Itinerario: Un trekking nella storia
Distanza:
Tempo di percorrenza: 2 h circa
Difficoltà: Turistico
Periodo consigliato: tutto l’anno
Segnavia: assenti
Il nostro itinerario, nella storia, copre un arco di tempo che va dal IV-II millennio a.C., sino al 1940 e si svolge su un’area di 1 kmq. Poiché le distanze sono trascurabili, questo tragitto si può compiere senza guardare troppo l’orologio ed in assoluto relax. Sin dall’antichità questa piccola isola, per la sua particolare posizione geografica, tra la costa sarda e le due grandi isole dell’Arcipelago, è stata oggetto di attenzioni che le hanno conferito un’interessante storia. Fu proprio l’eccessiva vicinanza alla costa sarda che decretò la rinuncia all’acquisto da parte di Garibaldi, il quale preferì rivolgere le sue mire su Caprera.
Possiamo dividere il nostro trekking in tre momenti storici differenti: Il Neolitico, la Torre Quadrata ed il Forte San Giorgio e la Cava di Villamarina.
Il Neolitico
Le testimonianze del più antico insediamento umano nell’Arcipelago si riferiscono ai ritrovamenti effettuati nel 1956 a Cala di Villamarina, dagli studiosi Giovanni Lilliu e Osvaldo Baldacci. Il gruppo di studiosi diretti dal prof. Lilliu individuò, in un riparo sottoroccia, non lontano dal mare ed esposto a SSW, circa 200 utensili di ossidiana, quarzo, granito, porfido, selce e pezzi di stoviglie, riconducibili ad una produzione locale che utilizzava polveri di granito e porfido. Furono anche rinvenuti resti alimentari, come la rara patella ferruginea (Patella ferruginea), ossa di Prolagus (un roditore ormai estinto), pesci ed uccelli. Il materiale fu datato attorno al IV millennio a.C. La possibilità di rifornirsi d’acqua in un porto ridossato dai venti di maestrale e di tramontana, fa intuire all’escursionista perché il primo uomo dell’isola, abbia scelto il suo riparo a poche centinaia di metri dal mare.
Curiosità
L’ossidiana, proveniente dal Monte Arci in Sardegna, rappresentava nel Neolitico uno dei beni di scambio più preziosi nel bacino del Mediterraneo. È un vetro lavico di colore nero che si sfalda facilmente in scaglie sottili, qualità che fece tramontare l’utilizzo della selce nella produzione di armi per la caccia ed utensili da taglio. Il prezioso minerale, veniva trasportato su piroghe in legno o fassoni (imbarcazioni costruite con le canne, impiegate ancora oggi negli stagni di Cabras) navigando attraverso l’Arcipelago, tappa obbligatoria per raggiungere l’Italia centro-settentrionale e la Francia. Fino ad oggi, l’assenza nelle isole di resti di villaggi, monumenti sepolcrali o religiosi, sembra avvalorare la tesi secondo la quale, l’Arcipelago ospitasse solo degli insediamenti provvisori di quegli antichi naviganti. Recenti e più attenti studi, stanno cercando di far luce sulla possibilità dell’esistenza di insediamenti stabili.
La Torre Quadrata ed il Forte San Giorgio
Situata sulla punta ovest di Villamarina, la Torre, nota come Torre Napoleonica, è facilmente raggiungibile percorrendo un sentiero che dalla stessa dirige a sinistra attraversando alcune case abbandonate, un tempo proprietà della vecchia cava di granito. Dal punto di vista costruttivo rappresenta un gioiello d’architettura militare. A forma di casamatta, vale a dire protetta con murature a volta molto spesse e robuste, la Torre ha forma quadrata ed è circondata da un fossato profondo largo tre metri.
L’ingresso, situato sul lato nord, si raggiunge tramite un ponte levatoio. Al piano superiore, vi è una terrazza con le piazzole, dove alloggiavano i cannoni, capaci di una gittata di 2.500 mt. A poca distanza dalla Torre, procedendo in direzione nord, vi è il Forte San Giorgio. Costruito nel 1806 per volere e su progetto dell’ammiraglio Giorgio Andrea Des Geneys (fondatore della Marina sarda ed artefice dello sviluppo de La Maddalena), oltre ad essere di rinforzo alla Torre, il Forte copriva il tratto di mare tra la costa della Sardegna e le isole di Santo Stefano e La Maddalena. L’elevata posizione, infatti, garantisce una veduta panoramica notevole, con la frontale costa di La Maddalena, a sinistra la costa sarda con Punta Sardegna ed il porto di Palau, a sud il magnifico tafone di Capo d’Orso.
Curiosità
Dobbiamo attendere fino al 1767 per avere una documentazione certa che attesti la presenza di un piccolo insediamento stabile sull’isola. Infatti, a due mesi dall’occupazione sardo-piemontese ed esattamente il 17 dicembre, un felucone corso, al comando del generale Paoli, capo di quel governo rivoluzionario, transitava davanti a Villamarina e come da consuetudine della marineria da guerra internazionale, salutava con quattro salve di cannone la bandiera sabauda issata sul Forte. Nel 1771 il viceré di Sardegna, conte di Hayes, fece costruire la Torre Quadrata, ultimata due anni dopo con la spesa di L. 3.700. Un momento decisivo della storia dell’isola è rappresentato dai fatti del 1793. Allo scopo di prendere possesso dell’Arcipelago, il 22 febbraio un corpo di spedizione francese (composto da volontari corsi), comandato da Colonna-Cesari, sbarcò a Santo Stefano e dopo poche ore d’assedio riuscì ad occupare la Torre che, isolata rispetto alle altre fortificazioni, capitolò, permettendo a Napoleone Bonaparte di piazzare le sue artiglierie contro La Maddalena. In questa occasione Napoleone era capitano d’artiglieria con il grado di tenente colonnello dei volontari del Liamone e diresse i bombardamenti nei giorni 23, 24 e 25 febbraio. I francesi furono respinti. I difensori maddalenini, al comando del cav. Felice de Costantin, furono divisi in cinque gruppi scaglionati e disposti lungo il litorale. Il gruppo al comando del nocchiere maddalenino della Regia Marina, Domenico Millelire (nome di battaglia Debonnefoi), si rivelò determinante per la ritirata francese. Infatti, nella notte tra il 23 ed il 24, Millelire trasportò su un lancione armato di 15 uomini, un cannone con il quale costrinse alla fuga le truppe francesi. La mattina del 25 fu ordinata la ritirata francese e la fregata La Fauvette rapidamente fece vela per la Corsica. Nella precipitosa fuga, i francesi abbandonarono sull’isola molte attrezzature, tra cui l’Archipendolo, uno strumento di punteria balistica, ideato dallo stesso Napoleone, oggi conservato nell’Armeria Navale di Torino. In seguito a questi avvenimenti, i fratelli maddalenini Domenico e Agostino Millelire, ricevettero le prime medaglie d’oro della Marina Sarda, che sarebbe poi divenuta Marina Militare Italiana. Negli anni successivi, la flotta inglese dell’ammiraglio Horatio Nelson, godette a lungo della protezione offerta dai cannoni della Torre.
La cava di Villamarina
Dalle due fortificazioni settecentesche appena visitate, ritorniamo verso la banchina di Villamarina. Scendendo verso la cala, l’escursionista può scorgere sulle alture di fronte un particolare gruppo granitico che riporta alla mente la benedizione di un fedele da parte di un religioso. Si tratta della roccia denominata “Il Santo ed il Penitente”: sui contorni di questa scultura naturale si delineano le sagome di due figure umane, una eretta e l’altra genuflessa con il capo chino. Giunti alla banchina, percorrendo in salita una vecchia strada militare, arriviamo alla cava di Villamarina. Lungo il percorso, macchinari e binari rugginosi, abbandonati alle insidie del tempo, sono la testimonianza di ciò che in passato fu, insieme alla cava di Cala Francese nell’isola di La Maddalena, una notevole fonte di reddito per l’economia maddalenina.
All’interno della cava si possono osservare grossi pezzi di una statua dello scultore Arturo Dazzi, commissionata dal governo fascista in memoria dell’ammiraglio Costanzo Ciano, per essere eretta a Livorno. Una volta terminata, l’imponente scultura, posta a lato di un faro nella città toscana, avrebbe dall’alto dei suoi 13 mt, salutato le navi in entrata ed in uscita dal porto. Invece, la ritroviamo quasi ad aspettarci all’ingresso della cava: il capo è coperto con la berretta cerata (sud-est) tipica dei marinai, circondata dei restanti pezzi mai assemblati.
Nel 1860 la Banca di Costruzioni di Genova prese in concessione tutta l’area compresa tra Nido d’Aquila e Cala Francese a La Maddalena per dare il via all’estrazione dell’eccellente granito, secondo, come qualità, solo a quello scozzese e norvegese. Seguirono alterne vicende e la cava vide il susseguirsi di diversi proprietari. Il granito locale venne impiegato in molte città italiane (Roma, Genova, Napoli, Taranto) per abbellirne palazzi e strade, all’estero per l’esecuzione di grandi opere monumentali, come ad esempio quelle di De Lesseps sul Canale di Suez e di De Gusmau a Santos. Nel 1901 la Società Esportazione Graniti Sardi divenne la più grande industria estrattiva della Sardegna.
Le forniture vennero inviate per la costruzione di bacini di carenaggio a Venezia, Taranto e Genova, ma anche a Tripoli, Porto Said e Alessandria d’Egitto. Verso la fine dell’800, con il maddalenino Francesco Susini (primo gestore), si aprì la cava di Villamarina.
Nel 1924 il genovese Schiappacasse, subentrato a Susini dopo la Prima Guerra Mondiale, gestì la cava in maniera innovativa incrementando l’attività ed arrivando ad impiegare ottanta operai. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’estrazione del granito si arrestò a causa dell’eccessiva incidenza dei costi e le cave vennero definitivamente abbandonate.
Fabio Presutti – Massimiliano Doneddu