La libertà di dire la verità
Esaurito l’argomento licenziamenti, la riunione del consiglio comunale del 16 luglio 1952 ripropose il consueto teatrino isolano.
Natale Berretta, parlando a nome dell’intero gruppo della ‘Lista Cittadina’, diede la stura ad un dibattito, articolato e decisamente lungo, al centro del quale stavano i preliminari della decisione di sostituire Renzo Larco, sindaco che aveva aperto il mandato amministrativo e che era stato espresso dai ‘civici’ – liberali e massoneria, in buona sostanza – con Salvatore Vicentelli, “persona degna dell’alto compito affidatogli”, ma socialista.
“Il nostro gruppo si compiace per l’avvenuta nomina del geometra Vincentelli a Sindaco – chiosò Berretta – al quale offriamo il nostro incondizionato appoggio. Intendo escludere totalmente il signor Vicentelli dalla, sia pur lieve, responsabilità sulla procedura usata per l’elezione del Sindaco in quanto conosciamo la sua modestia e la sua riluttanza ad accogliere decisioni che abbiano la pur minima parvenza dell’illegalità. Quanto vengo esponendo non deve suonare offesa a chicchessia, poiché in regime democratico il fulcro di ogni azione deve essere: libertà di dire la verità a ogni costo. Perciò mi sia concesso di precisare agli egregi colleghi, al pubblico e, soprattutto, ai nostri elettori che la nostra linea di condotta é stata e sarà sempre coerente con i principi e con le condizioni affermate pubblicamente nel periodo pre-elettorale.
Abbiamo accettato di far parte della lista cittadina:
perché fummo invitati dagli autori della lista stessa;
perché la lista era prettamente apolitica e aveva il compito di inserirsi come forza equilibratrice fra le varie tendenze;
per sfatare la leggenda che i maddalenini erano incapaci ad amministrare il loro comune.
Accettammo la candidatura al di fuori d’ogni colore politico e soltanto come maddalenini perché desideravamo ardentemente portare un efficace contributo alla rinascita della nostra isola per dimostrarci degni eredi di un ricco patrimonio morale lasciato dai nostri avi che ben operarono per lo sviluppo di questo comune.
Fatti e non chiacchiere testimoniano ancor oggi la saggia amministrazione di quell’epoca remota e non dimenticata” [1].
Un discorso in cui era lanciato un chiaro messaggio ai compagni di cordata, comunisti e socialisti che, dopo le dimissioni di Renzo Larco, avevano disatteso l’impegno assunto in campagna elettorale: il sindaco, sempre e comunque, sarebbe dovuto essere in quota ‘civica’. Nel PCI e nel PSI, invece, si sosteneva che era impossibile rispettare il patto perché si era constatata la sussistenza di un clima di discordia e di crisi all’interno del gruppo della ‘Lista Cittadina’.
Le dimissioni di Larco avevano colto di sorpresa i fautori della sua elezione a sindaco. Alcuni di loro avevano insistito per farlo recedere. Poiché l’anziano giornalista del Corriere della Sera e del Giornale d’Italia, si mostrava intransigente, fu convocata una riunione dei sette ‘civici’ a casa sua. Inizialmente, fu stabilito che il futuro sindaco dovesse essere scelto sulla base dei voti di preferenza, perciò fu pronunciato il nome di Natale Berretta. Questi oppose un netto rifiuto. Così, segui l’accordo unanime di proporre Marco Antonio Bargone, legato anch’egli alla Massoneria. Questo nominativo non fu accettato dai comunisti e dai socialisti, per ragioni che Berretta sosteneva di ignorare. I ‘compagni’ pretesero che fosse proposta una rosa di tre papabili. Siccome restavano tre consiglieri, la scelta sarebbe dovuta ricadere su uno di questi. Cominciarono i veti incrociati. “E se era normale il diritto dei social-comunisti di sanzionare una nostra scelta – continuò Berretta – altrettanto normale era per noi sanzionare la loro. Questo procedimento poteva esaurirsi con l’esame reciproco di tutti i nominativi nel giro di 24 ore. Soltanto nel caso che fra i nominativi della lista cittadina non si fosse trovato un elemento eleggibile a sindaco, allora e solo in quel caso, era giustificata l’inadempienza dei patti firmati dai responsabili dei partiti comunista e socialista.
Se è vero che la minoranza ha manifestato la sua netta ostilità per la lista cittadina perché con i suoi 920 voti le ha causato la sconfitta, è altrettanto vero che il gruppo social-comunista non ha dato lo stesso valore e considerazione al collegamento che le ha procurato la vittoria […]. Se il gruppo social-comunista voleva, con lo stesso suffragio dato al signor Vincentelli, poteva eleggere alla carica di Sindaco il signor Papandrea. Se ciò non é stato realizzato, evidentemente, il nominativo da loro prescelto non era di totale gradimento di coloro che hanno votato per l’elezione del sindaco.
Questo l’evolversi dei fatti. Respingiamo, quindi, gli espressi, puerili apprezzamenti e le discussioni fatte in merito. Ritenendoci degni di assolvere alle cariche per cui fummo eletti, intendiamo rispettare e fare rispettare la nostra personalità, dichiarando esplicitamente, soprattutto ai nostri elettori, che non abbandoneremo gli impegni assunti, non trasgredendo ai principi per cui scendemmo in lizza, innanzitutto perché non intendiamo tradire la fiducia che essi hanno riposto in noi nell’eleggerci, secondariamente per operare saggiamente in seno alla nuova amministrazione. Altrettanto impegno assumiamo dinanzi al popolo, invitando maggioranza e minoranza a una fraterna distensione d’animi. Abbiamo molto da lavorare e non potremmo più perderci in alterchi e quisquilie perché innanzitutto va sanato il bilancio e la nostra opera dovrà essere soprattutto a beneficio della collettività, perché una volta eletti, gli amministratori dovranno convincersi che essi non sono gli amministratori dei loro elettori e dei propri partiti, ma di tutti i cittadini. Allontaniamo, dunque, da questa aula le diverse tonalità politiche e i cittadini di ogni strato sociale ci diano tutti la loro collaborazione per il bene della comunità. Noi offriamo al popolo le nostre fatiche, con l’augurio di operare per un migliore avvenire della nostra bella e amata isola” [2].
L’intervento di Berretta, forse un poco bizantino, figurava le condizioni nelle quali si sarebbe trovata a lavorare la giunta comunale. Il sindaco non era gradito a tutti i consiglieri che formavano la maggioranza. Alcuni di loro non si mostravano insensibili alle sirene democristiane.
A precisa domanda rivoltagli da Egidio Cossu – consigliere PCI, ma, principalmente, operaio dell’Arsenale, licenziato il 24 giugno – Berretta rispose che aveva parlato a nome suo, di Marco Antonio Bargone, di Pietro Ornano e di Giovanni Farese. Le stesse persone che contribuiranno, di lì a poco, a mandare a casa Vincentelli e compagni [3].
Lo stesso Farese sostituì Vincentelli, quale assessore effettivo e gli fu attribuita la delega all’azienda idroelettrica [4].
Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena
NOTE:
[1] ACLM, Registro… Cit.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
- Prologo di “Il pane del Governo”
- 1946. Le prime elezioni, ovvero ‘la maggioranza di una minoranza’
- 1946. La democrazia si presenta
- 1947. Gli anni della guerra fredda
- 1948. Le elezioni del 18 aprile
- 1949. L’Italia nella NATO e il Piano Marshall
- Alla vigilia delle elezioni del 26 maggio 1952
- Una maggioranza laica e di sinistra
- Le dimissioni di Renzo Larco
- Colpire le sinistre
- 24 Giugno 1952: dopo i tre suoni di sirena
- 12 luglio 1952 – L’intervento dell’on. Luigi Polano alla Camera dei Deputati
- Le reazioni in città e la difesa dell’Arsenale
- 16 luglio 1952. Al ritorno da Roma
- La libertà di dire la verità
- Un problema nazionale
- La vita amministrativa
- La fine della primavera isolana
- Le elezioni dell’8 marzo 1953. ‘Antò scopa di ferru’
- La diaspora del 1953
- L’amministrazione Carbini
- La ‘destra’ al governo (1953/1956)
- 1956 L’anno del consenso
- 1956 L’ultima offensiva
- Venti anni d’attesa
- Epilogo