I primi viceparroci
Mons. Pes, come abbiamo letto, riteneva che don Mossa, con la quarta parte delle decime da ritirare dai maddalenini avrebbe potuto dotarsi di un viceparroco, utile in una situazione di rapido incremento demografico. Ma il parroco delle Intermedie, pur senza la quota delle decime che non furono autorizzate, il suo vice lo ebbe solo alla fine del 1789, nella persona del sacerdote Pietro Deyala. Prima di quella data, dai registri parrocchiali si ha notizia di alcuni sacerdoti sostituti temporanei che don Mossa attivava in occasione di alcune sue assenze dall’isola. Nel 1783, per un bimestre (settembre-ottobre), don Mossa fu sostituito dal cappuccino francescano fra’ Antonio Maria, proveniente da Castelsardo. Sino al 1789 si registrano supplenze più occasionali da parte di alcuni cappellani imbarcati sulle due mezze galere Beata Margherita e Santa Barbara, in particolare i sacerdoti Ludovico Carta, Giuseppe Agostino Ugas e Pietro Raimondo Doro.
Don Deyala era un oristanese presente alla Maddalena da qualche tempo come maestro, secondo le notizie di soddisfazione del suo insegnamento che il capitano Raynardi, comandante delle isole, dava al viceré nel marzo del 1789. Fu lo stesso capitano a proporlo come capellano-vice parroco. L’occasione si presentò con la richiesta, avanzata al re da don Giacomo Mossa nell’aprile dello stesso anno, di essere giubilato con la pensione di cappellano regio. L’istanza gli fu rigettata in quanto aveva solo 16 anni di servizio quale cappellano militare, ma in riferimento alla sua età e alle indisposizioni di cui soffriva, il ministro Coconito fece sapere da Torino che il re era disposto ad affiancargli un altro sacerdote che si fosse accontentato di 300 lire di Piemonte e di una razione di pane giornaliera in qualità di cappellano aggiunto della truppa.
Acquisito il beneplacito del vescovo di Ampurias e Civita e poi quello del vescovo di Oristano, don Pietro Deyala iniziò a svolgere il suo mandato anche di vice parroco dall’agosto dello stesso anno. Solo dopo due anni lo stesso don Deyala chiese di essere esonerato dall’incarico, adducendo quale giustificazione di dover assistere il vecchio padre che non vedeva da sette anni. La richiesta suscitò perplessità e il sacerdote fu invitato a rivedere il proprio atteggiamento, facendogli notare che la sua pretesa di lasciare l’incarico dopo poco tempo dalla sua assunzione deponeva contro la sua maturità e attestava una sua instabilità di carattere. Deyala insistette sulla richiesta, che finì per essere accettata, avviando da parte del vescovo la ricerca di un suo sostituto. La situazione per il sacerdote oristanese doveva essere difficile se fece lo sgarbo di lasciare l’isola senza attendere il suo sostituto, che nel frattempo era stato indicato da mons. Pes nella persona del tempiese don Luca Demuro-Valentino, del clero secolare della diocesi. Questi fu “assentato” nel servizio di cappellano aggiunto alle stesse condizioni del Deyala, a partire dal 1° gennaio 1792, avviando contemporaneamente anche le funzioni di vice parroco. Dopo solo due giorni dal suo arrivo alla Maddalena, secondo quanto il comandante Raynardi relazionava al viceré, il sacerdote si ammalò di febbre “putrida e maligna”, non meglio precisata, e ricevette addirittura l’estrema unzione.
A differenza del suo predecessore, don Demuro, superata la grave crisi iniziale, restò all’isola per molti anni, e fece da aggiunto e da vice anche al parroco che nel 1799 succedette a don Mossa, don Antonio Biancareddu. La sua attività ebbe momenti di turbolenza nella vita della comunità, che non stanno dentro il tempo di questa narrazione.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma