Correva l’anno 1798
11 maggio
Non abbiamo notizie dell’esistenza di “collegamenti epistolari” ai tempi in cui l’isola di La Maddalena era frequentata da pescatori di corallo che giungevano da Genova e da pastori che arrivavano dalla vicina Corsica. I primi collegamenti epistolari, limitati a dispacci militari, si hanno nel giorni successivi al 14 ottobre 1767, con l’occupazione delle Isole da parte della Marina Sarda. L’esigenza di istituire rapidi collegamenti con Cagliari sede del Viceré di Sardegna e scalo principale di tutte le rotte postali e mercantili diede luogo ad un “servizio postale marittimo esclusivamente “statale”, a mezzo di “Bastimenti Leggeri” della Marina Reale. all’occorrenza, i notabili maddalenini non disdegnavano di affidare agli stessi mezzi la corrispondenza privata. Una cosa, in particolare, va posta subito in evidenza: la scarsa densità demografica e il diffuso analfabetismo non hanno certamente lasciato quell’abbondanza di materiale che consentirebbe, oggi, una facile ricostruzione dei percorsi fatti dalle lettere. Qualcosa può dedursi, solo ove esiste, dal contenuto epistolare e dai pochi sigilli raramente apposti dai pubblici uffici o dai privati. Nella lettera dell’11 maggio 1798 di Domenico Millelire si rileva ché la stessa venne affidata al Comandante di un “Bastimento Leggero” della Reale Marina Sarda; infatti, in risposta al fratello, così scriveva: “Stamane essendo le ore undicesima è stata giunta da costì la Gondola l’Aquila, ed ho ricevuto per mani del comandante la vostra lettera. . . “
23 maggio
A seguito di una tempesta, Nelson si rifugiò a Carloforte col vascello Vanguard e le fregate Orion e Alexander; fu ben accolto e festeggiato dalle autorità e dalla popolazione, dimentica della breve fiammata repubblicana accesa cinque anni prima da Buonarroti, e ignara della sciagura che stava per abbattersi su di loro, provocata, come si romanzò poi, dall’adulterio di una carlofortina. Fattosi musulmano, il marito tradito, un capraiese, guidò infatti per vendetta una flottiglia tunisina di 4 unità armate dalla Reggenza (gli sciabecchi di Rais Hassan e Mohamed Romeli, da 22 e 26 cannoni e le polacche – kirlangui – di Mohamed Moralli e Mustafa Medunli da 24 e 26, con 1.050 uomini) e una galeotta (di Memich Dodosli) da 4 cannoni e 40 uomini armata da Mahmed Rais. La notte del 2 settembre 1798 la flottiglia sbarcò 300 uomini nell’Isola di San Pietro. La Torre San Vittorio era munita di 10 cannoni di ferro in ottimo stato, con 116 rubbia di polvere e 875 cartucce, ma la guardia (caporale Stefano Vigo e 3 cannonieri miliziani) si fece sorprendere e tirò 4 colpi di cannone quando i tunisini erano già penetrati nella torre, dandosi poi alla fuga. La popolazione (2.000 persone) non ebbe il tempo di reagire, anche se vi fu qualche tentativo di resistenza, testimoniato dall’uccisione di 30 corsari e di 5 carolini. Le autorità si misero tutte in salvo insieme ai viceconsoli di Francia, Ragusa, Danimarca e Inghilterra (la cui residenza fu l’unica rispettata), anche se il comandante della piazza, cavalier De Candia, fu se non altro ferito. I tunisini ebbero modo di portare a termine la maggiore razzia subita dalla Sardegna, catturando 819 persone, metà donne e un quarto ragazzi. Ripartirono il 5, dopo aver inchiodato 2 cannoni, ma senza prendersi né distruggere l’armamento della torre e dei 5 bastioni di Carloforte. La fregata francese Badine, che si trovava per caso a Cagliari e che fu subito inviata a Carloforte, arrivò lo stesso 5 settembre, poco dopo la partenza dei tunisini, con a bordo Antonio Grondona, che fece la prima relazione. Accorsa alla Maddalena, il 10 la flottiglia di Porcile imbarcò a Cagliari un distaccamento di 30 cannonieri nazionali comandato dal sergente Onorato Maurandi; i venti contrari ritardarono l’arrivo a Carloforte al 17, ma il 20 i soldati furono in grado di respingere a cannonate 2 corsari che accennavano ad un nuovo sbarco. Tredici mesi dopo, il 14 ottobre 1799, un’altra flottiglia tentò uno sbarco alla Maddalena spiccando sulla spiaggia 2 cannoniere e 12 altre scialuppe, che furono però respinte a cannonate e fucilate dalla milizia comandata dal solito Domenico Millelire.
3 luglio
Il comandante della “Beata Margherita”, di stanza alla Maddalena, ricevette i complimenti per «la preda fatta dai regi legni sotto i di lei ordini d’uno scampavia tunisino equipaggiato di 17 uomini».
2 – 3 settembre
Nella notte un’orda di corsari barbareschi attaccò Carloforte dove catturò oltre novecento abitanti. l prigionieri furono imbarcati e trasportati a Tunisi in stato di schiavitù. L’incredibile razzia impressionò l’Europa cristiana che si mobilitò per aiutare quegli infelici. Contemporaneamente, iniziarono le trattative per il riscatto che, però, si protrassero per ben cinque anni. La situazione si sbloccò solo in seguito ad un deciso intervento di Napoleone Bonaparte che indusse il bey Hamùda Pascià a ridurre le sue pretese. Alla fine si riuscì a trovare un accordo: la liberazione sarebbe avvenuta dietro pagamento di 341.970 lire sarde. La somma venne recuperata e nel 1803 la maggior parte dei rapiti poté far ritorno in Sardegna.) Si trattò di un attacco a sorpresa, ma “annunciato” e temuto come dimostrano i dispacci in arrivo e partenza dall’ufficio del viceré, conservati nell’Archivio di Stato cagliaritano. Incalzanti e continui, essi consentono anche di tracciare una mappa dei luoghi preferiti dai barbareschi: i litorali nord-orientale e nord-occidentale, quel quello di Oristano, le isole di San Pietro e Sant’Antioco, la marina di Quartu Sant’Elena. Una buona parte delle note indirizzate o provenienti da autorità civili e militari dei paesi minacciati, riguardava notizie relative all’avvistamento di legni barbareschi o i loro movimenti in mare, nonché elogi nel caso uno di essi venisse catturato.
Tra i 993 tabarchini prigionieri che, dopo l’invasione barbaresca di Carloforte del 3 settembre 1798, avrebbero sofferto per circa 5 anni la schiavitù in terra d’Africa, spicca la figura di Francesca Rosso. Francesca era schiava al palazzo del Bardo quando di lei si innamorò follemente il fratello minore del Bey, il principe Sidi Mustafà. Nonostante l’avversione della madre, Sidi non distolse le sue mire dalla bella cristiana, finché, promessole che sarebbe stata la sua unica moglie, non ne vinse le resistenze: abiurata – almeno esteriormente – la fede dei suoi, nel 1810, all’età di 17 anni, Francesca Rosso divenne così l’unica legittima sposa del principe Sidi Mustafà, che le impose il nome di Lela Jenet Bèia. L’unione fu felicemente allietata dalla nascita di un maschio, che sarebbe diventato Sidi Amed Bey. Il piccolo fu allevato dalla madre e, cresciuto negli anni, fu dalla stessa mandato a Parigi, sotto la tutela del vescovo di Lione, per compiervi un corso di studi. Questo fatto, posto in relazione con l’antica fede materna, originò in molti il sospetto che fosse stato segretamente battezzato. Alla morte di Hassim Bey, avvenuta nel 1822, Sidi Mustafà succedette al fratello e tenne il regno per 4 anni. Mentr’egli moriva, Francesca richiamò a Tunisi con tutta segretezza il Figlio da Parigi. Hammed tenne il trono per 24 anni, fino alla morte avvenuta nel 1850, in circostanze misteriose. Francesca, dopo qualche tempo, riallacciò i rapporti con la sua famiglia carlofortina e col suo popolo, chiamando a se la sorella, il fratello e due nipoti – Bartolomeo e Peppino, divenuti in seguito ufficiali dell’esercito turco, – dando ospitalità e concedendo facilitazioni ai carlofortini che si recavano a tunisi per la stagione di pesca nella tonnara di Sidi Daude. Francesca Rosso sopravvisse al figlio e, mentre la nuora – sorella del Sultano di Costantinopoli – vedova, ben presto ritorno nella nativa Istanbul, ella preferì finire la sua vita laddove tutto le ricordava il figlio diletto, prematuramente scomparso e lo sposo che aveva fatto della fede mantenuta il più grande pegno d’amore.
Tratto dallo “Studio Monografico sulla città di Carloforte” “il Gavaccino”, la testimonianza – di Paolo Stringa: “…………. Agostino Bracci, che trafitto da vari colpi di yatagàn, trovò ancora la forza per rientrare col favore delle tenebre nella sua casa in precedenza devastata (forse per ciò buon nascondiglio) e salvarsi; Maddalena Ageno, disperatamente avvinta al cadavere del marito, dal quale non riuscirono a staccarla gli uccisori di lui, venire dai medesimi sgozzata ed inchiodata allo sposo; Maria Armeni che, ferita da una schioppettata, vide portar via il suo uomo e morirle vicino, soffocato, il proprio bimbo ancora lattante; Rosa Parodi, incinta di un bimbo, essere uccisa mentre invano implorava misericordia per la creatura che nutriva in seno; Anna Leone che trasportata ferita mortalmente su una tartana, fu lasciata morire senza cura alcuna ……….“.
8 dicembre
Carlo Emanuele IV firma la resa: rinuncia alla regia potestà sui sudditi del Piemonte e si appresta a lasciare Torino.
31 dicembre
A Cagliari i tre rappresentanti eletti dagli Stamenti partono per Livorno per invitare il sovrano a trasferirsi nell’isola: in caso di guerra con la Francia la missione prevede che i tre deputati prendano contatto con l’ammiraglio Nelson per chiedergli protezione.