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Isulanu

La parlata maddalenina ha le proprie radici nell’idioma della zona di Bonifacio e prese piede all’incirca verso la metà del secolo XVIII quando le isole iniziarono ad essere popolate da pastori provenienti dalla Corsica meridionale. Più complesso il problema dell’origine delle parole. Latino in primo luogo, poi genovese e pisano, ed infine il sardo, arabo, greco, bizantino; queste le radici di una parlata di mare che si è allontanata alquanto da quella della Gallura interna. Qui hanno portato contributi i pescatori siciliani, di Ponza e di Castellammare di Stabia, alla fine del secolo scorso, gli scalpellini della Liguria e del Piemonte, gli erbivendoli della Gallura e dintorni, i militari di stanza sull’isola sin dalla prima guerra mondiale. Un attento studio è stato condotto da Renzo De Martino, giornalista, pittore e storico, ex preside del Liceo cittadino. L’uscita di due libri riguardanti il dialetto maddalenino, di Renzo De Martino (Il Dialetto Maddalenino e il Dizionarietto Maddalenino – Edizioni della Torre), ci dà modo di riprendere il discorso sul nostro beneamato dialetto.

L’occasione è troppo ghiotta e quindi ci buttiamo a capofitto (ci capuzzèmu), partendo da lontano, dalle origini. Il 26 ottobre 1767 gli isolani scrivono al Commissario di Bonifacio, Oldoini: “Non manchino di darli parte siccome alli 14 di ottobre à ore 23 semo stati assaltati della truppa savoiardi, e ci hanno fatto tre sbarchi, e ci hanno misso nel mezzo…“.

Era forse questo il linguaggio degli isolani di allora? Certamente no. In questa lettera, scritta sicuramente da qualche potente bonifacino, c’è qualcosa del nostro dialetto, ma l’isulanu sciappatu (doc) era un’altra cosa. Da alcuni atti di battesimo che il circolo maddalenino è riuscito ad avere, attraverso una ‘trafila‘ di tipo garibaldino, dall’Archivio Nazionale di Parigi (A.N.P.), riusciamo ad individuare con precisione i luoghi di provenienza dei primi abitatori delle Isole intermedie. Venuvano tutti dalla Corsica del sud (o Corzica suttana) ed in particolare dai paesi di Zonza, Zicavo, Levia, Sorbollano, dove si parla un dialetto in qualche modo diverso da quello del Nord. Esempio: Al Nord Fiuraréllu al Sud Fiuraréddu; questu qui / quistu qui; quellu / Quiddu; zitéllu / zitéddu; durmaranu / durmarani. Come si può vedere nessuna differenza col nostro dialetto. Troviamo nel 1767 (anno dello sbarco dei savoiardi) Pietro Millelire (le Chef de la tribù) che era il padre di Domenico, Agostino, Carlo Antonio e Francesco, figlio a sua volta di Leone Millelire proveniente da Sorbolla Distretto di Sartè). Il dialetto non poteva che essere “suttanu“. Antoine Claude Pasquin detto Valery, durante il suo viaggio in Sardegna (1835) dice di La Maddalena: “La colonia corsa si accrebbe poi di quelli che fuggivano per sottrarsi alla coscrizione dell’Impero (molti bonifacini) oggi conta all’incirca 1500 abitanti, i quali hanno conservato la lingua della loro prima isola“. Quando corbezzolo si diceva arbitu e non baga-baga come oggi, Cala Nido d’Aquila era i stagnalèddi, il villaggio Piras era i Punti Russi.

L’isola cresce, attira nuovi popolatori: militari, pescatori, commercianti, padroni marittimi, marinai; le provenienze sono le più diverse ed ognuno apporta qualche cosa che si sovrappone al dialetto originario, al corso si aggiungono suoni e parole genovesi, napoletane, galluresi. Jack La Bolina (V.A. Vecchi) nel suo “bozzetti di vita di bordo” ricorda un episodio (siamo dopo la battaglia di Lissa del 1886) di un furto di un bue che ha per protagonista un maddalenino, il capo cannoniere Ornano, il quale parla un italiano che per metà è “isulanu”. “Dite, soldato, quanti pezzi di cannone avete portato quini? Il vostro generale, sangue della Madonna, non sapeva che quini senza li cannoni non si vince la guerra? Andati pure soldato, se non vi castigheranni, andati, , andati!“. L’autore in nota a piè pagina diceva: “La finale in i è nel dialetto degli abitanti di Maddalena, come pure l’aggiunta della sillaba ni negli avverbi qua e là, onde essi dicono lani, quani quini.” L’Isola negli anni 1870-80 aveva circa 2000 abitanti. Il dialetto lo si parlava a casa come nelle strade, dove i bambini giocavano a “u bordu” o “a carulina“, i vecchi ricordavano i: “tempi d’una vorta ciattulèndi in piazza di L’urmini“(attuale piazza Garibaldi). I rioni erano ben definiti, tutti si conoscevano, le parentele erano sacre, non c’erano faide tra gli isolani. Tutto poi cambiò nel 1885 con l’arrivo della Piazzaforte Militare. In 20 anni si passò da da 2.000 a 10.000 abitanti. Il dialetto subì contraccolpi duri.

A Moneta una certa presenza di spezzini creò qualche differenza nel linguaggio, successivamente anche a Due Strade, così a Bassa Marina con i pescatori e marittimi campani.

Eppure la strada e le piazzette facevano il miracolo di riunire i bambini, di farli giocare insieme tutto il giorno, e là che nasceva il linguaggio dei giochi, un gergo tutto particolare ma estremamente vario e ricco: i Picchjarani, cinè scambrì, (acchjappilu u mè cucì), u sarva (appiattà), i marroculi, i santi (figurini) e poi a Fugarina‘ e l’appuntamento con le feste paesane: Santa Maria Maddalena, la Trinita e la processione di San Silverio Patrono dei pescatori di Ponza (il 2 giugno). E’ dopo la prima guerra mondiale che qualcosa cambia!

Molti genitori impediscono ai propri figli di parlare in dialetto, è di moda parlare a tutti i costi l’italiano (che in qualche caso è italiano porcellino). La radio fa la sua parte, gli studi anche, una cultura ed una conoscenza diversa contribuiscono a far diminuire coloro che parlano in dialetto.

Resistono i ceti medio-bassi, mentre alcune famiglie da sempre maddalenine si vergognano di parlare a casa l’isulanu. L’equazione è: se parli in dialetto non imparerai mai a parlare correttamente in italiano. Ora l’ideale sarebbe poter esprimersi in un buon dialetto e in un buon italiano. Ma allora si ragionava così! Nella seconda metà del Novecento fino agli anni ’50 il dialetto comunque, anche se notevolmente imbastardito, resiste a tutti gli attacchi.

Poi tutto cambia. Scoppia il boom! Arrivano i turisti (molti dei quali si fermeranno), arriva la Televisione (si dirà che la TV dal punto di vista linguistico unì l’Italia), ed il dialetto entra in coma (problema a dire il vero nazionale).

La memoria storica si fa evanescente, le poche cose scritte su dialetto e storia non bastano a creare una continuità; ci si accorge che qualcosa si è spezzato e per sempre. Oggi i ragazzi giocano a casa, col computer, navigano in Internet, lo stesso italiano sta diventando un dialetto della lingua inglese, vero collante mondiale tra i popoli.

La Consulta Gallurese (una consulta a tutela della lingua) propone il rispetto della toponomastica, una sorta di codice per scrivere il gallurese corretto, uno stile architettonico comune, ed il rispetto delle tradizioni culinarie.

Lodevoli iniziative che speriamo assieme ad altre iniziative (soprattutto nella scuola) riescano a salvare il nostro dialetto.
Qualcuno ha scritto: “Un popolo senza passato è anche un popolo senza futuro!” Che abbia ragione?

Alcuni tratti morfologici e fonetici dell’isulanu

articolo u, a, i (gall. lu, la, li)
prep.art. du, da, di (gall. di lu, di la, di li)
pron.avv. ghi (gall. ci, vi)
apocope (bancalà, barbé, bazzì, brasgé, milò)
KW : quistu, quissu, quiddu (gall. chistu…)
TR > i : pairinu, mairina (gall. padrinu)
STR > š : nosciu (gall. nòstru)
RN : carni, cornu (gall. carri, corru)
RS : còrsu, morsu (gall. còssu, mòssu)
R : arma, marzu (gall. alma, malzu)
L > r : carmu, gurfu (gall. calmu, gulfu)
-L- > -r- : zigara, mera (gall. chìcula, mela)
RS > rz : perzu, varzà (gall. pèssu, vassà)

Ligurismi lessicali

cólu ‘cavolo’ < gen. ant. còlu (od. cöu)
adducà ‘conservare’ < gen. allugà
insèmme, inzèmmi ‘insieme’ < gen. insèmme
carrùgghju ‘via urbana’ < gen. carùggiu
intrègu ‘intero, integro’ < gen. intrègo
ticchiassi ‘saziarsi’ < gen. tecciase
sciaccà ‘schiacciare’ <gen. sciaccà
brennu ‘crusca’ < gen. brenno
mangònu ‘blatta’ < gen. bagòn
tòla ‘tavola’ < gen. ant. tola (od. töa)
sìmma ‘trave, sommità, cima’ < gen. simma