Giacomo Simone, il sosia di Garibaldi
Il bracciante amico di Garibaldi che partecipò al piano organizzato dal Generale per poter sortire da Caprera eludendo il blocco navale dell’ìsola predisposto nel 1867 dal Regio Governo.
Fra i tanti avvenimenti legati alla vita del Generale durante la sua permanenza a Caprera, un episodio desta particolare attenzione e stupore e riguarda esattamente la sua nota fuga dall’isola predisposta la sera del 14 ottobre del 1867, accadimento che dovrà portare Garibaldi, nei successivi giorni, aiutato dagli amici maddalenini e galluresi, a salpare il 17 ottobre da Porto Brandinchi, [1] a sud di Olbia presso Porto San Paolo, e proseguire quindi verso la costa toscana con le successive vicende che lo vedranno alla testa della nota Spedizione garibaldina su Roma con il suo infelice epilogo nella giornata del 3 novembre, una domenica, nella disfatta di Mentana per opera delle truppe francesi di Napoleone III dotate per la prima volta dei nuovi fucili a retrocarica “Chassepots” .
Nel quadro di questa pagina del nostro Risorgimento, descritta ed esaminata più volte da numerosi storici, una notizia inedita, interessa la nostra comunità e concerne il personaggio che si prestò, travestendosi con le fattezze dell’Eroe, all’interno di un piano studiato e preordinato sin nei minimi particolari, per ingannare ed eludere il ferreo controllo del governo sabaudo, guidato allora dal primo ministro Urbano Rattazzi, diretto ad impedire i possibili tentativi di Garibaldi, rivolti allo storico obbiettivo di tutta la sua esistenza, ossia liberare Roma dal servaggio dello Stato Pontificio e proclamarla capitale d’Italia.
Sulla precisazione di tale persona che mascherandosi, aiutò il generale nella riuscita del piano di fuga, si sono nel tempo, succedute alcune versioni.
Una prima, avvalorata dal noto studioso e biografo di Garibaldi, Gustavo Sacerdote, il quale nel suo volume [2] associa tale figura a quella di Luigi Gusmaroli, [3] mantovano ex prete ed uno dei Mille di Marsala, molto somigliante al Generale, il quale, dopo aver seguito il Generale a Caprera lavorandovi come muratore, visse e mise famiglia a la Maddalena morendovi nel 1872. Una seconda versione indica tale figura in quella di Giovanni Froscianti , garibaldino presente nell’isola come segretario insieme a Giovanni Basso, ex frate carmelitano, [4] anch’esso dei Mille; la testimonianza ci viene da un intervista fatta nel 1932 a La Maddalena [5] all’isolano Pietro Ferracciolo, allora vegliardo 93enne, il quale figlio di un pastore di Caprera, trascorse la sua gioventù nella familiarità di Giuseppe Garibaldi, questi dichiaro che nella circostanza fu il Froscianti, capelli color rame, stessa barba e statura del Generale, ad offrirsi quale sosia per ingannare i militari addetti alla sorveglianza. Il Ferracciolo qualificava nell’intervista il Froscianti come contadino, particolare che di seguito conforterà le vicende riportate.
Infatti alle due predette conosciute versioni, ne va aggiunta una terza tramandata da ricordi orali, presenti nell’isola maddalenina, in particolare dalla famiglie Coppa – Paderi e Vallarino, nella quale emerge la tesi che il sosia sia stato un pastore-bracciante maddalenino di nome Giacomo Simone [6].
Tale reminiscenza ha avuto un preciso riscontro in un memoriale inedito scritto da un garibaldino livornese Andrea Carlo Pacini [7], in cui si comprova indirettamente la tesi che il sosia sia stato proprio il predetto pastore, che per lunghi anni rimase al servizio di Garibaldi. [8]
Nel merito, si riferisce nel testo del Pacini, della narrazione fatta dal garibaldino Andrea Sgarallino, noto patriota livornese che con Stefano Canzio, [9] genero di Garibaldi ed Antonio Viggiani [10] giovane volontario maddalenino, procurarono a Livorno, grazie all’aiuto economico del banchiere fiorentino Adriano Lemmi, amico del Generale, la paranza a vela “San Francesco”, che servirà poi a trasportare Garibaldi ed i suoi fidi dalla Sardegna verso il continente, il quale livornese riportava, su resoconto del Generale, [11] che questi ingegnandosi sui preparativi della fuga, “..chiamò un pastore che aveva la sua taglia fisica e che portava barba e capigliatura molto simili alla sua, che aveva 30 anni di meno [12] e di pelo decisamente corvino..”.
Nella testimonianza si narra che alla figlia di Garibaldi, Teresita “..bastò un oretta e acqua ossigenata per far divenire il pastore una perfetta controfigura di Garibaldi e ci mise solo mezzora ed una tintura nera per far ringiovanire il padre di vent’anni.. ” .
Da quel momento gli ufficiali piemontesi, con i cannocchiali puntati sulla casa del Generale, scrutando l’andirivieni del falso generale, erano sicuri e tranquilli della sua presenza a Caprera.
Nella fuga da Caprera infatti, descritta in tanti libri ad iniziare dalle Memorie scritte dalla mano dell’Eroe, emerge l’importanza decisiva dello stratagemma del sosia che, camuffato nelle sembianze di Garibaldi, aveva il compito di trarre in inganno i militari preposti all’attivazione del meticoloso blocco navale, composto da ben nove navi da guerra e varie piccole imbarcazioni, che cingeva tutt’intorno le isole di Caprera e di La Maddalena. Tale espediente, ideato dal Generale, doveva fuorviare il controllo strettissimo sulla sua persona, attuato sia tramite l’uso di binocoli dal bordo delle regie navi che tramite visite periodiche alla casa dell’Eroe, dissimulando la sua presenza nella casa, mediante il passeggio all’aperto sulla prospiciente terrazza della stessa, andirivieni inscenato dal falso Garibaldi, nel frattempo che il Generale disponeva l’esecuzione dei piani della fuga. [13]
Tale inedita narrazione, che si soffermava sui modi e sul tempo utilizzato per i travestimenti, ha dei riscontri che ne attestano la sua veridicità. In essa sono citati sia tutti i personaggi che effettivamente parteciparono al fatto, fra cui il segretario personale di Garibaldi, Giovanni Basso, il capitano marittimo Giuseppe Cuneo maddalenino, il grande amico Pietro Susini, il giovane Maurizio attendente di Garibaldi, la vedova inglese Clara Collins, che ospitò nella propria casa dirimpettante Caprera, Garibaldi nella prima notte della fuga, sia sono precisate tutte le varie fasi dell’avvenimento.
Inoltre il dettaglio dello specifico mascheramento dello stesso Garibaldi è confermato anche da un altro noto storiografo del Generale, Achille Bizzoni che lo cita nel proprio libro “Garibaldi nella sua epopea”. [14]
Il dato determinate sull’età del sosia, escluderebbe quindi i due personaggi sinora collegati all’episodio del travestimento, infatti sia Gusmaroli che Froscianti erano nati nel 1811 e fra l’altro da veri patrioti risultavano più idonei ed esperti del pastore a collaborare operativamente nell’esecuzione del piano, come Garibaldi stesso menziona nelle sue “Memorie”, mentre invece accredita e comprova la versione correlata alla figura del giovane pastore dell’Eroe, allora infatti poco più che ventinovenne.
Sul motivo del silenzio ufficiale riguardo la complicità negli eventi del pastore maddalenino Giacomo Simone, esso potrebbe giustificarsi nel probabile scrupolo di Garibaldi di poter esporre il giovane isolano a possibili procedimenti giudiziari da parte delle autorità preposte, giacché comunque le circostanze dell’accadimento prefiguravano la violazione degli ordini ministeriali preordinati dal governo, che prevedevano il massimo controllo sul Generale nell’isola. [15]
Su tutta la vicenda e sugli eventi ad essa concatenati, Garibaldi scriverà in seguito all’amico Benedetto Cairoli, patriota garibaldino, divenuto poi Primo ministro sotto re Umberto I, le seguenti appassionate parole: “Di tante rischiate imprese che ho tentato in vita mia, la più ardua e la più bella, e di cui sentirò un certo vanto finché campi, è codesta mia fuga da Caprera”.
Antonello Tedde
[1] Il nome dato alla baia, deriva dalla presenza nel tempo di pescatori corsi provenienti dal comune di Brando, a nord di Bastia.
[2] Gustavo Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1933, p.886.
[3] Luigi Giuseppe Gusmaroli, nato a Mantova il 28 maggio 1811, uno degli otto preti che rinunciò alla scelta religiosa per seguire Garibaldi; Seguì il Generale a Caprera senza mai lasciarlo; quando morì a La Maddalena a 61 anni, il 27 febbraio 1872, Garibaldi dettò l’epitaffio per la sua tomba nel cimitero di La Maddalena. Nell’Archivio Anagrafe del Comune di La Maddalena, all’atto n. 5 del Registro dei Morti per l’anno 1872, risulta l’identità dei suoi genitori ovvero Giuseppe e Maria Beolehi, il suo stato “pensionario militare”, anche se il suo nome non appare nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 266/12.11.1878 (Suppl.- Elenco Alfabetico dei Mille di Marsala), fra i garibaldini che fruirono del provvedimento pensionistico a favore dei Mille di Marsala decretato con Legge 22 gennaio 1865 n. 2119, continuando risulta il nome della moglie Maria Antonia Gavini, (da cui ebbe due figli) e la sua abitazione, ove morì, ossia al civico 33 di Via Giuseppe Garibaldi ( l’attuale Via Garibaldi nella toponomastica di allora comprendeva anche l’odierno tratto di Via XX Settembre che in pratica ne costituiva l’inizio). Cfr. Germano Bevilacqua, I Mille di Marsala – vita, morte, miracoli, fasti e nefasti, Parte I, Ed. Manfrini, Calliano (Trento), 1982.
[4] Il cognome, a volte riportato in Fruscianti, è cosi menzionato nella Gazzetta Ufficiale di cui in nota precedente, ternano, fu con Garibaldi in tutte le Campagne garibaldine dal 1848 al 1867.
[5] Dal settimanale – “Il giornale della domenica” del 19/20.6.1932 , a cura di L. F. Chiarelli.
[6] Nell’atto di morte presente nell’Archivio dell’anagrafe comunale (Registro dei Morti anno 1928- n. 32), risulta che Giacomo Simone, nacque a La Maddalena il 3 maggio 1838, da Gian Pietro (agricoltore) e Serra Maria Giuseppina, benestante, si coniugò a La Maddalena con Demuro Maria, di Salvatore, spirò nell’isola all’età di 90 anni, il 26 aprile 1928, nell’abitazione sita in Regione Moneta (zona Vaticano – Case operaie). Di professione bracciante, (vedi Archivio Anagrafe comunale, Atto di nascita del figlio Salvatore, Registro Nascite anno 1868, ove fra l’altro emerge la coeva residenza in strada Sant’Andrea, attuale via comprendente il tratto Piazza Verdi – Piazza Toselli) consacrò parte della sua vita a Caprera alle dipendenze di Garibaldi, come recita l’epitaffio della sua lapide al cimitero, curandone il bestiame, vacche, capre e pecore, e producendo burro e formaggi.
[7] Lo scritto, tuttora inedito e che meriterebbe, per le tante notizie e curiosità riportate dal Pacini sulla vita di Garibaldi a Caprera, una giusta pubblicazione, venne curato da un nipote, residente a Cagliari di nome Bruno Olinto Pacini, recentemente scomparso. Bruno Olinto Pacini, presentò inoltre nel 1983, tramite la Casa Editrice Castello di Cagliari, il libro Grazie Mille!, un diario, tenuto dal nonno sulla Spedizione dei Mille, riguardante gli avvenimenti a cui lo stesso partecipò, compresi fra l’aprile ed il novembre del 1860.
[8] Cfr. A. Frau – G. Racheli, Garibaldi a Caprera, Bibliografia cronologica della vita privata di Garibaldi nell’isola, Ed. Vert Sardegna, Calasetta (CA), 1982. In tale libro viene indicato semplicemente come pastore al servizio di Garibaldi. Inoltre Cfr. Clinio Quaranta, La vita intima e familiare a Caprera – Ricordi e racconti di testimoni oculari, in NUOVA ANTOLOGIA, vol. CCLXVIII, Serie VII, 1929, pp.383-403.
[9] Stefano Canzio, patriota garibaldino, era sposo di Teresita Garibaldi, nata a Montevideo (Uruguay), la terza dei quattro figli (Menotti, Rosa, Teresita e Ricciotti) che Garibaldi ebbe da Anita nel periodo sudamericano. È l’unica dei figli di Anita ad essere sepolta a Caprera, ove vi visse per lunghi periodi.
[10] Valoroso tenente garibaldino, Viggiani Giacomo Antonio Pompeo nato a La Maddalena il 14 maggio 1845, figlio del farmacista Francesco Viggiani nonché console francese nell’isola, dopo aver aiutato Garibaldi a scappare da Caprera, morirà durante la Spedizione, il 25 ottobre 1867 nell’assalto vittorioso di Monterotondo.
[11] Garibaldi, partito con i suoi fedeli il 17 ottobre dalla costa sarda, dopo essere approdato due giorni dopo in toscana a Vada, tra il canale di Piombino e Livorno, per primo si recò in casa degli Sgarallino a Livorno, ove venne accolto con molta benevolenza. Cfr. Gustavo Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1933, p. 888.
[12] Garibaldi nato il 4 luglio del 1807 era esattamente 30 anni e 10 mesi più anziano del Simone.
[13] Cfr. Gustavo Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1933, pp. 884-888.
[14] Cfr. Achille Bizzoni, Garibaldi nella sua epopea, Sonzogno, Milano, 1932, p. 1102.
[15] Eguale forma di riserbo, emerge ad esempio anche nel testo già citato del Bizzoni, il biografo infatti vi riporta la narrazione di Garibaldi sull’avvenimento, il quale nell’accennare alla figura del proprietario del primo stazzo gallurese, ove ebbe ospitalità con i suoi, non appena sbarcato dalla Maddalena sulla costa sarda prospiciente, lo indica semplicemente come Domenico N. –