I primi fabbricieri: Giovanni Ornano e Pasquale Gallone
Il primo fabbriciere del quale si ha traccia è Giovanni Ornano nome di guerra La Ventura, che nel 1796, alla fine del suo mandato del quale non abbiamo traccia nei libri contabili, lasciava un “attivo” di scudi 13:5. (1)
Lo sostituì Pasquale Gallone soprannominato Barabò, che mantenne l’incarico per quasi 30 anni. L’inizio del suo priorato non fu semplice a causa dell’ostilità manifestatagli (non ne conosciamo i motivi) dal parroco Mossa che, l’anno seguente alla nomina, durante la predica del giorno di Santa Maria Maddalena, in una chiesa affollata e festante, aveva annunciato la sua decisione di nominare un nuovo fabbriciere nella persona del medico Gio Domenico Alfonsi. E mal gliene incolse perché, dopo lo sconcerto iniziale, la reazione del Consiglio Comunitativo fu durissima con pesanti accuse nei suoi confronti presentate sia al Vescovo che al Viceré.
Il Consiglio rivendicava di avere sempre nominato “soggetti per l’amministrazione dei beni ed elemosine indipendenti dal parroco di questa chiesa… Giammai il parroco ha preso ingerenza in simile elezione poiché non dando egli cosa alcuna alla sua sposa, tutta la propensione e peso è sempre rimasto a carico della popolazione la di cui pietà sorpassa certamente la sordida avarizia di chi pretenderebbe attualmente ingerirsi”. Aveva osato nominare “dall’altare il giorno di Santa Maria Maddalena in forma odiosa al predecessario amministratore ossia operaio, il sig. Giò Domenico Alfonsi… Il parroco ha avuto delle mire personali e di suo privato interesse più assai che per quello della chiesa per effetto di cattivo amore concepito contro dell’amministratore Gallone” che il Parroco offendeva dicendo di affidare il compito a persona onesta come se Gallone fosse stato disonesto. E il Consiglio ne difendeva l’onore affermando che, da uomo facoltoso qual’era, aveva messo del suo per garantire alla chiesa arredi necessari mentre il Parroco “non ha datto (sic) neppure un lume, neppure una candela per accendersi”. E, a questo punto, il Consiglio evidenziava il sospetto che Mossa volesse “tirare a se col mezzo di persona di sua confidenza l’amministrazione di quei proventi, che sono destinati al decoro e alla maggior decenza di questa chiesa”: se questa era l’intenzione del Parroco il Consiglio minacciava di andare più oltre nelle accuse rivelando “dettagli più particolari che ora tacciamo”. E poiché la risposta del Vescovo e del Viceré tardava ad arrivare, ripropose la supplica, con grande faccia tosta e con gli stessi toni minacciosi, con la formula ufficiale “replicatur prò secunda vice”. Le rimostranze dovevano avere qualche ragione di fondo visto che, a distanza di quattro mesi, dalla Segreteria di Stato arrivava la risposta tanto attesa: il Vescovo aveva reintegrato Gallone.
Le insinuazioni del Consiglio sull’avarizia del parroco Mossa che niente dava alla chiesa, malgrado ne avesse la possibilità economica, trovano qualche conferma. In realtà, a parte i diritti di stola, egli riceveva 300 lire sarde dalla Regia Cassa alle quali se ne aggiungevano altre 400 con una razione di pane come cappellano del distaccamento e aveva beni immobili al suo paese; aveva economizzato somme discrete che, con testamento del 4 luglio 1799, di qualche mese antecedente alla sua partenza definitiva dalla Maddalena, destinava, generosamente, alla scuola: non alla scuola isolana però, ma a quella del suo paese natale, Calangianus, che, grazie a lui, poteva disporre di un corso completo e pubblico di studi inferiori.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma
1. Lo scudo si suddivideva in reali, soldi e denari. Le cifre relative erano separate dai due punti.