Correva l’anno 1791
Il deputato di Bonifacio Buttafuoco propone una spedizione in Sardegna, mostrando i vantaggi dell’annessione dell’isola alla Corsica.
Un poderoso intervento costruttivo aggiunge alla Torre di Longonsardo una mezzaluna nella piazza d’armi, come abitazione del comandante Giammaria Taras, e altri ambienti nel rivellino che ospitano una compagnia di dragoni.
Raffaele Passiu, dopo che molti altri avevano rifiutato, accetta l’incarico di alcaide per la torre.
Michele Costantini sindaco di La Maddalena.
Il bailo Carzia nel suo documento annuale con cui “ricapitolava” lo stato della Maddalena, rilevava 174 famiglie per 787 abitanti, confermando i dati del cavalier De Chevillard, comandante della Beata Margherita, che registrò nello stesso anno 180 famiglie per 800 anime. (Il bailo Agostino Carzia era piemontese. Fu il terzo bailo, dopo il genovese Fravega e il piemontese Foassa. Quando assunse l’incarico, nel novembre 1785, proveniva da Castelsardo dove era al servizio di quel governatore. Il primo bailo sardo fu il successore di Carzia nel 1812: l’avvocato Giovanni Maria Sanna.)
febbraio
Il comandante Chevillard invia al vicerè un’articolata memoria sulle condizioni sociali ed economiche della Maddalena ed elabora molte proposte atte a migliorarle.
marzo
Il viceré Des Hayes inviò il comandante del regio pinco, il vassallo Di Brondel, e il comandante del felucone de Nobili a sondare i pastori, ma anche per orientarli ad accettare la sovranità sarda. Le relazioni al viceré raccontano che già nel marzo i pastori presentarono una loro riserva per timore della reazione dei mercanti bonifacini: ”se noi ci ricoveriamo sotto la protezione di S. M. il re di Sardegna potrebbero li suddetti sequestrarci li nostri effetti che possediamo in Bonifacio”. Ma contemporaneamente proposero loro stessi la soluzione. “..se la M. S. si degnasse di mandare un piccol distaccamento di soldati per prendere possesso, noi altri non avessimo veruna difficoltà di sottometterci alla sua obbedienza come anche di riconoscerlo per legittimo nostro sovrano”. Tale orientamento fu confermato in successivi incontri, permanendo però il loro netto rifiuto alle insistenti pretese di Brondel a sottoscrivere anche con la croce una formale richiesta al re sardo di intervenire, pur ritenendo che nella nuova situazione avrebbero migliorato le loro condizioni di vita. Non conosciamo la dinamica interna che si sviluppò nel gruppo maddalenino e caprerino sull’ipotesi di accettazione del dominio sardo. Non conosciamo i ragionamenti che la giustificarono, non sappiamo neppure se si manifestarono dissensi e ne ignoriamo le eventuali argomentazioni. Visto però come andarono le cose, certamente la stragrande maggioranza dovette aderire, ma non mancarono evidentemente dei delatori che misero in allarme Bonifacio su quanto stava accadendo. Da parte loro i maggiorenti bonifacini reagirono attivando il commissario genovese che a sua volta inviò il cancelliere Scotto a tentare di rafforzare nei pastori il senso di appartenenza al dominio della Serenissima. Scotto ebbe lunghi soggiorni nelle isole e in alcune occasioni tra fine marzo e maggio fece trasferire a Bonifacio i pastori più autorevoli per averne delle deposizioni giurate da rendere formalmente nella curia bonifacina. Queste dichiarazioni risultano speculari e opposte a quanto relazionato dai comandanti sardi al viceré, ma naturalmente senza la disponibilità ad accettare la giurisdizione sarda. Al contrario si leggono denunce di pressioni per richiederla e proclamazioni enfatiche di fedeltà a Genova. Matteo Culiolo raccontò l’incontro dei 40 capifamiglia con Brondel affermando che i pastori avevano contraddetto le pretese del comandante sardo sul dominio del re su quelle isole e sui suoi abitanti. “io e tutti gli altri – verbalizzò Matteo – abbiamo risposto che il terreno apparteneva al nostro Serenissimo principe da molti secoli, e che non riconoscevamo nient’altro che la Serenissima repubblica di Genova, per la quale saremmo morti mille volte piuttosto che riconoscerci sudditi di un altro”. Stessa testimonianza resero Pietro Millelire, Francesco Ornano, Domenico Mariano e Giò Andrea Ornano. Successivamente Marco Maria Zicavese raccontò anche l’operazione di rilevazione dei presenti nelle isole fatta da Brondel e ripeté i sensi della fedeltà a Genova di tutti i pastori. Scotto si ritirò dalle isole pochi giorni prima dell’arrivo delle truppe sarde lasciando un documento di protesta e una bandiera della repubblica Sarenissima. Del drappo non si seppe più nulla, il documento invece fu consegnato a De Roquette dai caprerini, dando soddisfazione alla parte bonifacina, che però ricevette dai pastori una relazione maliziosamente distorta dell’operazione di occupazione sarda. Si tratta di un testo singolarissimo che sembra scritto apposta per consacrare il patto a suo tempo concluso col viceré cagliaritano di adesione al nuovo dominio sardo “subendo” (tra virgolette) la violenza dell’attacco militare. Matteo Culiolo, Domenico Moriano, Giovan Batista Zicavo, Pietro Millelire, Giovanni Andrea Ornano, Silvestro Panzano e Pietro Culiolo “a nome di tutti li abitanti delle isole della Maddalena e Caprera della nostra Serenissima Repubblica” dichiararono di essere stati assaltati nel pieno della notte da 300 soldati, di non aver potuto dare l’allarme a Bonifacio per aver avuto requisite le loro imbarcazioni, di aver proclamato le isole di appartenenza a Genova e di aver perciò ricevuto minacce alla loro vita, concludendo. “noi semo pronti semo fedeli sempre al nostro Prencipe tutti l’ora che ci comanda sempre viva il nostro Prencipe fino all’ultima stilla di sangue”. Intendendo per prencipe quello genovese. Come noto non fu versata alcuna goccia di sangue, e la controprova definitiva della scelta dei pastori a favore della sovranità sarda venne dalla constatazione che gli abitatori delle isole di prima dell’occupazione sarda non le abbandonò rientrando in Corsica, ma vi si consolidò. I nostri pastori non erano in grado di elaborare ragionamenti giuridici e istituzionali. Per essi l’operazione di un corpo militare che si insediava nei territori sino ad allora utilizzati in piena libertà, era da considerarsi sul piano esclusivo del tornaconto. Giacché non potevano pensare di contrapporvisi, dovevano predisporsi ad accettarlo, ricercando il massimo utile possibile, o altrimenti ad abbandonare le isole. Anche un gruppo geograficamente e socialmente marginale come il loro non poteva non rendersi conto, per le frequentazioni che aveva con Bonifacio, che in Corsica si stava esaurendo la forza del dominio genovese, e che la Francia sarebbe subentrata. Tale prospettiva non parve convincente e conveniente ai nostri pastori, che da questa eventualità pensavano di non ricavarne niente di più. Dalle pressioni di parte sarda e dalle contromosse bonifacine essi si trovarono impegnati in un’alternativa radicale su dove stare e con chi stare. Ma niente di dottrinale, per cui la ragione più profonda della scelta che quei pastori operarono è da ricercarsi, alla grossa, nella convenienza che valutarono tra l’impossibile mantenimento della situazione in cui stavano e la possibilità di una riconversione della loro situazione economica e patrimoniale. Più in generale, per le prospettive che il nuovo, piuttosto che il ritorno in Corsica, poteva favorire per la crescita delle condizioni di vita delle loro famiglie. Essi scelsero superando la temuta pressione dei mercanti bonifacini, che avevano interesse a tenere le isole indipendenti per il loro tornaconto. E non dovette essere secondario, per la opzione a favore della Sardegna, proprio il motivo della liberazione dallo stato di dipendenza da quelli. La condizione esistente, conosciuta e probabilmente non particolarmente gradita, parve meno accettabile di quella futura ipotizzabile, che si sarebbe instaurata nei confronti del comando del distaccamento sardo e quindi con il governo vicereale sardo. Si avviò così nelle nostre isole una storia singolare e intensa, originale nel contesto gallurese e sardo, ricca di eventi e personaggi che ebbe nei due momenti che oggi abbiamo ricordato la formazione della propria identità storica, culturale e sociale. (Salvatore Sanna)
2 giugno
Ordinanza sanitaria con minaccia di pena di morte: “Trovandosi l’isolotto denominato la Cala della Chiesa in rigorosa quarantena, a nome di S.E. il Sig. Viceré, si proibisce chiunque persona di non avvicinarsi al predetto isolotto ne con schiffi, ne con altro, ancorché fosse legno Regio, senza l’intervento dell’infrascritto Deputato per la Sanità, sotto pena della morte, a quei tali che volessero un tal ordine trasgredire; ed acciocché veruno possa allegarne ignoranza, si manda ad effiggersi il presente Pregone nel luogo solito. La Maddalena li 2 giugno 1791. Carzia Deputato la Sanità“. L’isolotto di Cala Chiesa veniva spesso impegnato come luogo di quarantena per i barbareschi catturati dalle mezze galere, galeotte e gondole sarde in servizio nell’arcipelago e dintorni. Le misure di sanità dovevano essere rigorosissime per evitare lo sviluppo del contagio. Ultimata la quarantena, a cui dovevano sottostare in luoghi separati anche i marinai che avevano avuto “contatto” con i turchi pur in combattimento, i catturati venivano qualificati schiavi e posti al lavoro o scambiati con schiavi cristiani. In quella occasione si trattò della preda di una grossa galeotta tunisina con 11 “barbari” feriti. Il bailo Carzia si chiamava Agostino, e firmava le sue numerosissime note informative e memoriali sempre e solo con la C iniziale, da non confondere con Nicolò Garzia, quest’ultimo era invece, un corsaro con bandiera inglese, che ne faceva di cotte e di crude nel periodo della presenza di Nelson nell’arcipelago. Per un periodo è stato anche vice console inglese, sostituito dall’avvocato bonifacino Giovanni Brandi.
30 dicembre
Un documento rinvenuto dallo storico maddalenino Salvatore Sanna, ci rivela una relazione dove appare per la prima firma autografa di Domenico Millelire, di una missione svolta per salvare il carico di baccalà di un brick inglese incagliatosi nei pressi di Santa Teresa Gallura.