Cini Boeri
Agosto, primi anni Sessanta. «Mio marito Renato mi prendeva in giro: ma credi davvero troveremo traghetto e casa alla Maddalena? Si dovette ricredere. La casa la trovai e l’isola, oggi, è diventata il mio rifugio». Cini Boeri, tra le poche donne ad aver scritto la storia dell’architettura italiana, è una delle presenze più care ai maddalenini. Da quell’agosto sono passati cinquanta anni, i figli sono diventati noti professionisti e le ville che ha disegnato nell’arcilepago sono finite sui manuali.
«L’estate per me ha i colori della Sardegna: tra il verde, il blu e l’argento. Cangiante. Amo il suo vento e quando ne avverto il profumo mi sento finalmente a casa». Il vento: quello che soffia tra le bocche azzurrine dell’arcipelago è tra i più temuti dai naviganti. Non per lei: «Il vento pulisce i miei pensieri, mi aiuta a stare in piedi». All’Abbatoggia, dove c’è la villa di Cini, ci si va in macchina o in barca, tutti col naso all’insù a guardare quell’altare nella macchia verniciato di grigio. La gente del posto lo chiama il “bunker”: «Una specie di tenda appoggiata sugli scogli, costruita con pochi mezzi e materiali essenziali. I venti hanno cercato più volte di farla volare, ma è forte e massiccia, ha resistito».
Quel lembo di terra l’architetto l’ha trovato scandagliando la costa col suo Boston Whaler: «Uscivo la mattina coi bimbi a bordo e rientravamo la sera zuppi fradici. Felici». Eppure i primi approcci coi maddalenini non sono stati morbidi. Furti, atti intimidatori e un’ostilità sottile che le feriva la pelle. Poi è arrivato Dongu, l’uomo tuttofare che da 54 anni l’accompagna fedelmente. «Col tempo ho capito che non ce l’avevano con me, erano manifestazioni di ostilità tipiche degli isolani, gente che ha sempre avuto paura di essere occupata dallo “straniero”. Dongu me lo ripete spesso: la base dei sardi è il sospetto, condito da un po’ di dispetto, tipico dei maddalenini».
Ma non è solo l’arcipelago il palcoscenico privilegiato di questa professionista che ha firmato progetti anche con Giò Ponti e Zanuso: negli anni ‘70 la sezione milanese del PCI le affidò la realizzazione del museo di casa Gramsci a Ghilarza. «Un lavoro che mi fece conoscere gli abitanti del centro Sardegna, gente ben diversa da chi viveva vicino ai centri turistici della costa: persone semplici, ospitali, dal forte orgoglio. E a Ghilarza conobbi anche Lussu, personalità di grande spicco della cultura sarda; durante la guerra, sulle montagne dove da giovane avevo militato con Renato, dette vita a “Giustizia e libertà”. Nella casa di Gramsci mi sono limitata a ripulire gli ambienti realizzando delle teche in cristallo per proteggere gli oggetti. Quando venne Berlinguer fu molto contento: lo definì “un lavoro rispettoso”. Poi cambiò l’amministrazione e i lavori del rifacimento della piazza e dell’anfiteatro rimasero in sospeso». Le solite “incompiute” che ricordano tanto Nivola.
Ma c’è un altro, grande progetto che potrebbe presto riportare Boeri in Sardegna ed è la biblioteca flottante pensata assieme all’amico e collega Frank O. Gehry, lavoro che ricorda il raffinato impianto del Teatro del mondo di Aldo Rossi e realizzato per la Biennale di Venezia del 1980. «Penso a una biblioteca natante, sull’acqua, compresa di auditorium e sala riunioni. Uno spazio aperto, galleggiante, nomade e multiculturale, sempre pronto a mollare gli ormeggi e collegare popoli e coste. Ne avevo parlato anche con Soru tempo fa, spero ancora si possa realizzare». Zattera, barca, limite e confine. Affascina quest’idea di uno spazio preciso ma non precisato, un distributore di cultura circondato solo dal mare, dove il sospetto lascia spazio alla fiducia. E la cultura si trasforma in bellezza.