Itinerario: Il fascino delle fortificazioni militari e le spiagge di Cala Coticcio
Distanza: 6,5 km
Tempo di percorrenza: A/R 3,5 h circa
Difficoltà: Escursionistico
Periodo consigliato: settembre – giugno
Segnavia: assenti
Superata l’imboccatura dell’itinerario precedente, dopo circa 2,2 km, si arriva nei pressi dell’Opera Arbuticci dove, lasciati i nostri mezzi, ci inoltriamo per un sentiero in salita e poco agevole, che ci conduce a Casa Casula, la vecchia abitazione del custode delle fortificazioni settentrionali dell’isola, sita a ridosso di una parete rocciosa. La strada che ci accingiamo a percorrere è una carrettiera che un tempo serviva a rifornire di armi e di viveri i militari.
Questa, si snoda in una serie di tornanti in discesa, dal fondo pietroso, sul quale è consigliabile camminare con estrema cautela, soprattutto se bagnato.
Man mano che si scende, si possono scorgere i fortini e le grandi rocce immerse nella macchia, composta in prevalenza da: ginepro fenicio (Juniperus phoenicea), mirto (Myrtus communis), ginestra spinosa (Calicotome villosa), cisto (Cistus monspeliensis), corbezzolo (Arbutus unedo), ed euforbia arborescente (Euphorbia dendroides). Il canto del passero solitario (Monticola solitarius), del pettirosso (Erithacus rubecula), dello scricciolo di Sardegna (Troglodytes troglodytes koenigi) accompagnano gli escursionisti durante tutto il percorso. Sono molti gli uccelli che nidificano tra le rocce di Candeo: il pigliamosche (Muscicapa striata), la magnanina sarda (Sylvia sarda), la poiana di Sardegna (Buteo buteo arrigonii), il corvo imperiale (Corvus corax), il colombo selvatico (Columba livia) e la rondine montana (Pityonoprogne fuligula). Terminato il sentiero principale, giungiamo ad una piccola banchina dove si può effettuare una sosta e, se la stagione lo consente, fare un bagno in questo mare smeraldo. Da questo punto prendiamo un sentierino che si inerpica verso le fortificazioni. Qui la vegetazione si dirada e la macchia alta lascia il posto alle piante caratteristiche dei rocciai e della gariga: l’aromatico elicriso (Helichrysum italicum) dai numerosi fiorellini gialli, il becco di gru corso (Erodium corsicum) un piccolo geranio endemico, la borracina azzurra (Sedum caeruleum) dal vivissimo color rosso e ancora l’asfodelo (Asphodelus microcarpus), la scilla marittima (Urginea maritima) e il giglio stella (Pancratium illyricum). Da ricordare anche, per gli amanti della buona cucina, la gradita presenza tra l’autunno e la primavera, del saporito Pleurotus eryngii var. ferulae, un fungo parassita che trae nutrimento dalle radici della ferula (Ferula communis), molto ricercato dagli isolani e noto con il nome di Sallazzaro. La prima tappa del percorso, della durata di circa 45 minuti, termina alla Batteria antinave di Candeo, costruzione risalente alla Seconda Guerra Mondiale, perfettamente mimetizzata nell’ambiente granitico, con numerose vedette, ingressi e cunicoli nascosti tra le rocce, molto interessanti da visitare. Così come per la batteria di Messa del Cervo M701, anche Candeo mantiene quei criteri costruttivi propri delle fortificazioni del ’900, edificate normalmente in calcestruzzo e rivestite da blocchi di granito, mentre i baraccamenti venivano addossati a pareti rocciose e ricoperte da scaglie di granito. L’itinerario continua seguendo la linea di costa verso sud, per raggiungere Cala Coticcio. Va ricordato che da questo punto in poi, si entra nella zona TA, dove l’accesso ai non residenti è consentito solo se accompagnati da Guide Esclusive del Parco o da personale autorizzato. Questa seconda tappa è piuttosto impegnativa, poiché non esistono veri e propri sentieri, ma bisogna effettuare un fuoripista tra le rocce e la macchia senza allontanarsi mai dalla costa per evitare zone troppo impervie. Proprio per l’assenza di sentieri, avremo modo di visitare una delle zone più selvagge e incontaminate di tutto l’Arcipelago. La parte iniziale della costa si presenta con delle scogliere ripide a picco sul mare, dove vivono una miriade di gabbiani reali (Larus cachinnans), marangoni dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) e colombi selvatici (Columba livia). Sulla nostra sinistra, per tutta la durata del percorso, abbiamo una piacevole vista sul mare aperto con gli isolotti dei Monaci in lontananza. Gli spettacolari tafoni, di cui è ricca questa zona, oltre ad essere custodi di importanti endemismi della flora come la margherita piccolissima (Nananthea perpusilla) e la menta di Requien (Mentha requienii), offrono riparo ad un branco di capre selvatiche (Capra hircus), che qui trovano teneri germogli da brucare e si riposano scaldandosi al tiepido sole invernale, per scomparire ad un nostro minimo rumore. Ampi tratti di alta macchia, profonde valli percorse da ruscelli nella stagione delle piogge e ricoperte in primavera da distese di orchidee, crochi, romulee, pratoline e narcisi, si intervallano tra imponenti formazioni granitiche. Dopo circa due ore di cammino, quando la roccia lascia spazio alla vegetazione, imbocchiamo un sentiero ben visibile, fino ad un incrocio, svoltiamo a sinistra e proseguiamo fino ad incontrare un rudere. Oltre, una ripida discesa attraversa un tratto costeggiato da rocce e ci conduce ad una bella baia formata da grossi ciottoli di granito. Superiamo questa e in pochi minuti arriviamo a Cala Coticcio, nota anche con il nome di “Tahiti”, una delle località più rinomate di tutto l’Arcipelago. Questa cala comprende due piccole baie ridossate dai venti dominanti, con spiaggette di sabbia fine e bianca, ed un mare limpidissimo color smeraldo. Gli enormi scogli arrotondati che sovrastano la cala ci offrono la possibilità di ammirare questo suggestivo panorama, stando comodamente sdraiati per recuperare le forze. Ripercorriamo a ritroso l’ultimo tratto che ci ha condotti alla meta e, superato il rudere, dopo circa 200 mt imbocchiamo il sentiero che sale verso “Becco di Vela”.
Dopo circa 40 minuti arriviamo alla strada asfaltata, quindi proseguiamo verso destra per 400 mt e giungiamo nel punto in cui abbiamo lasciato i nostri mezzi.
Fabio Presutti – Massimiliano Doneddu
Curiosità
Casa Casula, dal nome del custode che l’ha abitata per 40 anni fino al 1984, si trova nei pressi delle batterie di Messa del Cervo. Costruita a ridosso di una parete rocciosa, la casa che Giuseppe Casula, noto come zì’ Peppino, abitò con i figli, è un punto di riferimento per chi decide di fare una passeggiata da queste parti. Su richiesta di Clelietta Gonella (dama di compagnia) nipote di Clelia Garibaldi, (figlia dell’Eroe), Casula ospitò la scrittrice Oriana Fallaci, giunta a Caprera per intervistare Donna Clelia. La Fallaci rimase così colpita da quei luoghi, che chiese ed ottenne dalla Marina Militare la concessione per un rudere di Candeo, in cui visse per tre estati consecutive insieme alle sorelle ed ai genitori nei primi anni Sessanta. Casa Casula era un baraccamento militare. Tutt’oggi sono riconoscibili: il locale dormitorio, nel quale in alto campeggia la scritta “VINCEREMO”, con i telai in tubi metallici sui quali venivano agganciate le amache dei militari, la cucina con il forno a legna, i locali degli ufficiali e quelli preposti per l’igiene. All’esterno zì’ Peppino aveva impiantato un orto con olivi, alberi da frutta ed alcuni lecci. Allevava anche una quarantina di capre, progenitrici di quelle che oggi è possibile osservare mentre pascolano libere nel versante orientale di Caprera.