Il piano operativo
Il progetto del balio della Trinità
Nei vari interventi dello scambio di pareri su cosa fare delle isole Intermedie si rintracciavano indicazioni su come occuparle e cosa fare, in riferimento sia al piano militare che civile e anche a quello religioso. Nello scambio epistolare ordinario tra Cagliari e Torino e viceversa si ritrovano, inoltre, cenni di movimenti di reparti e di materiali in prospettiva della loro presa di possesso. Ma il primo abbozzo di un vero piano operativo, per la spedizione di un distaccamento militare nelle isole, lo formulò il viceré balio della Trinità, che lo trasmise al ministro Bogino in allegato all’importante dispaccio dell’11 aprile 1766, già utilizzato a proposito dell’orientamento del viceré contrario alla infeudazione, con l’eloquente titolo “Projet que le viceroi a’ l’honneur de proposer touchant l’expedition que l’on peut faire afin de se rendre maitre de toutes les isles qui forment les Carrougi”. Fu in questa occasione che venne previsto per la prima volta l’impegno di comandante della spedizione a favore del maggiore La Rocchetta, che fu formalizzato dal nuovo viceré oltre due anni dopo. E già da allora si pensò l’utilizzo di due delle sei compagnie del reggimento di Sprecher, di cui il maggiore faceva parte, destinandole a Sassari pronte ad essere inviate ad Aggius. Secondo il Projet la truppa destinata all’esecuzione doveva andare a Longonsardo in 150 uomini, compresi ufficiali e sottufficiali in proporzione, oltre il comandante, con otto pezzi di cannone, un ufficiale d’artiglieria con alcuni cannonieri, il luogotenente ingegnere Ceretti, un delegato per l’amministrazione della giustizia, un cappellano con l’altare portatile, un chirurgo maggiore con una cassa di medicinali.
Era previsto di attuare l’operazione nei mesi di luglio-agosto, in assenza degli abitanti rientrati tutti a Bonifacio, evitando così di versare del sangue in caso di opposizione e ci sarebbe stato più tempo per rafforzare i trinceramenti necessari ad evitare gli eventuali “insulti” prima di dotarsi delle torri, indispensabili per consolidare il possesso. La spedizione, in partenza da Longonsardo, doveva raggiungere via mare, con un tragitto di 7-8 leghe, Maddalena e Caprera. La presa di possesso, invece, era previsto che avvenisse in due tronconi, con un distaccamento di 90 uomini con il comandante alla Maddalena e un distaccamento di 60 uomini a Caprera al comando di un capitano. Immediatamente bisognava predisporre le difese campali, sotto la direzione del luogotenente ingegnere Ceretti, e piazzarvi i cannoni. Nel caso, bisognava utilizzare le capanne dei pastori per momentaneo alloggiamento della truppa, sino ad avere disponibili quelle appositamente fatte costruire dal comandante. Assestati i due distaccamenti nelle isole maggiori, bisognava andare a controllare le altre dell’arcipelago e riferire. Per il pane si disponeva di rifornirsene a Castelaragonese, nella convinzione non del tutto esatta, che quella località fosse vicina alle isole e che quel tratto di mare fosse quasi sempre calmo e facilmente navigabile stando al centro dei Carrougi. Il progetto concludeva con l’ipotesi di un lungo soggiorno del distaccamento nelle isole per i tempi necessari a metterle in stato di difesa, e con l’avvertenza di prepararsi a reazioni degli indigeni o dei bonifacini e genovesi, anche se si era pressoché certi che non ce ne sarebbero state.
Le istruzioni al maggiore La Rocchetta
Conclusasi a metà ottobre 1767 la crociera delle fregate, arrivate finalmente le tende che si attendevano da Villafranca e pervenute infine le informazioni e i calcoli di Brondel-Ferreri, il viceré convocò per il 12 settembre una Giunta con l’intendente, il reggente, il generale delle armi e il capitano ingegnere. Un vero e proprio gabinetto di guerra per decidere le misure da prendersi, preparare le vettovaglie, le munizioni, gli attrezzi e quant’altro servisse alla spedizione che Bogino da Torino sollecitava. In soli 10 giorni il viceré fu pronto a formalizzare per iscritto a tutti gli interessati, ognuno per le proprie competenze, gli ordini relativi alla spedizione e le istruzioni. Non si conosce il piano operativo completo, e forse non è mai esistito un unico piano organico, complessivo di tutte le varianti. Ma la visione complessiva della pianificazione la si può ricavare dalle istruzioni che Des Hayes inviò a tutti i governatori e ai comandanti di mare e di terra coinvolti nelle operazioni, con apposite note spedite tutte in data 22 settembre. In particolare quelle più dettagliate furono indirizzate al maggiore La Rocchetta, che era chiamato a comandare la fase finale della spedizione ed il distaccamento militare di occupazione delle isole. Questi, in forza al reggimento svizzero dei grigioni organizzato dal generale svizzero Sprecher de Bernegg, era in quel momento in servizio nella piazza di Alghero.
Nel lungo testo di queste istruzioni, per quel che attiene le circostanze che più interessavano la convivenza con gli isolani e l’uso del territorio, si legge che il distaccamento era previsto composto di 140 uomini, compresi gli ufficiali, i bass’ufficiali, i cannonieri, i falegnami, il vivandiere, il cerusico. Cento uomini dovevano partire con La Rocchetta da Alghero, altri trenta avrebbero raggiunto il grosso a Longonsardo provenienti dal distaccamento di Aggius, mentre i cannonieri ed altri sarebbero dovuti arrivare da Cagliari. Il comandante doveva scegliere ad Alghero gli ufficiali e i subalterni di suo gradimento e un frater (chirurgo-barbiere). Doveva portare con sé il tenente d’artiglieria Teseo per le sue competenze, secondo quanto già ordinato al governatore di Alghero. Col bastimento già preparato, Comandante e distaccamento sarebbero stati trasportati a Longonsardo, dove si dovevano unire al pinco corsale e al felucone, e con la loro scorta recarsi alle isole, mentre da Terranova le regie navi dovevano proteggere l’operazione.
“Le dette isole sono in numero di sette non molto lontane l’una dall’altra: tre però sono le principali e le più vaste. Cioè La Maddalena, S. Stefano e quella detta La Caprera. Come rileverà dalla carta topografica, che a maggiore di lei lume le facciamo acchiudere”. La Maddalena è la più grande e la più adatta a ricevere il grosso della truppa. “Avvi in essa un sito montuoso – scriveva Des Hayes parafrasando la relazione Brondel-Ferrari e dando indicazioni secondo la carta topografica da essi redatta e allegata in copia alle istruzioni – e conseguentemente per natura già forte, il quale forse per tal motivo viene dagli isolani stessi denominato La Guardia, ciò che scorgerà pure nel menzionato tipo sotto la lettera A”. Questo sito era ritenuto il più adatto a trincerarvisi e a postare una piccola batteria con due o tre pezzi di cannone, una volta sbarcati e occupati i siti più vantaggiosi e disposte le sentinelle. Per fortificarsi e resistere a qualsiasi attacco, ci si doveva riferire alle istruzioni preparate dal capitano ingegnere, Belgrano di Famolasco, che erano da adattare secondo le convenienze suggerite dall’esperienza e dalle condizioni reali del sito. In questo sito andava collocato il grosso della truppa di 60 uomini, alloggiati sotto le tende sino alle costruzioni dei baracconi.
Oltre l’isola della Maddalena dovevano essere messe in difesa anche le altre due che in seguito si pensava di dotare di due torri nei punti indicati dalla carta, sia per dominare l’entrata del porto di Villamarina che per impedire dal punto di Caprera più prossimo alla Maddalena il passaggio improvviso di bastimenti. In entrambi i posti si sarebbero fatte delle piccole trincee, “ossieno fortini”, con un pezzo d’artiglieria a S. Stefano e due pezzi alla Punta Rossa di Caprera, e si doveva completare il blocco dell’entrata con un pezzo nella punta detto Capo della Sardegna. A Caprera nel sito indicato si doveva insediare un distaccamento di 40 uomini, uno di 10 a S Stefano e di 5 a Capo Sardegna, compresi i caporali. Gli altri saranno di riserva.
Una volta sistemata la truppa, si doveva allestire con la dovuta cautela il magazzino delle polveri, delle cartoccie, delle micchie e delle pietre focaie. utilizzando possibilmente una casa a secco li presente, eventualmente pagandone il fitto al proprietario, palizzandola e predisponendo un corpo di guardia continuo, vietandone l’accesso e possibilmente facendolo ignorare agi stessi isolani. Il deposito si doveva aprire solo alla presenza del comandante o del luogotenente d’artiglieria. Dovevano essere messi al riparo degli agenti atmosferici tutti gli strumenti controllandoli spesso per evitare deterioramenti e furti. Anche le munizioni da bocca si dovevano conservare in luogo conveniente e controllate, per cui in caso di deperimento o di carenza ci si doveva rivolgere al governatore di Castelsardo. Il comandante era dotato di un fondo di scorta per fare le previste fortificazioni, per dare le paghe giornaliere ai soldati (il pret) e per pagare i lavoranti. Nei giorni di lavoro invece del pret si dovevano dare 10 soldi di Piemonte oltre le solite porzioni di viveri. Per le incombenze di contabilità dall’Ufficio del Soldo si inviava un commesso alle sue dipendenze. Lo stesso Ufficio ha incaricato altresì un munizioniere che a Tempio doveva provvedere ai viveri e il comandante doveva controllare che non ci sarebbero state inadempienze o frodi di cui avrebbe dovuto informare il governatore di Castelsardo .
”Essendovisi destinato un cappellano per munirli del dovuto pascolo spirituale colla spiegazione dei Vangeli e Catechismo, sarà di lei incarico il far sì che il medesimo non manchi a un così stretto dovere, giacché la Religione istessa e le buone massime morali, oltre al vantaggio particolare di un caduno servono altresì a contenerli da vizi, e a mantenervi per conseguenza il buon ordine e l’ubbidienza. Lo stesso cappellano dovendo pure servire ivi da parroco con celebrare la messe nei festivi (per cui ella farà dare il segno col tamburo in mancanza di campana) e amministrare i sacramenti tanto alla truppa che agli isolani: sarà opera di lei degna il procurare che quei miseri vengano da lui insensibilmente istrutti ne’ Misteri della nostra Fede, e altri doveri del cristiano, tale essendo la precisa intenzione di S. M.”
Conclusi i trinceramenti, “ farà levare un ruolo di tutti quegli abitanti, e ne farà registrare il loro nome, cognome ed età in un libro a parte con tutte quelle altre specificazioni, se siano ammogliati o no, se e dove, e quali terreni possedano e coltivino, per rilevarne il loro giusto numero; indi per poche che si avveda della loro avversione, intimerà loro d’ordine Nostro che debbano consegnare a lei tutte le loro armi, le quali si terranno ben custodite in deposito allegando che già la M. S. vi ha mandato a bella posta della truppa per difenderli affinché possano essi tranquillamente attendere alla coltura della campagna senza essere frastornati. Ed in caso di qualche attacco anderà poi guardingo a restituir loro le dette armi così su due piedi, ma ne distribuirà loro solo quella quantità e a quelli soltanto che osserverà più affetti, tramescolandone così alcuno fra la truppa ed in luogo dove debbano assolutamente far la loro parte senza nuocere alla truppa medesima. Una speronara doveva essere messa a disposizione del distaccamento per le comunicazioni con la Sardegna e con i reparti presenti nelle isole di Caprera e S. Stefano e per fornire i viveri necessari. Quando non occupata per queste funzioni la speronara poteva essere utilizzata in funzione anticontrabbando. “Tanto meno poi lascerà imbarcare verun soldato di là; anzi veglierà che le barchette degli isolani, (di cui terrà pure un altro ruolo per avervi ricorso all’occasione) sieno in maniera che i soldati vi possano montare sopra furtivamente e disertare, e qualora ve ne fossero degli ammalati che non potessero guarire colà comodamente in tal caso li farà colle dovute cautele trasportare in Agius”.
Conclusa la sistemazione degli uomini e fortificati i luoghi doveva relazionare “la qualità di que’ terreni, il modo con cui vissero o vivono tuttavia quegli abitanti, cosa pagassero dapprima e paghino tutt’ora ai loro padroni di Bonifacio, se vi siano luoghi da pescarvi il corallo e se ne abbondino; quanto si potria ricavare da una tal pesca, se vi abbia pesci e se vi si possa calare qualche tonnara e poiché da parecchi riscontri ci rinvenne che li detti isolani esigevano da bastimenti ivi approdanti un diritto d’ancoraggio, in che quantità lo esigessero e se in effetti, in natura od in contanti. Sarà eziandio un tratto della di lei attenzione il prendere voce se vi sieno miniere d’argento, di ferro o di piombo ecc. e se vi si potesse col tempo impiegare qualche numero di schiavi in qualche opera proficua. Egualmente se vi si trovi garanzia, se abbiavi di quegli insetti detti kermes e della cocciniglia, che servono mirabilmente per tingere le lane e le tele, ed altre particolari produzioni. Insomma se vi sia dell’acqua oltre la fontana già scoperta, e se ne possa trarre partito a prò di quella popolazione. Per fine le raccomandiamo di ben custodire le dette isole, che la M. S. si degna di confidarle, e di validamente difenderle e di non renderle che nella estremità…….
Aggiunta: Dovendo le summentovate isole essere poi soggette quanto alla Spirituale alla Diocesi di Ampurias, ella avrà l’occhio se mai per lo addietro avessero quegli abitatori pagata per questo titolo qualche cosa a Bonifacio, che debbono prescindere affatto nell’avvenire, dacché saranno all’occasione assistiti del tutto da chi verrà a tal oggetto preposto da Monsignor d’Ampurias, alla di cui Diocesi debbono essere censite le dette isole soggette”.
I rapporti con gli isolani
Nelle istruzioni del viceré al maggiore La Rocchetta per la conduzione della spedizione si trovavano molte indicazioni sul rapporto con i pastori delle isole, improntate alla linea di approccio morbido da tenersi nei loro confronti. Ciò anche per dimostrare che non si trattava di un’operazione di occupazione di un territorio di nessuno o d’altri, ma di una presa di possesso di territorio proprio, in cui si voleva iniziare ad esercitare la legittima azione di sovranità. Certo, l’idea complessiva che Des Hayes aveva dei pastori isolani, quali soggetti “assai risoluti e capaci a mischiarsi temerariamente a qualunque attentato”, giustificava gli inviti alla cautela e le indicazioni di difesa che indirizzò al comandante, per cui “nella formazione di detti trinceramenti si apra qualche embrasure, e si disponga comunque in maniera il cannone, che possa all’evenienza rivolgersi contro di essi, per così intimorirli e contenerli nel loro dovere”. Ma il loro scarso numero e l’orientamento mostrato li faceva ritenere innocui, anche se le notizie dell’intervento del commissario bonifacino spingeva ad una certa cautela. Le stesse istruzioni sulle armi personali, sia da taglio che da fuoco, che sappiamo erano dotazione ordinaria del loro abbigliamento, non seguirono il rigore proposto da tutti i pareri precedenti la spedizione, che ne proponevano la confisca immediata con pene severe per i trasgressori. L’ordine della consegna delle armi, infatti, doveva avvenire solo in caso: “che si avveda della loro avversione…. allegando che già la M. S. vi ha mandato a bella posta della truppa per difenderli affinché possano essi tranquillamente attendere alla coltura della campagna senza essere frastornati”. Successivamente Des Hayes richiamò la necessità della confisca delle armi, ma sempre secondo le modalità previste dalle istruzioni, mentre maggior severità prevedeva contro gli assembramenti, per cui in termini coloriti scriveva: “Poiché poi li detti pastori sieno vieppiù tenuti a freno, essendo l’ora più acconcia alle insidie quella della notte, farà in tal tempo battere delle patroglie e rondare sì nell’abitato che nei vicini contorni ai quartieri, per osservare se vadano in quadriglia uniti, se armati, e se vadano sussurrando sotto voce; in quel caso li farà incontanente dividere, ne li rimanderà a riposare alle loro case con intima che se a certe ore notturne saranno di bel nuovo colti verranno senz’altro castigati: il tutto però in maniera che non apparisca in sembianza d’ostilità”.
Il richiamo in chiusura perché il castigo venisse percepito come esercizio di giustizia e non come ostilità, rileva ancor di più la linea morbida assunta nel rapporto con gli indigeni, che trovava conferma nelle modalità che erano indicate a La Rocchetta nell’esercizio dell’attività di comando per le relazioni con essi. “Una delle maniere più proprie per amicarsi quegli abitanti – prescriveva Des Hayes – essendo il trattarli umanamente e render loro in caso di rissa pronta giustizia, è non mai deridere la loro foggia di vestire e le loro usanze. Ella procurerà sia in pubblico che privatamente di mostrarsi loro del tutto affabile, e farà sì che la truppa si comporti bene con essi castigando severamente ed anche in loro presenza e di subito quei soldati che osassero d’insultarli, e comunque beffeggiarli e ridersi delle loro costumanze ed abiti e vieppiù quelli che tentassero qualche pratica o furtivo commercio colle loro mogli. Ed avvenendo che alcuno di essi isolani ricorresse da lei per qualche differenza civile o comunque, amministrerà loro puntuale e equitativa giustizia senza veruna formalità, prendendo bisognando alcuni di quei buoni vecchi per opinare e dar il loro sentimento per le dette vertenze. In caso di compere e vendite, farà ella osservare rigorosamente i patti apposti nel contratto dove siano giusti, e non permetterà mai che alcun soldato e chicchessia si arroghi o di prendersi da se o di non pagare al pattuito prezzo le cose comprate”.
Di gran significato fu, inoltre, la disposizione data al maggiore comandante circa l’utilizzo delle imbarcazioni e di marinai delle isole: “all’opportunità e mediante pagamento si serva altresì delle barchette degli isolani medesimi pagandone il giusto nolito ed armandole di quella quantità d’uomini e remiganti che crederà necessaria, a qual fine le verranno insieme alle altre provviste consegnate pure due dozzene di remi di riserva”. Ed appare ovvio il divieto che recitava: “non permetterà che verun isolano s’imbarchi per fuori regno senza di lei passaporto, e senza la previa nostra permissione; e pel regno senza la di lei licenza: per il che le facciamo acchiudere una cinquantina di essi passaporti in bianco a tal fine”. Intendendo per “regno” la Sardegna, per cui il passaporto era obbligatorio per rientrare in Corsica, mentre per recarsi in Sardegna era sufficiente la semplice licenza del comandante.
Le altre istruzioni
Le altre note informative e le relative istruzioni indirizzate ai governatori e agli altri comandanti militari interessati apportano minime integrazioni a quelle corpose di La Rocchetta, e solo alcune sono di qualche interesse che vale la pena evidenziare. Ricevettero contemporaneamente la notizia della prossima spedizione e le indicazioni di cosa erano chiamati a fare, il vassallo Brondel, il vescovo di Ampurias, il vassallo Alpin governatore di Alghero, il cavalier Lascaris di Ventimiglia governatore di Castelaragonese, il cavalier Verasis di Castigliole governatore di Sassari, il capitano Sala comandante della compagnia franca dei disertori graziati. A quest’ultimo il viceré ordinò di recarsi con i suoi reparti ad Alghero per mettersi a disposizione di quel governatore in sostituzione delle compagnie Sprecher da impegnare altrove. Al governatore di Sassari diede notizia dell’avvicendamento ad Alghero tra i reparti di Sala e quelli di La Rocchetta e del nuovo incarico del maggiore. Fece un riassunto del piano e da esso sappiamo che la spedizione era dotata di “provviste per bocca” per 50 giorni per 140 uomini. Anche al governatore di Castelaragonese diede notizia dell’incarico a La Rocchetta, fece il sunto del piano con alcune precisazioni sulla parte navale e diede l’incarico di intervenire sui reparti presenti ad Aggius perché mandassero i 30 uomini previsti a Longonsardo per partecipare alla spedizione e alla presa di possesso. Il governatore di Alghero, a cui fu presentato il piano, fu impegnato ad assicurare il regolare passaggio delle consegne tra il distaccamento che arrivava da Cagliari e quello di La Rocchetta che lasciava Alghero per Longonsardo e quindi per le isole.
Le informazioni e le istruzioni al vescovo di Ampurias e al vassallo di Brondel furono più complesse. A quest’ultimo necessariamente furono date indicazioni relative al suo compito di comandante del pinco corsale, oltre le solite notizie sulla consistenza della forza e dell’incarico di comando al maggiore La Rocchetta. Il vassallo fu impegnato ad avvertire il distaccamento di Aggius dell’arrivo a Longonsardo del bastimento partito da Alghero, perché inviasse i 30 uomini previsti, e fu informato che La Rocchetta doveva sentirlo e concertare con lui quale conoscitore dei luoghi e delle persone, nella fase di occupazione delle isole. Secondo le istruzioni, inoltre, unitamente al felucone doveva scortare il convoglio verso le isole e proteggerlo durante lo sbarco della truppa e dei materiali. Prima di partire da Longonsardo, però, doveva avvertire il comandante delle galere sarde, il maggiore della marina di sua maestà britannica, Atkins, che si trovava a Terranova e che aveva il compito di assistere, fiancheggiare e proteggere la spedizione.
Per quel che riguarda il “pascolo spirituale” per i popolatori delle isole, le istruzioni al maggiore La Rocchetta erano ricche di indicazioni ed esplicite anche delle motivazioni strumentali della religione quale elemento essenziale per “il buon ordine e l’ubbidienza”. Nel nostro caso, tanto più nell’eventualità quasi certa che sarebbero stati i pastori corsi a mantenere la residenza nelle isole, era strategicamente necessario interrompere la loro dipendenza dalla parrocchia bonifacina e avviare un nuovo rapporto con la diocesi di Ampurias per una nuova identità religiosa che potesse integrare anche i nuovi arrivi previsti e desiderati. Tutti coloro che intervennero sulla questione maddalenina negli ultimi due anni avevano, infatti dedicato una parte delle loro proposte e dei loro ragionamenti all’aspetto religioso. Già il vecchio projet del balio della Trinità prevedeva la presenza nella spedizione di un cappellano con l’altare portatile. L’intendente Vacha pose l’interrogativo se obbligare le 34 famiglie a darsi una chiesa e a mantenere, con l’accordo del vescovo di Castelaragonese un prete per tutte le funzioni parrocchiali. Dopo la Giunta cagliaritana e le ragioni separate del reggente Arnaud, fu la Giunta torinese del maggio 1766 a riassumere le esigenze nel campo spirituale. Era necessario – secondo essa – inviare anche un cappellano con i sacri arredi, che con l’approvazione del Vescovo di Ampurias e Civita potesse amministrare i sacramenti e la parola di Dio alla popolazione e svolgere le funzioni di Parroco. Per ora la Giunta riteneva non doversi fissare per lui uno stipendio, perché se i pastori fossero restati non avrebbero avuto difficoltà di pagargli le decime, che dalle 34 famiglie sarebbero state sufficienti a mantenerlo, tanto più se la popolazione fosse aumentata. Bogino da parte sua, già prima dell’invio delle istruzioni operative, aveva ordinato al viceré nel maggio 1767 di avviare i contatti con monsignor Carta, vescovo di Ampurias e Civita, perché questi si preparasse a far fornire l’assistenza da parte della più vicina parrocchia. Al ministro torinese sfuggiva che, nella situazione pur conosciuta dello spopolamento della Gallura costiera, la parrocchia più vicina alle isole (per mare Terranova, via terra Luogosanto) non era in grado di svolgere quella funzione. La soluzione venne necessariamente da un intelligente compromesso, già delineato nei pareri forniti in precedenza, che si ritrova nelle istruzione del viceré al vescovo Carta: “Nel frattempo però che ella anderà fra se maturando le nuove giustissime provvidenze, il cappellano istesso di cui ho munito quel distaccamento potrebbe servire ad un tempo di parroco interino a quella popolazione; per il che essendo già questi abilitato da questo degnissimo Prelato alla confessione pel detto distaccamento, potrebbe altresì venire da V. S. I. interinalmente confermato anche per confessare quei pastori, anzi dove lo giudicasse a proposito non avrei cosa in contrario che ne gli desse le convenienti istruzioni per tal effetto. Il nome di detto cappellano si è il prete Michele Demontis”.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma