Come la pensavano i pastori maddalenini e cosa dicevano al re di Sardegna
A fronte della ricca documentazione che ci ha raccontato lo scambio di opinioni dei vari interlocutori di parte sardo-piemontese su quale popolazione favorire nelle isole, non abbiamo una sola testimonianza diretta e documentata dell’orientamento sulla stessa questione dei pastori che stavano nelle isole. Per loro, naturalmente, la questione si poneva nel quesito se accettare o meno il passaggio dalla Serenissima di Genova al regno di Sardegna, con la complicazione della sorte della Corsica nell’ipotesi di subentro francese. E ben si capisce che tale questione non sarebbe stata da loro risolta con ragionamenti di natura istituzionale o di politica internazionale. Si hanno, invece, molte testimonianze indirette sul loro atteggiamento pratico, rilevato nella primavera del 1767 dal vassallo Allion de Brondel e anche da un certo capitano Francesco Maria De Nobili. Il primo l’abbiamo conosciuto con il suo importantissimo censimento degli abitatori della Maddalena e di Caprera e per le notizie che ha fornito sulla vita nelle isole. De Nobili, invece, entra solo ora nella nostra storia, e ne sarà un personaggio di rilievo per venti anni. Era un corso di Nonza, fuoriuscito e collegato al conte Rivarola con cui aveva fatto il giro della Sardegna nel 1765. Rivarola lo raccomandò alla corte torinese perché gli venisse affidato un incarico da imbarcato, assicurando che conosceva molto bene le Bocche poiché aveva già corseggiato in quelle acque sopra i legni genovesi. Il ministro Bogino diede notizia al viceré, nel gennaio del 1767, del suo avvenuto arruolamento con il grado di sottotenente nelle compagnie di marina e del suo incarico di comando del nuovo filucone “S. Gavino”, in partenza da Villafranca e assegnato in quei mari.
Il viceré della Trinità quale ultimo atto sulla questione delle isole, prima di lasciare l’incarico inviò in esse Brondel e De Nobili proprio per sondare l’orientamento degli isolani nel caso di una presa di possesso. L’approccio soffrì della vecchia modalità di chiedere a essi un atto di sottomissione formale, con una richiesta esplicita di riconoscimento del dominio del re di Sardegna, e poi del giuramento di fedeltà al sovrano. Brondel una prima volta incontrò i pastori a metà marzo 1767 alla presenza di certo Cornalis, comandante delle truppe imbarcate nel pinco, e ne relazionò subito a Cagliari. Secondo il vassallo in quella circostanza i maddalenini gli avevano richiesto di essere “ammessi sotto la protezione de re di Sardegna”, ma la definizione più compiuta di questo orientamento la si trova nelle due lettere di Brondel al viceré già note e utilizzate. La prima lettera è la più importante per la completezza della posizione dei pastori, che viene riportata tra virgolette, quale verbalizzazione testuale delle loro dichiarazioni. “Sono anni 200 circa che noi abitiamo questa isole, e avendo ben fatta matura riflessione, che noi possediamo effetti in Bonifacio e li bestiami che abbiamo sono de’ mercanti atteso che li medesimi ci hanno fatto il capitale, e se noi ci ricoveriamo sotto la protezione di S. M. il re di Sardegna potrebbero li suddetti sequestrarci li nostri effetti che possediamo in Bonifacio. Ma ogni qual volta che la M. S. si degnasse di mandare un piccol distaccamento di soldati per prendere possesso, noi altri non avressimo veruna difficoltà di sottometterci alla sua obbedienza come anche di riconoscerlo per legittimo nostro sovrano, stante che siamo in piena necessità di dover dal luogo di Bonifacio dipendere si per lo spirituale che per il temporale”. Queste parole vennero pronunciate da una delegazione di 40 isolani armati, che si presentarono il mattino del 19 marzo 1767 a chiedere di conferire con i comandanti del pinco e del filucone. Questi, con le loro imbarcazioni, stavano all’ancora nella rada di Villamarina di S. Stefano, al riparo del tempo cattivo che impediva di crociare nell’estuario.
Brondel e De Nobili compresero immediatamente la novità e ne informarono la corte cagliaritana che, nonostante la soddisfazione di conoscere questo orientamento favorevole alla sovranità sabauda, insistette con Brondel perché tentasse di far formalizzare ai pastori una “supplica”, sottoscrivendola o segnandola, assicurando di appoggiarla caldamente. Il vassallo relazionò il mese successivo, con una lettera al viceré datata 24 aprile (la stessa cui allegava lo stato degli abitatori), informando di averci tentato, ma: “per quanto mi sono potuto rigirare con maniera per indurgli a supplicare la M. S. affine gli ammettesse sotto la di Lei protezione con avergli assicurati di un buon esito, e con l’intercessione dell’E. V. avrebbero ottenuto il loro intento, mi risposero a questo articolo che con sommo piacere l’avrebbero fatto, conoscendo benissimo che avrebbero migliorato il suo stato, ma che dubitavano fortemente che la Serenissima repubblica avrebbe loro sequestrato gli effetti che possedevano in Bonifacio, ma per mettersi al coperto di ogni avvenimento stimerebbero molto se S. M. il re di Sardegna inviasse un piccolo distaccamento che quello sarebbe un mezzo per rendersi suoi fedelissimi sudditi e che avrebbero implorato dalla M. S. di volergli mantenere sotto sua protezione”.
Insomma, nessuna iniziativa da parte loro per non provocare le reazioni dei principali bonifacini, ma in caso di presa di possesso manu militari si sarebbero assoggettati, naturalmente facendo finta di subire il fatto compiuto. Furono questi i termini dell’accordo non scritto dettato dai pastori e accettato dalle autorità sardo-piemontesi. Il Bogino, rompendo gli indugi e superando le riserve, riconobbe come ragionevoli le richieste di un distaccamento per aderire alla sottomissione, e di conseguenza mise in moto la macchina di pianificazione della spedizione.
Non conosciamo la dinamica interna che si sviluppò nel gruppo maddalenino e caprerino sull’ipotesi di accettazione del dominio sardo. Non conosciamo i ragionamenti utilitaristici che la giustificarono, non sappiamo neppure se si manifestarono dissensi e ne ignoriamo le eventuali argomentazioni e l’entità. Certamente la stragrande maggioranza dovette aderire, ma non mancarono evidentemente dei delatori, che misero in allarme Bonifacio su quanto stava per accadere. L’enclave genovese era impegnata in un momento cruciale dello sforzo franco-genovese contro il movimento condotto da Pasquale Paoli, e proprio in quei giorni della prima estate del 1767 il presidio di Bonifacio veniva rafforzato di 300 uomini e venivano assoldati anche gli stessi presidiari, nonostante fosse in vigore una tregua concordata tra le parti.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma