiglie. La frazione Moneta dista, appunto, pochi passi dal ponte di Caprera”. [13]
Anche Il Mattino di Napoli, altrettanto prestigioso foglio giornaliero- lo avevano fondato e lo dirigevano personaggi del calibro di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao- aveva parlato di chiesa e non di convento [14]. Quindi…
L’iter proseguì. Il cartello anticlericale e massone, che controllava il Comune e trovava sostegno nell’amministrazione militare, si preparava ad incassare un duro colpo.
Intanto, il contrammiraglio Augusto Bianco, che comandava il presidio della Maddalena, apparentemente allarmato dall’annuncio, forse fingendo di cadere dalle nuvole, si affrettò ad inviare al Sindaco una nota piena di interrogativi.
“ Nel numero 358 del giornale Il Mattino e nella Tribuna é stato pubblicato un telegramma da Sassari col quale si annuncia l’erezione di un convento di monaci di San Vincenzo, all’estremità di quest’ isola presso il ponte della Moneta- scrisse il comandante- Interesso la cortesia di Vostra Signoria per compiacersi farmi conoscere quanto vi sia di vero nella informazione suaccennata” [15]
Il “cavalier” Alibertini rispose quasi subito, affermando che anche lui aveva saputo dai giornali del pericolo imminente. [16]
Però, nessuna comunicazione ufficiale gli era pervenuta al riguardo e, per quanto il Sindaco in persona avesse voluto sincerarsi della veridicità della notizia, nessuna delle persone interpellate era stata in grado di fornirgli “ una precisa e formale assicurazione”.
Alibertini riconosceva che stava diffondendosi “insistente la voce sull’erezione dell’accennato convento”, sebbene alcuni quotidiani avessero smentito la notizia stessa.
“Sull’argomento mi sia lecito esprimere il mio convincimento ed il mio pensiero- scriveva il primo cittadino dell’arcipelago-, giacché per ragioni del mio ufficio mi sono dovuto occupare di una pratica che ha relazione con quella in esame. Nei primi mesi dell’anno testé decorso, da parte dell’autorità di P.S. mi veniva richiesto il nulla osta per far raccogliere spontanee offerte dei fedeli per sopperire in parte alle spese necessarie per edificare una chiesa in Regione Moneta.
Io, naturalmente, niegai il richiestomi nulla osta per quanto dalla stessa autorità sia stata rinnovata preghiera di rilasciare l’assenso.” [17]
Il più fervente propugnatore della fondazione della chiesa, era un tale “signor Tobino”, direttore del Regio Cantiere, il quale, insieme ai suoi subordinati Ciocca Secondo e Martinetti, “concretò l’affare” [18]- come affermava ironicamente Alibertini- in occasione della visita alla Maddalena da parte del Vescovo di Sassari. [19]
Per costruire il convento ( o la chiesa ?) fu acquistato “un tratto di terreno dal signor Cesare Bargone [20] nella regione della Moneta, nei pressi dell’edificio Muntoni [21] e quasi di fronte alla tomba di Caprera…” [22]
“Ora non v’ha chi non veda come la fondazione della chiesa possa dirsi un fatto compiuto pur essendosi frapposto ostacolo da parte di questo ufficio il quale, non per opprimere la manifestazione del pensiero altrui, ma per la indiscutibile inutilità di una chiesa nella Regione Moneta, essendovene una ampia e in Maddalena, ebbe ad esprimere parere contrario- continuava Alibertini- Certo, la fondazione di questa chiesa non é altro che il richiamo di un convento che, se non oggi, domani si farà sorgere in quelle vicinanze poiché, é inutile nasconderlo, la nuova chiesa chiamerà un parroco ed un aiutante e piano piano si accrescerà l’edifizio e si sentirà il bisogno di aumentare il numero dei preti e anche dei frati se si pensa che a Maddalena esiste già la casa di San Vincenzo, diretta dalle suore.
In conseguenza di tutto ciò, se per il momento l’azione del vescovo di Sassari e di quelli che l’hanno coadiuvato in Maddalena si è soffermata alla fondazione di una chiesa, é certo che fra non molto si fonderà anche il convento.
Ritenendo, pertanto, summa iniuria che in una piazzaforte e nella terra ove splende il faro di Giuseppe Garibaldi ed ove si idearono e si maturarono le sorti dell’unità italiana, sorga un convento, io fin d’ora, mi opporrò con tutte le forze, convinto che la mia opera sarà coadiuvata dalla autorità militari” [23].
Il 25 marzo 1908 il Sub- economo della diocesi di Tempio e Ampurias. Monsignor Antonio Dettori, scrisse al Sindaco [24] informandolo della richiesta che il “Reverendo Vicario” – il parroco di La Maddalena Antonio Vico- aveva inoltrato al Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, allo scopo di erigere una nuova chiesa nel Regio Cantiere [25].
I toni della lettera scritta dal canonico Vico erano garbati, ma le richieste esplicite. [26]
Nel frattempo, il Diacono Generale dei Benefici Vacanti interpellò il Comune per sapere quale somma avesse voluto erogare allo scopo, rilevando che l’obbligo derivava all’ente locale dalla legge comunale e provinciale in vigore e dalle Regie Patenti del 6 gennaio 1874, n. 1594, ancora in vigore. [27]
Il Sindacò formulò di proprio pugno una risposta piccata, scrivendo direttamente sulla lettera che aveva ricevuto.
“ Nel Comune di La Maddalena esiste una chiesa secolare capace di contenervi tutti i fedeli e, come precedentemente questa amministrazione ebbe a significare, nulla resta da aggiungervi. Questa cittadina é nascente, abbisogna di soccorso. Quindi i soldi da elargire per l’erezione della chiesa romana saranno molto più proficui per l’acqua, l’illuminazione, l’istruzione, la viabilità, un ospedale, un asilo. L’amministrazione, quindi, non intende minimamente assegnare neppure un centesimo. Il Re della religione é il Papa, il Papa dunque con tutti i suoi fedeli vi provvederanno”. Firmato: il Sindaco Alibertini. [28]
Il Sindaco, laico intransigente, nemico rivelato del clero, rispetto ai primi interventi, stemperava la sua animosità.
Ai preti non doveva nulla e, sottolineava, per legge. Nulla avrebbe concesso.
La chiesa se doveva sorgere, che fosse sorta. Ma, un fatto era certo: il Comune non avrebbe erogato neppure una lira.
Un’altra lettera, con la risposta ufficiale del Comune fu inviata solo due giorni dopo. [29]
I toni erano molto meno aspri, ma inequivocabili.
Alibertini ribadì che non intendeva erogare alcuna somma a favore dell’erigenda chiesa, non essendovi tenuto né per disposizione di legge, né in forza delle Regie Patenti.
Quindi si sarebbe potuta tollerare la costruzione della chiesa stessa, ma da “mondo laico” titolare legittimo della rappresentanza popolare, quello cattolico che aveva osato forzare la mano, non avrebbe ricevuto in dono neppure un mattone.
“Per norma significo che questi miei amministrati della chiesa esistente in La Maddalena ne hanno fin troppo e quindi il Comune non é tenuto a corrispondere alcunché per il soverchio…” – affermava ancora Alibertini. [30]
Perché il Sindaco cambiò atteggiamento? Non tanto per la forza di persuasione esercitata direttamente su di lui dal parroco Antonio Vico, visto che questi, integerrimo uomo di chiesa, era aduso ad esercitare fino in fondo le funzioni di padre spirituale della comunità.
Il prudente sacerdote, infatti, teneva a separare, seppure con qualche difficoltà, il suo mondo da quello del capo dell’amministrazione comunale.
Vi era da presumere, invece, che il successo finale fu ottenuto dal gruppo dei clericali grazie alla presenza di uomini di peso al suo interno.
Questi personaggi, che gravitavano nell’orbita della Marina Militare e del Regio Cantiere – a titolo d’esempio, il signor Tobino- seppero fare arrivare le loro voci fino al Ministro di Grazia e Giustizia e di Culti, magari avvalendosi del sostegno fattivo e indispensabile del vescovo di Sassari, così come aveva rivelato il Sindaco al Comandante del Presidio Militare.
Il Comune, in altri termini, fu costretto ad eseguire ordini superiori: Alibertini, e tutto il suo “entourage”, recepirono la cosa come una sorta di costrizione.
Soltanto qualche giorno dopo il primo cittadino dell’arcipelago scrisse al Sottoprefetto di Tempio per informarlo della stima dei lavori per la nuova chiesa, affinché l’alto funzionario pubblico si fosse “ compiaciuto” di avallare la firma del sindaco stesso e degli assessori Berretta, Altea e R. Bargone “.[31]
La documentazione doveva essere restituita con una certa urgenza, spiegava il Sindaco, “ poscia la suddetta perizia dovrò consegnare a questo parroco”. [32]
Alla lettera vi erano allegati il computo metrico delle opere da realizzare-eseguito su ordine di Alibertini dal capo dell’Ufficio Tecnico Comunale- e il calcolo preventivo della spesa da sostenere ( diecimila lire). [33]
Il Sottoprefetto restituì le pratiche, con la firma convalidata. [34]
“Questo parroco”, che il Sindaco neppure nomina e con cui non aveva nulla da condividere, ricevette la somma che gli era stata assegnata, il 22 aprile successivo. Antonio Vico poté cantare vittoria, nel momento in cui appose la sua firma per ricevuta in calce alla lettera di Alibertini.[35]
Mentre avveniva questo passaggio di documenti a livello istituzionale, alcuni degli abitanti del rione di Moneta rivolsero una petizione al Sindaco.
Tobino, Ciocca, Martinetti e, con loro, uno stuolo nutrito di osservanti cattolici, seppero che il Governo del Re si era rivolto al Consiglio Comunale perché avesse concorso, con un proprio contributo, alla costruzione della chiesa.
L’intervento del Vescovo di Sassari aveva avuto l’esito atteso.
I “monetini” chiesero al Sindaco di farsi interprete della necessità di avere una chiesa nel loro rione, di “prendere in considerazione la predetta domanda e di bilanciare una somma al riguardo”. [36]
Una pura formalità, quando ormai i giochi erano fatti.
Tra i firmatari vi erano quasi tutti i capifamiglia del rione operaio e le loro donne:
Proto Canu
Felice Birza (?)
Ernesto Paolini
Giuseppe Aiello
Antonio Callanta
Carlo Fanti
Augusto Muntoni
Annunziata Vitelli
Giovanni Faletti
Carolina Domenichini
Francesco Marini
Luigi Perino
Angelo Coppadoro
Roger Luigi Scinti
Francesco Porimeno
Carolina Coppa
Sabatelli De Giovanni
Ferdinando Laurenti
Andrea De Giovanni
Giuseppe Demeglio
Carmela Devita
Giovanni Maria Aisoni
Mariangela Zicavo
Gaetano Rochieri Gatto
Antonio De Luca
Andrea Orecchioni
Giovanni Cutroneo Giobatta Barabino
Giovanni Sini Giovanni Malanossi
Giovanna Isca Giuseppe Zizzo
Gennaro Russo
Nicola Raimondo
Battista Rum
Salvatore Langella
Giuseppe Cancedda
Emilio Lenzi
Antonio Strologo
Bartolomeo Giannetti
Pietro Sechi Vincenzo Impagliazzo
Pasquale Vallarino
Antonio Marini
Salvatore De Meglio Salvatore Zizzo
Antonio Giovanni Sini
Enrico Marini
Silveria Sini
Pietro Bisogno
Andrea Casula Cleonice Culiolo
Nicola Corazza Giovanni Chiabotti
Antonio Zonza
Cesare Chiti
Maria Albano
Natale Berretta
Ernesto Del Piano Cesare Cerri
Giuseppe Lotti Salvatore Dussoni
Ludovica Cau Agnoli Alessandro Ferrigno
Gian Mario Dussoni
Antonietta Dussoni
Carlo Sciaccaluga
Mario Ferrigno
G. Sciaccaluga
Balbino Dussoni
Paolino Dussoni
Romeo Del Bianco
Benedetto Davoli
Olivia Tanca vedova Rizzo
Maddalena Amsicora Origoni
Paolo Calzoni
Marco Malsano
Salvatore Abate
[1] Luigi Alibertini, di una nota famiglia isolana, fu Sindaco della Maddalena dal 1905 al 1908.
[2] Nel 1872 morì alla Maddalena Luigi Gusmaroli, mantovano, che aveva svestito la tonaca da prete per seguire Garibaldi nelle sue imprese patriottiche e nell’eremo di Caprera. Fu sepolto nel cimitero vecchio della città dove aveva terminato la propria esistenza terrena e lo stesso Eroe dei due Mondi compose il testo dell’epigrafe tombale. “ Qui giace il maggiore Luigi Gusmaroli dei Mille/ Egli vestì l’abito da prete/ quando in giovane età di ragione/ capì che non doveva essere/ della setta degli impostori/ e se fè uomo milite/ valorosissimo della libertà italiana/ pugnò in tutte le patrie battaglie/ e fu padre e marito onesto / ed amorossimo”: furono queste le parole che Garibaldi fece incidere sulla lapide che sembrava andata perduta dopo le vicissitudini seguite alla demolizione del cimitero vecchio- avvenuta nel 1948- ma che è stata riscoperta di recente, in occasione di un restauro avvenuto nel cimitero nuovo e ricollocata in un settore del campo comune, ben visibile al pubblico.
[3] “Il librone matricola del Grande Oriente d’Italia racconta di qualcosa come centotrenta Figli della Vedova ( alla Maddalena) fra il 1903 e il 1923, ma è certissimo che il piedilista effettivo, nel corso di quei due decenni e dell’altro precedente ( 1893-1902), sia stato assai più rigoglioso di quanto i sacri documenti non attestino… Centotrenta e passa Artieri danno idea del dinamismo missionario dell’ensemble che svolge il suo proselitismo attraverso la coeva società XX Settembre, inizialmente presieduta dal Fratello Giuseppe Volpe, portatore sempre e ovunque degli ideali laici e anticlericali. E con lui vanno ricordati anche i nomi di Luigi Alibertini e di Giovanni Maria Bajardo… “ (G.MURTAS, Diario di Loggia. La Massoneria in Sardegna dalla caduta del fascismo alla nascita dell’Autonomia. Cagliari, 2001, p. 159 ). L. Alibertini, “ ufficiale in ritiro”, nel 1882, figurava nell’elenco dei 115 soci fondatori della Società di Mutuo Soccorso “ XX Settembre”, da noi consultato.
[4] La visita di Padre Manzella fu compiuta nel 1906. Per approfondire l’argomento si rimanda alla lettura della relazione di Padre Pietro Pigozzi, tenuta il 25 ottobre 2003 alla Maddalena, in occasione del Convegno di Studi per il Centenario della fondazione dell’Istituto San Vincenzo. Il documento riporta interi brani del resoconto della missione svolta nell’arcipelago da Padre Manzella, che era accompagnato dal confratello Padre Antonio Valentino, ed è stato pubblicato sul periodico “Il Vento”, nn. 7-8-9-10, A. 2006.
[5] Cfr. Il Secolo del 23 dicembre 1907
[6] Da Tommaso Tittoni (Roma 1855 – Manziana, Roma, 1931), politico e diplomatico, che fu chiamato da Giovanni Giolitti a reggere il Ministero degli Esteri dal 1903 al 1905 e dal 1906 al 1909. Vicino al mondo cattolico, dopo la Prima Guerra Mondiale tornò agli Esteri con Francesco Saverio Nitti dal 1919 al 1920, avviando a soluzione il problema di Fiume. E’ stato Presidente del Consiglio dei Ministri dal 12 al 27 marzo 1905 e del Senato dal 1920 al 1929.
[7] Il Secolo cit.
[8] Questi aveva sostituto da un decennio il “garibaldino”, fondatore e storico direttore, che si chiamava, ironia della sorte, Teodoro Moneta.
[9] Cfr. La Nuova Sardegna, n. 349 di venerdì e sabato 27/28 dicembre 1907. Vi é da ricordare che qualche mese prima ( il 4 luglio ) si erano svolte, in grande stile, le celebrazioni commemorative del Centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. L’Associazione Giordano Bruno, circolo massonico e anticlericale, fu fondato nell’autunno di quello stesso anno.
[10] Ibidem.
[11] Del Nero: si trattava dello pseudonimo dietro il quale avrebbero potuto celarsi Silla Lissa o Claudio Demartis, animatori del dibattito politico a Tempio, in quegli anni, fondatori della prima sezione socialista in Sardegna e promotori della “Giordano Bruno”, che aveva tra i propri sostenitori il Sindaco di Tempio Giovani Maria Cabella e il collega maddalenino Luigi Alibertini. Nel 1908, gli adepti della “Giordano Bruno” organizzarono, in quella che era all’epoca la città guida della Gallura, il primo e unico congresso del “Libero Pensiero” con l’obiettivo di emancipare le masse “dal pregiudizio religioso, considerato la causa prima dei mali economici e sociali della Sardegna”.
Sull’argomento cfr. Cronache Tempiesi a cura di Tomaso Panu, Sassari, 1988, pp. 32-38 e pp. 58-59 ed anche G. GELSOMINO, “Cento anni fa nasceva “G. Bruno”, circolo di massoni e anticlericali in “La Nuova Sardegna” del 12 novembre 2007. Edizione Gallurese.
[12] Cfr. La Tribuna del 30 dicembre 1907.
[13] Ibidem.
[14] Cfr. Il Mattino di Napoli del 30 dicembre 1907.
[15] Lettera del 30 dicembre 1907- prot. 2416 dal Comando del Presidio Militare della Maddalena.
[16] Archivio Comune della Maddalena, Lettera del Sindaco Alibertini al Comandante del Presidio Militare del 4 gennaio 1908.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] L’Arcivescovo di Sassari era monsignor Emilio Parodi, che resse l’Arcidiocesi turritana dal 10 ottobre 1905 al 22 dicembre 1916, quando passò a miglior vita.
[20] Membro di una nota famiglia della Maddalena. Alcuni dei suoi componenti appartenevano alla Loggia “Giuseppe Garibaldi”.
[21] Il riferimento é al palazzo ottocentesco, ancora oggi abitato, che si trova nell’attuale Via Benvenuto Cellini e che copre l’area su cui sorge la chiesa di Moneta.
[22] Archivio Comune della Maddalena, Lettera del Sindaco cit.
[23] Ibidem .
[24] Cfr. Archivio Comune di La Maddalena Lettera del Sub -economo Dettori al Sindaco Luigi Aliberttini del 25 marzo 1908, prot. 680.
[25] Il Ministro, dal 1905, era il giurista Vittorio Emanuele Orlando. Allora, il Dicastero di Grazia e Giustizia e dei Culti, in assenza di rapporti diplomatici, avevano il compito di tenere relazioni ufficiose con la Santa Sede. Orlando mantenne l’incarico durante il Governo Giolitti, fino al 1909.
[26] “Eccellenza- scriveva Vico al Ministro- da, quando furono completate le fortezze in quest’isola della Maddalena e si sono fabbricate le case operaie nel rione La Moneta, per gli operai ed impiegati nel Regio Cantiere della Marina, si affacciava la necessita di costruirvi una piccola chiesa, ma non si poté effettuare per mancanza di mezzi. Ora dopo le insistenti domande degli stessi operai ed impiegati, si è venuti nella determinazione di costruirvi in quel rione la tanto sospirata chiesetta onde dette famiglie potessero avere il beneficio di adempiere ai loro doveri religiosi, battezzarvi i loro figlioli, ascoltare la Santa Messa e la Parola di Dio. All’uopo si é ricorso all’Arcivescovo di Sassari, amministratore apostolico della nostra Diocesi, il quale ha offerto una somma abbastanza rilevante, ma non del tutto sufficiente per portare a compimento detta opera“.( C. RONCHI, Il Canonico Antonio Vico: un prete di frontiera in Almanacco Maddalenino, n. II, aprile 2003, p. 32. Il brano citato riporta parzialmente il contenuto del documento conservato presso l’Archivio della Parrocchia di Santa Maria Maddalena nel fascicolo intitolato: Documenti Chiesa di Moneta ).
[27] Archivio Comune della Maddalena, Lettera cit.
[28] Archivio Comune della Maddalena, Lettera di risposta del Sindaco Luigi Alibertini al Sub economo Dettori del 28 marzo 1908.
[29] Archivio Comune della Maddalena, Lettera del Sindaco Luigi Alibertini del 30 marzo 1908.
[30] Ibidem.
[31] Archivio Comune della Maddalena, Lettera del Sindaco Luigi Alibertini al Sottoprefetto di Tempio dell’8 aprile 1908
[32] Ibidem.
[33] Ib.
[34] Archivio Comune della Maddalena, Risposta del Sottoprefetto al Sindaco del 14 aprile 1908. (nota n. 1306).
[35] Ibidem
[36] Archivio Comune della Maddalena, Lettera degli abitanti del Rione Moneta al Sindaco e al Consiglio Comunale del 23 marzo 1908 ( prot. N. 1827)