Corallari
I pastori corsi non furono i soli frequentatori dell’Arcipelago nei secoli XVI e XVII: sempre più le sue acque venivano visitate dalle indomite “coralline”, barche non grandi, attrezzate con rudimentali strumenti, gli ingenia, con i quali i fondali marini venivano come rastrella ti alla ricerca del prezioso corallo.
Tre furono le ragioni per cui il corallo, ricercato fin dalla più remota antichità, salì in questi secoli a quotazioni sempre più elevate: la prima consiste nel potere magico che gli veniva attribuito, grazie al quale la sua fortuna quanto più i popoli cedevano alla superstizione; e quindi si faceva largo commercio di amuleti e talismani in corallo. La seconda è una proiezione della precedente, e cioè l’uso sempre più ampio della polvere di corallo nella farmacopea dell’epoca, specialmente per i malanni gastro-intestinali. La terza ragione è da ricercarsi nell’uso massiccio che questo misterioso minerale-animale si faceva nell’arte orafa e nell’artigianato: collane, diademi, anelli, oggetti religiosi d’ogni tipo e perfino cornici di quadri, intarsi nei mobili, lampadari e via dicendo.
Nel XVI secolo si formarono famosi centri di lavorazione del corallo, tra i quali i principali erano quelli di Trapani e di Torre Del Greco, la cui produzione era ambita in tutto il mondo. Si costruirono di conseguenza flottiglie di barche e generazioni di valentissimi corallari specialmente in Provenza, Liguria, Toscana e nel napoletano.
I governanti videro nel corallo una fonte preziosa di finanziamento delle loro infinite guerre: perciò i Re di Spagna puntavano principalmente sugli introiti delle concessioni di pesca; altri stati, come Genova, Firenze, Venezia, sulle tasse che gravavano sul prezzo del prodotto. Va detto infine che il Corallium nobile di Linneo, l’unico che si presti alla lavorazione artigiana, cresce quasi esclusivamente nel Mediterraneo e che quindi esso ne rappresenta una delle risorse più ricche.
Secondo due documenti datati 24 luglio 1600 e 28 agosto 1601, le acque dell’Arcipelago erano concesse a pescatori provenzali e liguri, per la pesca del corallo, in cambio di una tangente del 10% alla corona spagnola. Nel corso del XVII secolo, a questi si aggiunsero barche di toscani, di ponzesi e di Napoletani di Torre del Greco. Da un rapporto del XVIII secolo, redatto dal luogotenente d’Artiglieria Theseo, risulta che i banchi più frequentati a quel tempo distavano circa 10 miglia da Punta Galera di Caprera e si stendevano fino in prossimità dell’Isola di Tavolara, presso Olbia. Questi uomini si stabilivano, limitatamente alla stagione di pesca, in barche di legno lungo la marina di Maddalena (attuale Cala Gavetta) e costituivano così un secondo polo abitato sulla riva del mare, distinto da quello dei pastori corsi che si erano stabiliti per sicurezza, tra i graniti del Colle Piano. Non pare che in quest’epoca corressero rapporti tra le due comunità, vuoi per il carattere chiuso dei pastori, vuoi per, lo sfibrante lavoro dei pescatori che durava dall’alba al tramonto.
Se un rapporto ci fu, dovette riguardare le forniture di prodotti commestibili (pane, latte, formaggi), e di alcolici di contrabbando da parte dei pastori ai pescatori. Anche lo stile delle dimore differiva profondamente. Se ai pescatori, uomini soli, senza famiglia, era sufficiente una baracca di legno, i pastori consideravano la loro casa fissa dimora e perciò la costruivano, sia pure di un solo vano, ma in blocchi di granito a secco, con la finestra che si apriva sul lato opposto rispetto al vento prevalente. Il tetto era a due spioventi, fatto di sterpi della macchia, fissati probabilmente con lastre granitiche. Fuori della casa, il forno per il pane, pure in pietra, era emisferico.