Isola di Santa Maria
Nell’arcipelago di La Maddalena c’è un’isola diversa da tutte le altre, uniformemente pianeggiate, con un suolo fertile, uno stagno naturale meta di molte specie di avifauna e una cima che non supera i 49 mt. d’altezza (Guardia del Turco): è Santa Maria (1).
Anche la sua costituzione geologica differisce dal resto delle terre vicine e può essere così riassunta: il granito, roccia magmatica intrusiva, formatosi circa 300 milioni d’anni fa negli strati profondi della crosta terrestre, occupa il 30% della superficie dell’intera isola; mentre gli gneiss, sono la roccia prevalente.
L’isola è anche l’unica abitata; un piccolo gruppo di case si affaccia sulla cala principale, frequentata da migliaia di turisti nel periodo estivo, di forma perfetta e caratterizzata da finissima sabbia bianca.
All’interno, quello che a prima vista sembra un vecchio stazzo rappresenta in realtà l’unica testimonianza tangibile di una presenza medioevale: un vecchio convento che attorno al 1200 ospitava un gruppo di eremiti benedettini (storicamente documentato in una bolla papale).
La sua esatta ubicazione si è potuta stabilire grazie ai documenti storici prodotti negli anni della suddivisione delle terre (tra il 1843 e il 1848). Infatti, buona parte dell’isola fu assegnata a Giuseppe Bertoleoni (lo stesso personaggio che diede origine alla storia del “Regno più piccolo del mondo” a Tavolara). Nella disputa, durata decenni con il Comune di La Maddalena, più volte emerge dagli atti che Bertoleoni abitava nell’edificio ristrutturato della vecchia chiesa.
La struttura originale è ancora riconoscibile dalle porte interne ad arco, dal notevole spessore dei muri non adeguato alle costruzioni più recenti e dalla volta che sembrerebbe una parte residua dell’antico convento. Attualmente vi abita il pastore Pietro Sanna.
- Maria (Santa), isola dell’arcipelago maddalenino = Da Mara (Sumerico), variante di Maria, terra con palude, acquitrino, acque interne salmastre. I toponimi Maria / Santa Maria / Mara / Marana appartengono tutti al gruppo Mara.
L’agionimo, dovuto con molta probabilità ai monaci del Medio Evo che abitavano queste isole, completa, con La Maddalena e Santo Stefano, una toponomastica “sacra” adattata alle particolari caratteristiche corografiche.
E del resto Maria era pure il nome primitivo della dea conosciuta dai Caldei come Marratu e dai Giudei come Marah.
L’isola di Santa Maria ha una superificie di kmq 2,05, sviluppo costiero km 10,2, lungh. 1,5, largh. Km 2,5. Ha un laghetto interno salmastro, che, ritirandosi in parte in estate, lascia affiorare dal fondo muri che appartengono ad un passato molto lontano, quando probabilmente il livello del mare era più basso di qualche metro (da 6.000 a 3.000 a.C.).
“Sull’Isola di Santa Maria si scoprono fondamenti e rovine di antichi edifici, e di cisterne, e particolarmente di una Chiesa, le di cui mura non del tutto abbattute (…)”, è scritto nel Contrasto Sardo-Corso del 1779. Quest’isola è praticamente collegata all’isola di Razzoli, da cui la separa appena un passetto navigabile di un cavo e un quarto di lunghezza per mezzo di larghezza, con 3 piedi di profondità. Si accede al passetto attraverso una fenditura di 50 cm., forse tagliata artificialmente nel cordone subacqueo di granito. A Sud-Ovest, attraverso il Passo Chiecca di Morto è separata dall’Isola di Budelli. A nord-est è separata dal Passo di Santa Maria dalle isole Corcelli (per altri Porcelli) e Barrettinelli di fuori. Ad eccezione della parte di ponente scistosa, il resto di quest’isola è interamente granitica. Il punto più elevato è Guardia del Turco che non supera i 49 m. La struttura geo-morfologica dell’isola è, nel complesso, semplice, lineare.
La costa, articolata, presenta le seguenti insenature: a Ovest Cala Muro, Cala Drappo, Cala Aiacciolu, Cala Giorgio Marino, a Sud Cala di Fosso, Cala Santa Maria; a Est Cala Macchione dei Bovi, Cala del Tufo, Cala Colombaro.
Sul Passo di Santa Maria, trovasi il faro di Punta Filetto. Poco distante dalla Cala di Santa Maria, verso occidente, c’è un piccolo lago salmastro, destinato, col tempo, ad essere interrato, chiamato per questo motivo, Padule.
A La Maddalena, lungo la costa meridionale, a ovest del centro storico, vi è una cala, in località Padule che era ancora nota nella seconda metà dell’800, come Cala Maria. E anche se Florindo Florio Sartori riteneva che gli indigeni la chiamassero in tal modo in onore di Maria Tamponi-Webber, che lì sarebbe andata a fare il bagno, è molto più verosimile che prendesse il nome dall’acquitrino che si creava alle spalle della spiaggia-scogliera, nei terreni alluvionali, dove in seguito si praticherà un’agricoltura intensiva.
In Corsica vi era una S. Maza, che potrebbe essere il risultato di una trascrizione errata di S. Mara, dove oggi vi è Sant’Amanza, che, guarda caso, ha un laghetto salmastro alle spalle della spiaggia397, chiamato Stagno del Cannetto, mentre lo Stagno di Balistra, pure nello stesso golfo, è poco più a nord.
Antonio Sciarretta precisa che in merito all’appellativo marétta, toponimo dei Colli (Barete) “esso appare un diminutivo della voce mara, di antica origine (romanza o italica), che indica delle zone umide, acquitrini, ecc. Un tipico sintagma composto con questa voce è Valle Amara, nel quale mara è accostato per paretimologia all’aggettivo amaro”. Un fenomeno simile, appunto, potrebbe essere accaduto in Corsica tra Mara, Amara, Maza, Amanza e Manza.
In provincia di Sassari, al centro del Meilogu, si registra un’altra Mara. Il toponimo, sinonimo di palude e acquitrino, si deve al bacino ubicato nella parte settentrionale del territorio, dominata dal blocco di affioramento vulcanico di Monte Traesu e la cima isolata di Bonuighinu. Il pendio su cui sorge il paese fu certamente frequentato in epoca preistorica, come testimonia la presenza nei dintorni di numerosi nuraghi e della grotta di Tomasu. L’importanza archeologica della zona è stata messa in luce dal 1969 per opera del parroco Don Loria che iniziò l’esplorazione della grotta Sa Ucca de su Tintirriolu.
Le caratteristiche molto particolari dei materiali rinvenuti, (idoletti, incisioni di figure danzanti) persuasero l’esploratore a credere che si potesse trattare di luogo di culto, per cui si poneva il problema di individuare la sede residenziale della comunità. Nel 1978, le ricerche vennero riprese ed estese alla grotta di Filiestru. Esse si rivelarono di estrema importanza, poiché il materiale rinvenuto attestava l’esatta successione culturale del sito, a partire dalla fase più antica del neolitico (6000 a.C.) sino al periodo nuragico (1000 a.C).
Sardella ci ricorda poi che sono della partita Villa Mar(a), Mara Arborei=Pauli Arborei, sempre toponimi descrittivi di luogo di origine preromana caratterizzato da acquitrini e paludi.
Un toponimo Mara (Contrada Mara) compare la prima volta nelle pergamene lonatesi prima del 1312. Anche in questo caso Mara significa acquitrino.
Si registra pure un Alberi o Albero (Santa Maria in). “Casale e Parrocchia nella Valle del Lamone in Romagna, Comunità Giurisdizione e circa 4 miglia toscane a ostro di Marradi, Diocesi di Faenza, Compartimento di Firenze. Risiede in poggio sulla destra del torrente Campigno alla base dell’angusta e tortuosa foce dell’Appennino di Belforte, uno dei più malagevoli valichi, dove nel 1358 incontrò la trista ventura il conte Lando con la compagnia delle sue masnade assalito da quei montanari al trapassato 55 detto delle Scalette. (M. Villani Cron. Fior.) Porta la stessa denominazione di Alberi altra località nell’opposto fianco dello stesso Appennino presso Corella, nella comunità di Dicomano”.
Noto, per quanto desueto, è il termine marazzo, che il Panigiani riconduce a mare, nel senso di accolta di acque, mediante una forma barbara latina maràtium, ed è voce analoga al francese marais = antico maresc e marécage = antico marescage, che pur valgono Palude, Pantano, Stagno. E così Repetti, nel suo prezioso Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, infatti scrive: “il suolo della più bella porzione di Toscana, quasi abbandonato a se stesso, trovossi quà e là ricoperto da puzzolenti marazzi, da giunchi palustri, da fragili canneti”.
S. Maria in Padule, nella val di Bisenzio, ormai sparita con la padule circostante da lunga età, alla base occidentale del monte Calvana, a settentrione di Prato, sulla quale al principio del secolo XI acquistò una parte di giuspadronato il Vescovo di Firenze Ildebrando che poi con suo decreto del 1024 rinunziò in favore del Monastero di S. Miniato al Monte.
L’archeologo Gianfranco Ghiani ha sostenuto nel corso di una conferenza a Girasole, sullo stagno di Tortolì, che, soprattutto in Sardegna, ovunque si trovi un toponimo Maria si scoprono evidenze archeologiche. L’osservazione del noto studioso è facilmente dimostrabile per il fatto che là dove ci sono acque ci sono sempre state le condizioni ideali per un insediamento umano. (Tratto dal libro MGDL e dintorni di Giancarlo Tusceri)