Enrico Preti
Articolo in suo ricordo pubblicato su “La Provincia Pavese”, lettera dal fronte e diario di guerra (inedito) presenti presso l’Archivio storico civico (fondo Prima guerra mondiale), fogli matricolari.
Enrico Preti nasce a La Maddalena il 30 gennaio 1896, dinanzi all’isola di Caprera: un luogo simbolico che rimarrà una costante nella sua formazione e maturazione politica, giacché, in famiglia, verrà educato nel mito di Garibaldi e del Risorgimento nazionale. Suo padre, Roberto Preti, è insegnante di scuole elementari; è anche poeta, autore di inni patriottici e di libri di testo per le scuole elementari; tra le sue opere poetiche pubblicate, figurano un Ricordo ai visitatori di Caprera e l’ode Per l’inaugurazione del monumento alla famiglia Cairoli. Il piccolo Enrico Preti, al seguito del padre, assunto alle scuole cittadine di Pavia, e della madre Alberta Mariani, giunge nella cittadina lombarda nel 1897. Viene avviato alle scuole professionali, studia ragioneria ma, allo stesso tempo, aderisce con convinzione ai movimenti e gruppi interventisti cittadini. Pochissimi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 27 maggio 1915, a diciannove anni, si iscrive al Corpo Nazionale Volontari ciclisti e automobilisti come ciclista nel comitato di Alessandria. Esattamente un mese dopo, il 27 giugno 1915, viene inviato in zona di guerra. Fin dai primi giorni di servizio, Enrico inizia ad appuntare un diario di guerra in cui dà forma scritta ai suoi stati d’animo, alle sue impressioni, in cui rielabora i principali eventi bellici cui partecipa ma anche semplici episodi di vita quotidiana. Si tratta di un diario ben scritto, meditato, composto in un linguaggio non privo di espedienti retorici ed evidentemente allenato all’esercizio della scrittura. Nelle intenzioni del giovane, probabilmente, il manoscritto è concepito come nucleo per una futura pubblicazione giacché, come testimonia anche una sua lettera, invia a più riprese le note di guerra a una non precisata “Signorina” (potrebbe trattarsi di Luisa Castoldi, benemerita maestra cittadina, attiva nel volontariato a favore dei soldati al fronte e destinataria di molte lettere di soldati pavesi) che lo incoraggia a proseguire nel componimento. Come si intuisce dalle sue annotazioni, Enrico era partito per il fronte con un’idea tutta ottocentesca della guerra, dell’assalto al nemico, dell’organizzazione militare; il diario, del resto, si apre con una frase lapidaria: «Sono giunto in zona di guerra il 27 giugno 1915 e ho provato subito una disillusione. Quella la guerra?». Enrico condivide anche l’impressione, comune a molti altri giovani soldati animati da spirito attivistico ed esaltati dalla retorica bellicista, di ritrovarsi, immediatamente giunti al fronte, in «una pacifica villeggiatura in montagna»; come scrive anche nella già citata lettera, «I pericoli qui non sono poi grandi come generalmente si crede». Sono tuttavia i rumori, i boati dei cannoni, le macchine e i congegni bellici, le periodiche piogge «di ferro e di sassi sollevati dallo scoppio delle granate» a far piombare Enrico nella dimensione della guerra moderna: «udii il cannone. Era la voce calma del cannone italiano che molestava le posizioni nemiche con periodici getti di fuoco e di ferro. […] Ed io che credevo – quando partii – di andare subito a battermi!». Nei primi mesi di guerra il giovane appare estraniato, quasi deluso: «Quanto orribile e perfezionata è la guerra moderna! Macchine terribili di distruzione e di morte sono celate su verdeggianti collinette, in ridenti vallate, in incantevoli paesaggi». Proprio la tematica del rapporto conflittuale tra natura e modernità bellica rimane una costante nel diario, sempre simboleggiata dalla figura incombente del cannone: «La visione panoramica era magnifica. Ma vicinissimo a me il cannone fece udire la sua voce baritonale». Enrico non perde le sue convinzioni interventiste e introietta le parole d’ordine della propaganda patriottica ma allo stesso tempo è cosciente di trovarsi di fronte a un evento inedito, a un nuovo e terribile modo di fare la guerra, su cui non può fare a meno di soffermarsi e ragionare: «La guerra d’oggi è guerra d’insidia; i nemici si uccidono senza vederli. Se un uomo si mostra è morto». Le note di guerra si interrompono all’agosto 1915; oltre quella data, è ragionevole supporre, Enrico entra nel vivo dei combattimenti in prima linea. Ottiene la qualifica di Aspirante del 12° Reggimento Bersaglieri e, nel dicembre 1915, si distingue nella difesa di una postazione sul monte Javorcek: viene promosso al grado di Sottotenente di complemento il 26 dicembre. Nel marzo 1916 è sul monte Pal Piccolo. Il 27 marzo, al comando di un plotone, si ritrova improvvisamente sotto attacco; viene ripetutamente ferito dopo essersi più volto esposto fuori dai ripari per individuare gli appostamenti nemici. Muore il 29 marzo 1916 nell’ospedale militare di Timau. Gli vengono resi gli onori militari dagli ufficiali e da un battaglione di bersaglieri e alla famiglia verrà consegnata la medaglia di bronzo al valor militare. Un suo compagno d’armi, anch’egli pavese, lo ricorderà con affetto sulla “Provincia Pavese” descrivendolo come ottimo soldato ed eroe di guerra.