Correva l’anno 1843
La Maddalena conta 1.963 abitanti, Carlo Alberto la visitò, in un viaggio che aveva lo scopo di saldare i vincoli politici con il Piemonte e di attirare sulla persona del Re le simpatie dei sudditi. Benefici concreti, almeno per La Maddalena, non si ottennero, e la vita si trascinò ancora alla meglio, tra le guerre di indipendenza alle quali La Maddalena diede un contributo molto efficace.
Viene dato avvio alla costruzione del faro di Razzoli; Proprio per facilitare la navigazione nelle acque tormentate delle Bocche e allora anche quello scoglio poco agibile fu abitato dalla famiglia del guardiano; la loro solitudine era resa meno assoluta dalla vicinanza dei Bertoleoni, dai quali li separava soltanto lo strettissimo passo degli asinelli. Il faro di Razzoli è stato il primo faro della Sardegna. La sua luce era visibile fino a 24 miglia di distanza, grazie alla sua alimentazione a vapore di petrolio. Al faro, ci si può arrivare a piedi, lasciando la barca a Cala Lunga. Mentre altre aree del Mediterraneo avevano da tempo di un efficace sistema di segnalazione costiero, in Italia, solo intorno al 1850, si decise di incrementare il numero di segnali luminosi lungo le coste del Paese. A La Maddalena fu stipulato un accordo con la Francia per l’illuminazione delle bocche di Bonifacio, edificando appunto due fari, uno sull’Isola di Razzoli e l’altro su Capo Testa. Il re ordinò la loro costruzione e dopo l’ordine dalla Direzione del Genio Marittimo, i lavori sono stati fatti in 18 mesi. Il primo fu quello di Razzoli. La casa del faro era abitata da tre famiglie e un maestro e questo è testimoniato da un articolo sul Corriere della Sera. Ci sono tre stanze, due erano abitate dal capo finalista e i figli. Tra questi c’era era Albertina, che negli anni ’50 desiderava la luce elettrica e un frigorifero.
A Bonifacio, Ambrogio e Luigi Casabianca costruiscono un mulino per macinare grano. I Casabianca sono legati alla Gallura per la loro lunga frequentazione di Tempio (dove svolgevano attività commerciali) e di La Maddalena dove i loro traffici si svilupparono soprattutto durante il periodo napoleonico, quando procuravano approvvigionamenti non sempre legali alla flotta di Nelson.
Pubblicazione della Guida del Piloto nel Littorale dell’isola di Sardegna di Giuseppe Albini. L’autore dice che La Maddalena “non ha molte risorse, ma offre al mercantile i viveri e rinfreschi di prima necessità. Vi sono maestri d’ascia, calafati, falegnami e fabbri”. Nella descrizione del porto di Longo Sardo, Albini evidenzia “tre piccoli fiumi con terreno paludoso, il che rende l’aria alquanto mal sana nell’estate. Alla Testa non vi sono abitazioni né pastori”; le baie di Santa Riparata e cala Spinosa sono frequentate solo “dalle barche che fanno il contrabbando con la Corsica”. Identifica, inoltre, sulla costa nord della Testa, “un piccolo seno chiamato Colonna dei Romani”. Nella carta raffigurante la penisola della Testa è bene evidente la posizione della chiesetta di Santa Riparata, a nord dell’istmo non distante dalla spiaggia. Secondo Tyndale gli abitanti di Santa Teresa, che egli chiama ancora Longone, sono 900 circa, “per lo più viandanti e pescatori e questi hanno scoperto che col contrabbando si lucra più denaro che con le reti”.
François Piras è sindaco di Bonifacio.
Nel 1843, all’atto della divisione delle terre demaniali e della loro assegnazione in lotti ad uso agricolo, gli assegnatari più sfortunati furono quelli che ottennero appezzamenti vicini al mare o costituiti in gran parte da roccia viva: l’impossibilità di qualunque uso legato all’agricoltura o all’allevamento fece sì che i terreni fossero abbandonati e, non appena se ne verificò la possibilità, venduti per somme misere. Tali passaggi di proprietà avvennero, per la maggior parte, subito dopo il 1853, data di scadenza del decennio di inalienabilità dei lotti assegnati, e videro, nella zona di Nido d’Aquila-Cala Francese, l’affermarsi di pochi proprietari: Tosto Michele e Tanca Caterina a nord, Bargone Giovanni Leonardo al centro, gli eredi di Filippo Favale e di Giuseppe Culiolo a sud. Le aree relativamente pianeggianti avevano un discreto uso agricolo con vigne, qualche orto e un limitato allevamento; quelle rocciose, numerose e impraticabili, costituivano un’inutile appendice. I terreni dell’isola di Budelli, così come avvenne sulle altre isole dell’Arcipelago di La Maddalena, vennero assegnati tramite estrazione a sorte ad alcuni capifamiglia maddalenini. Gli assegnatari, trascorsi dieci anni dal possesso/proprietà, vendettero i terreni a Pietro Susini che, a sua volta, vendette alla famiglia Bertoleoni e a Giuseppe Gaine. Quest’ultimo sposò una figlia del Bertoleoni e riunì così la proprietà dell’isola.
24 gennaio
Nasce Silvestro Carnovale, figlio di un umile “maestro falegname” che aveva sposato un altrettanto umile giovinetta di Caprera di nome Maria Antonia; parteciperà a “La battaglia di Lissa” , vivendolo come un momento di esaltazione personale: l’Italia, il re, la gioventù che correva alle armi per l’Indipendenza dell’Italia…..
7 febbraio
Dopo che la Delegazione Feudale rigettò il progetto di ripartizione delle terre, il Consiglio Comunitativo fece ricorso, l’assegnazione doveva essere operata tramite l'”estrazione a sorte dei lotti” agli assegnatari. Dopo aver inoltrato il ricorso, al Consiglio, restavano due possibilità per opporsi alla bocciatura: ricorrere al tribunale ordinario oppure inviare una supplica al Re. (5 novembre 1842) Per tutta risposta il Viceré autorizzava il Consiglio Comunitativo a ricorrere presso il tribunale, ma “nel caso che ellino stimino di sottoporre la cosa alla decisione del tribunale competente, rimaner debbano avvertite che non prevalendo le ragioni di cui si andrebbe ad esperire, la cassa comunale non andrà a soggiacere a alcuna spesa ma ricadrà questa sui membri del Consiglio”. Non restava quindi che la possibilità della supplica al sovrano. Nel frattempo viene nominato un nuovo delegato speciale, il cavalier Pasquale Tola, assessore alla Reale Delegazione di Sassari. (7 febbraio 1843) Tola si mise subito al lavoro e nominò nuovi periti (Andrea Zicavo, Battista Ornano, Giuseppe Tosto, Domenico Variani e Giovanni Lena) e fece redigere dal Consiglio gli elenchi degli aventi diritto alle terre da dividere. (18 febbraio 1843)
20 marzo
Vengono approvati gli elenchi dei destinatari e degli appezzamenti da assegnare. Nell’isola madre furono individuati 15 lotti, esclusi chiaramente i terreni già di proprietà privata, per un totale di 224.000 mq;
a Budelli 6 lotti per un totale di 89.459 mq;
a Santo Stefano 21 lotti per un totale di 268.000 mq;
a Berettini 2 lotti per un totale di 28.223 mq;
a Razzoli 8 lotti per un totale di 119.333 mq;
a Caprera 131 lotti per un totale di 1.470.000 mq.
9 aprile
Nella parrocchiale si svolge la solenne estrazione a sorte dei lotti di terreno demaniale da distribuire alla popolazione isolana, secondo l’editto del 1839. Presenti tutte le autorità. Filippo Martinetti è sindaco. Si viveva un periodo di crisi. Il trasferimento a Genova della Base della Marina Sarda, avvenuto nel 1814, aveva prodotto una forte emigrazione, tanto che la popolazione, in pochi decenni, era scesa da circa 2.000 a poco più di 1.200 abitanti. Nella primavera del 1843 due importanti avvenimenti, di quelli che, per la portata, ingenerano grandi speranze, si svolsero a La Maddalena e, precisamente, proprio nella chiesa di Santa Maria Maddalena. Il 9 aprile 1843, nell’ambito della politica sabauda di divisione delle terre demaniali e di assegnazione delle stesse per la coltivazione, vi si svolse l’importante estrazione a sorte di un centinaio di lotti di terreno. Alla presenza del parroco Antonio Addis, dell’assessore presso la Reale Delegazione di Sassari Pasquale Tola, del sindaco Martinetti, del comandante del porto Bixio, del console di marina Pietro Azara Buccheri e di numeroso popolo, un bambino, opportunamente bendato, procedette all’estrazione dei lotti, trasformando molti capi famiglia nullatenenti in proprietari di terre. I lotti assegnati si trovavano nell’isola di Maddalena, a Caprera, Santo Stefano, Budelli, Barrettini, Razzoli, Cameri, Mortorio, Libani, Bisce e Cappuccini. L’altro avvenimento, verificatosi quasi un mese dopo, e precisamente il 4 maggio 1843, fu la visita ufficiale di Re Carlo Alberto di Savoia. “Tutta la città era parata a festa in un tripudio di stendardi, di drappi e di fiori. Sbarcato dalla nave ‘Tripoli’, il corteo reale fu ricevuto sotto l’arco trionfale dal Comandante della piazzaforte Giacomo Bixio e dal Sindaco Filippo Martinetti, quindi si recò subito in Chiesa per assistere alla solenne cerimonia religiosa tra due fitte ali di folla acclamante”. Come spesso accade, ai grandi momenti di speranza seguono poi le delusioni. Carlo Alberto lasciò l’Isola come l’aveva trovata anzi, con un grosso indebitamento del Comune per le spese sostenute per i festeggiamenti. Per quanto riguarda le assegnazioni, pochi decenni dopo l’80% dei proprietari avevano venduto i loro terreni, non essendo in grado, nella maggior parte dei casi, di ‘tirarci’ le tasse.
18 aprile
Nella primavera del 1843, avuta notizia di una prossima visita in Sardegna del sovrano, il consiglio comunale indirizzò al Re una lunga petizione nella quale, dopo aver esposto le condizioni di miseria in cui si trovava l’isola, chiedeva il ristabilimento delle esenzioni concesse in passato. La missiva reca la data del 18 aprile 1843 ed è sottoscritta dal sindaco Filippo Martinetti, dai consiglieri Simone Ornano, Antonio Pittaluga, Pietro Alibertini, Giò Batta Millelire, Giò Scano e Domenico Piretti, nonché dei probiviri Battista Polverini, Battista e Giuseppe Zonza, Matteo Culiolo, Giuseppe Cuneo, Marco Maria Alibertini, Tommaso Volpe, Francesco Susini, Leonardo Bargone e Tommaso Lavaggi. Ed ecco quanto esponevano i maddalenini: “Il Consiglio Comunale dell’Isola Maddalena, prostrato ai piedi del Regio Trono, rappresenta umilmente che in seguito alla pubblicazione del Regio Editto 20 maggio 1820, col quale fu messo in vigore il nuovo sistema doganale …i popolatori dell’anzidetta isola andarono gradatamente decadendo da quello stato di mediocre agiatezza in cui con la perseverante industria di soli cinquant’anni si erano per lo innanzi collocati. La qual cosa è succeduta non già in conseguenza del sistema tendente in ogni sua parte al miglioramento della complessiva condizione commerciale dei popoli Sardi, ma per effetto inevitabile delle particolari circostanze nelle quali trovasi costituito il Comune della Maddalena. Imperocchè, trovandosi il medesimo separato dall’Isola Madre, e stabilito in un’isola sterile e sassosa, non solamente manca dei prodotti naturali, colla cui estrazione possa bilanciare il peso dei generi industriali che vi si introducono dall’estero, ma è costretto perfino a procurarsi dalla Sardegna le cose più necessarie alla vita, come grano, olio, vino e combustibile, sottoponendosi in tal modo al doppio carico della passività sia rispetto al Continente che alla Sardegna”. La lunga petizione faceva quindi la cronistoria dei passati privilegi di cui avevano goduto i maddalenini, che erano stati loro concessi non solo per lenire la condizione insulare, ma soprattutto in riconoscimento dei loro meriti in virtù dei quali “…per le reiterate prove di fedeltà date al Sovrano dai Maddalenini, il Re Vittorio Amedeo III, di gloriosa ricordanza, dichiarava immune da ogni e qualsiasi dazio doganale il nascente Comune della Maddalena, e questo beneficio confermava poi a perpetuità il di lui successore Vittorio Emanuele. Il rappresentante del Consiglio, allorché nel gennaio del 1821 fu pubblicato il Regio Editto del 1820, rapportò al Governo la particolarità di questa situazione, e richiamando alla memoria li Reali Decreti testè mentovati, implorò che la Franchigia gli fosse rinnovata. Ma sebbene le sue supplicazioni siano state benignamente accolte, e il viceré Marchese d’Jenne, con dispaccio dell’11 agosto 1821, gli aveva fatto concepire la più lieta speranza, non si conseguì però in appresso l’effetto della fatta domanda”. Riassunti questi falliti tentativi, esaltando i meriti dei maddalenini ed esponendo in maniera lacrimevole l’incomberte indigenza della popolazione, il sindaco Martinetti così proseguiva: “La povertà conseguitane nei popolatori è più facile immaginarla che descriverla. Un comune composto da due mila e più abitanti, privo di terra e circondato dal mare, senza prodotto del proprio suolo, vive ordinariamente d’industria. Se tale industria è impedita nella sua stessa radice, se il suo commercio interno ed esterno non ha di che alimentarsi con vantaggio, se le stesse risorse derivanti dalla sua posizione marittima le sono interdette, la sua esistenza è minacciata di prossima rovina, perché costituita su basi troppo incerte e troppo precarie. Tale è appunto lo stato infelice dell’Isola della Maddalena ed è spettacolo veramente doloroso vedere un comune, il quale non conta ancora un secolo di esistenza, che occupa una posizione cotanto opportuna nel Mediterraneo, che ha prodotto tanti uomini generosi i quali anticamente pugnando contro i Barbareschi e nel cadere dello scorso secolo contro i Gallo-Corsi diedero tante prove di valore e sparsero tanto sangue in difesa della Corona e che anche al presente somministra tanti suoi figli al servizio della Marina Militare, ridotto a stato di assoluta indigenza nel quale dovrebbe di certo soccombere se il poco numerario che circola nel paese pel mantenimento delle Regie Truppe, degli impiegati e invalidi di Marina, e lo scarso prodotto della pesca non lo sorreggesse fra tante angustie”. E prima di sottoporre al sovrano la precisa richiesta della Zona Franca, seguendo gli schemi tipici delle ossequiose sviolinature dell’epoca, la supplica concludeva:
“Mosso dall’evidenza di siffatte ragioni osa il rassegnante Consiglio implorare in soccorso a tante miserie la benigna attenzione di V.M. ben sapendo che giammai la M.V. ha mancato di pietà, e di sollecitudine verso li suoi popoli, e che anzi, con luminoso esempio mostrando all’Europa intera come le stia grandemente a cuore la felicità di tutto il suo Regno, e come voglia renderne le condizioni sempre più fortunate, supplica pertanto umilmente V.S.R.M. acciò, preso in benigna considerazione l’esposto, si degni di accordare al Comune dell’Isola Maddalena la seguente grazia: La franchigia dei dazi doganali per tutti li generi che si introdurrano nell’Isola, così dall’Estero, come dall’Isola Madre di Sardegna”. Vedi anche: Nel 1843 il sindaco Martinetti si rivolse al Re; “Maestà, dacci il porto franco”
4 maggio
Arriva Re Carlo Alberto 4 maggio: seconda visita ufficiale di Carlo Alberto. Si costruisce l’obelisco, in memoria del 50° anniversario della vittoria sui Gallo-Corsi del 23 febbraio 1793, nella piazza denominata XXIII Febbraio. Sull’obelisco viene collocata la palla di cannone, lanciata da Napoleone Bonaparte, che aveva colpito la chiesa. Negli ultimi anni dell’Ottocento, l’obelisco sarà demolito e la palla conservata in Comune. I sovrani arrivarono a La Maddalena col regio piroscafo “Tripoli”, ricevuti dall’allora comandante del porto Giacomo Bixio e dal sindaco dell’isola, Filippo Martinetti. Furono fatti passare sotto un arco trionfale, della cui erezione si era occupato l’inglese Daniel Roberts che risiedeva a La Maddalena, con la scritta “Viva il Re” ed una iscrizione che diceva: Di gioia con devota mano; La Maddalena all’ottimo Sovrano; ad ogni evento per l’augusto Sire; pronti siam sempre a vincere o morire!. Non si può non notare la rassomiglianza con un’altra scritta storica: quella della bandiera di Millelire, oggi esposta nella sala consiliare del Comune di La Maddalena, che recita: “Per Dio e per il Re vincere o morire”.
24 maggio
Gabriele de Launay è l’ultimo viceré in Sardegna. Ricoprirà tale incarico fino all’8 maggio 1848.
15 luglio
Il servizio di vetture tra Cagliari e Sassari passa da due a tre corse settimanali.
9 ottobre
Un grave episodio delittuoso coinvolge la famiglia Ciboddo, da tempo padrona di vasti terreni a est del Liscia.
18 dicembre
Conclusasi in Europa la bufera napoleonica, col rientro a Torino del Re di Sardegna (per alcuni anni dovette risiedere a Cagliari) si ebbe anche il trasferimento a Genova, da La Maddalena dove era nata, del comando supremo della Regia Marina Sarda. Ciò comportò un sensibile impoverimento di La Maddalena, che in pochi anni vide calare la propria popolazione dai circa 2.000 abitanti del 1814 ai 1.200 registrati nel censimento del 1838. Anche la chiesa di Santa Maria Maddalena – l’attuale – concepita e voluta dall’ammiraglio Giorgio Des Geneys, grande ed importante quando ancora a Cala Gavetta sventolavano le insegne del comandante della flotta, rimase per molti anni incompiuta, obbiettivamente sproporzionata rispetto ad un paese che aveva perso molta della sua importanza ed era ridotto a poco più di un villaggio di mare. Della non florida situazione è testimonianza una lettera (conservata negli Archivi Parrocchiali) del parroco don Antonio Addis (provicario parrocchiale nel 1831 e parroco dal 1832), indirizzata al Re Carlo Alberto, che, come è noto, fu in visita a La Maddalena nell’aprile 1841 e nel maggio 1843. Il 18 dicembre 1843, il parroco ricorda al Sovrano che, grazie all’esposto a lui inviato l’anno precedente (1842), ebbe dalla Cassa del Monte di Riscatto “Lire nuove duecento”, e che lo stipendio di cui gode dalla “Mitra” (Curia) di Tempio, di “scudi sardi cinquanta” non è “idoneo a procurargli la necessaria sussistenza ed indumenti, tanto più dovendo da questi sottrarne trenta per il viceparroco (che dal 1831 è don Michele Mamia Addis) e sei per l’Ecclesiastico Donativo”. Don Antonio Addis afferma quindi che “a lungo giro di anni è stato costretto a soffrire, come soffre, la massima strettezza, non potendo calcolare sui proventi di stola in Paese ove da molti anni languisce il commercio, unica risorsa di questi popolani, né sui prodotti di questo cumulo di scogli, ove il contadino è impossibilitato a sperare vantaggiosa raccolta, … massime non si paga Decima d’alcun genere”. Dopo aver fatto riferimento “all’immortale gloria” che ebbe nel maggio di quell’anno “di inchinarsi profondamente alla preziosa vista di Vostra Maestà, offrendole con l’aspersorio l’acqua benedetta, entrando in questa Parrocchiale chiesa e … quindi ordinò l’applicazione della Santa messa …”, il parroco Addis afferma che in quell’occasione “non volle ardire” di disturbarlo con le sue richieste, sperando tuttavia di essere trattato “con lo stesso stipendio di cui gode il Parroco di Capraia” o almeno di “compartirle un’ annua agiata sovvenzione”.