La ritirata dei tedeschi
17 settembre 1943, la ritirata dei tedeschi. Subito dopo l’annuncio dell’armistizio il comando tedesco in Sardegna aveva deciso di far passare in Corsica e da quì nel continente la 94a divisione di stanza nell’isola agli ordini del generale Lungershausen; i porti designati per l’imbarco delle truppe erano quelli di Palau e di Santa Teresa Gallura. Le operazioni di sgombero erano state concordate col comandante militare della Sardegna generale Basso che aveva avvertito il comandante della piazzaforte marittima di La Maddalena di non opporre resistenza e di non ostacolare il transito dei tedeschi. Il messaggio del generale Basso giunse però al contrammiraglio Bona in quanto il comandante della piazza, Brivonesi era stato chiamato a Roma dove aveva ricevuto segreti ordini da consegnare all’ammiraglio Bergamini che era salpato con la flotta alla volta di La Maddalena. Molto stranamente Brivonesi, durante la sua visita nella capitale, non fu messo al corrente del fatto che l’armistizio, già concordato a Cassibile, era stato definitivamente sottoscritto: lo apprese al suo rientro a La Maddalena alle 20.15 dell’8 settembre quando fu informato sulla banchina che alle 19.45 radio Roma aveva diffuso la notizia. Successivamente, come lui stesso annotò nel suo diario, seppe che nel volo di ritorno da Roma aveva viaggiato con un ufficiale che era a conoscenza dell’avvenuto armistizio ma che non gliene fece parola nella convinzione che lui lo sapesse. Lungershausen, frattanto, appreso che la flotta italiana era in navigazione e che si dirigeva nell’arcipelago, di concerto con il comandante Uneus a La Maddalena e con il colonnello Almers a Palau, temendo episodi di resistenza, specie da parte delle batterie costiere, decise di neutralizzare le installazioni militari di Palau e la piazzaforte isolana con un colpo di mano che mise quasi tutti i comandi nell’impossibilità di agire.
All’arrivo dei tedeschi a Palau, avvenuto nella mattinata del 9 settembre, il comandante del presidio, colonnello Ciro Marchitto, si trovava a La Maddalena ove era stato convocato dal contrammiraglio Bona per essere messo al corrente degli accordi presi dal generale Basso e degli ordini da questi diramati. A Palau era rimasto il suo aiutante maggiore, capitano Cocco, che, non avendo ancora avuto alcun ordine sul comportamento da tenere nei confronti dei tedeschi, mise in atto un tentativo di reazione che diede luogo ad una breve sparatoria subito interrotta per il preponderante sopraggiungere delle forze nemiche. I tedeschi, occupato il posto di guardia della polveriera di Stintino e neutralizzato il cavo telefonico di Punta Nera, non ebbero difficoltà ad intimare la resa e a disarmare i militari italiani. In serata, il comandante Marchitto, ritornato da La Maddalena, diramò l’ordine di non far uso delle armi e di cessare ogni ostilità; il mattino successivo venne ordinato lo sgombero dei militari e dopo la partenza delle truppe, concentrate quasi tutte ad Arzachena, nel centro di Palau, oltre a pochi carabinieri e guardie di finanza, rimasero di presidio dieci fanti, al comando del maggiore degli alpini Aldo Venchi e del capitano Castellani, con l’incarico di far la guardia ai magazzini di viveri e di vestiario.
Il 13 settembre, subito dopo le nove e fino a mezzogiorno, si accese la battaglia a La Maddalena. Dalle batteria dell’isola venne iniziato un intenso cannoneggiamento contro i mezzi che trasbordavano le truppe al quale i tedeschi riposero da Palau con i pochi cannoni rimasti in loro possesso. I nostri comandi, infatti, prima di far ritirare i loro uomini, avevano dato ordine di disattivare i pezzi di tutte le batterie. Numerosi colpi raggiunsero l’abitato procurando pochi danni e senza fare alcuna vittima. Ma l’azione di resistenza dei soldati italiani creò subito nei tedeschi un atteggiamento ostile che provocò un clima di tensione nei confronti dei carabinieri, dei finanzieri e dei pochi militari rimasti di presidio. Ai numerosi episodi di aperta ostilità fecero seguito vandalismi e razzie.
I tedeschi ed i paracadutisti italiani della divisione Nembo, che si erano schierati dalla loro parte, intimarono a militari e civili l’immediata consegna delle armi penetrando nelle case incustodite dopo aver scardinato porte e finestre. L’obiettivo principale era però costituito dai magazzini di viveri e di vestiario che non dovevano cadere nelle mani degli anglo-americani il cui arrivo era imminente. Essi vennero totalmente depredati non solo dai soldati tedeschi e dai paracadutisti italiani, ma anche dalla popolazione civile, che da loro stessi favorita, era accorsa o addirittura trasportata con mezzi militari dai centri vicini. Lo scopo era evidentemente duplice: da un lato evitare che le scorte cadessero in mano nemica, dall’altro accattivarsi il favore della popolazione per evitare ostilità e resistenze. Vennero sottoposti a saccheggio non solo i magazzini della caserma di Montiggia, ma anche il deposito di lubrificanti della Capannaccia, i magazzini della Tirrenia, stracolmi di zucchero e di altri generi, il deposito merci della stazione ferroviaria e persino l’ambulatorio comunale.
Ed ecco come il comandante della stazione carabinieri di Palau, maresciallo Sebastiano Broccia, riferiva gli avvenimenti in un rapporto diretto ai suoi superiori:
“Il giorno 12 andante i militari tedeschi con la partecipazione di una compagnia di militari paracadutisti della divisione Nembo, armati di fucili mitragliatori e bombe a mano, si impossessavano del deposito lubrificanti posto in località Capannaccia. Il lubrificante asportato veniva avviato a Santa Teresa Gallura diretto in Corsica.
La polveriera di Stintino e il casotto del cavo telefonico di Punta Nera venivano presidiati da soldati tedeschi; la stessa sorte toccava alla batteria di Monte Altura e ad altre batterie di difesa di questa giurisdizione. La batteria di Monte Altura venne abbandonata dai militi che la presidiavano e prima che essa fosse abbandonata gli stessi uomini provvedettero a rendere inefficaci i pezzi della difesa.
Il giorno 14 verso le ore 9.30 militari tedeschi e paracadutisti della divisione Nembo, associatisi ai primi, armati di fucili mitragliatori e bombe a mano, sfondavano le porte dei magazzini viveri e vestiario di Palau e penetrati in questi si abbandonavano al saccheggio al quale si associavano gli abitanti di Palau, di Arzachena, Luogosanto, Luras, Calangianus e da altre frazioni della Gallura. Il detto saccheggio aveva fine il giorno 15 dopo avvenuto il totale svuotamento del materiale ivi esistente.
Il pronto intervento di quest’Arma rimaneva senza effetto anche perchè i militari erano sprovvisti di armi e non in numero tale da poter mettere a confronto con quelli tedeschi e paracadutisti italiani. I civili erano spalleggiati a compiere il saccheggio dai militari tedeschi e l’intervento dei carabinieri veniva ostacolato dai detti militari i quali sotto la minaccia delle armi impedivano ai carabinieri di compiere il loro dovere. Pur tuttavia molti carri agricoli dei civili, carichi di coperte e cassette di gallette, vennero accompagnati in questa caserma ma ciò venuto a conoscenza dei tedeschi, questi sfondavano il portoncino che immette nell’alloggio del comandante della stazione e fatta irruzione in questa caserma costringevano sotto la minaccia delle armi lo scrivente e gli altri militari di questa stazione a lasciar liberi i civili con tutto il loro carico”.
Ad impedire il saccheggio, oltre ai carabinieri, concorsero i pochi finanzieri rimasti a Palau, ma anche loro dovettero desistere perchè fatti segno a raffiche di mitra e lanci di bombe a mano. Fortunatamente non ci furono vittime e solo il giovane finanziere Giovanni Naseddu rimase ferito alla mano da una scheggia. A reprimere ogni azione da parte delle forze dell’ordine, davanti alle due caserme, quasi attigue fra loro, fu posto un carro armato. Oggetto di razzia furono anche numerosi pacchi postali diretti ai militari di La Maddalena che qualche giorno prima, per precauzione, erano stati depositati nella caserma dei carabinieri; se ne salvarono solo alcuni che il maresciallo Broccia aveva fatto nascondere fra la paglia del fienile. Non sfuggì all’attenzione dei tedeschi il giubbotto lasciato incustodito dal carabiniere Giovanni Ivaldi, dal quale furono sottratte 3.500 lire, e peggior sorte ebbero cinque galline che i carabinieri tenevano nel cortile della caserma. Come in tutte le guerre a farne le spese sono anche le galline.
Le razzie dei tedeschi e dei paracadutisti italiani, alla ricerca di cibo fresco, proseguirono però nelle campagne. Numerosi furono i capi di bestiame uccisi e macellati sul posto. I fratelli Antonio e Sebastiano Cudoni, recatisi nel loro stazzo in località Scopa, a quattro chilometri dall’abitato di Palau, avevano sorpreso i tedeschi che, immobilizzato il guardiano Ilario Lentischio, dopo aver ammazzato un giovenco stavano macellando un maiale destinato all’ingrasso; un altro maiale al pascolo, inseguito a colpi d’arma da fuoco, era riuscito a sfuggire alla razzia nascondendosi tra i cespugli. Furono inoltre trafugate due damigiane di vino e versati per terra 400 litri di mosto, frutto della recente vendemmia. Alle proteste e alle richieste risarcitorie dei fratelli Cudoni, rivolte a un ufficiale tedesco presente al fatto, questi, dopo aver fatto puntare le armi contro di loro, rispose: “Noi siamo in guerra con Italia, perciò mangiare bere pagare niente”.
Peggior disavventura occorse però al parroco di Palau don Andrea Usai che sebbene febbricitante per un attacco di malaria era uscito allo scoperto e si era prodigato per dissuadere gli abitanti dall’abbandonarsi ai saccheggi. Due giovani tedeschi dell 90a. divisione corazzata della Wehmacht, dopo aver fatto irruzione nella canonica chiedendogli se aveva delle armi, alla sua risposta negativa lo malmenarono strappandogli di dosso il colletto di celluloide; poi si lasciarono andare ad ogni vandalismo. Don Usai, sebbene febbricitante, fu tenuto in ostaggio senza cure e senza cibo dalle 17.30 del 14 settembre alle 11 del giorno 16 ora in cui i due soldati lasciarono la canonica per imbarcarsi su una delle ultime motozattere dirette in Corsica. Il malcapitato parroco, nel rimettere a posto le poche cose lasciate dai tedeschi, trovò un quadro del Cuore di Gesù trafitto con tredici pugnalate.
Il giorno dopo, cessata la battaglia alla Maddalena, gli ultimi tedeschi lasciavano l’isola concentrandosi a Palau. Alle ore 15 del 17 settembre Palau veniva abbandonata e alle sei del mattino successivo, dal porto di Santa Teresa Gallura, partiva l’ultima motozattera diretta a Bonifacio.
I tedeschi, ai quali oltre ai paracadutisti della divisione Nembo si erano aggregati a Santa Teresa Gallura i militari del Gruppo Ovest della Milmart sotto il comando del seniore Belloni, abbandonavano definitivamente l’isola: alle loro spalle solo distruzione e tanta paura. Gli alleati erano ormai alle porte e l’incubo della guerra, almeno in Sardegna, era finito.
Altrove il peggio doveva ancora arrivare.
Ma i grandi enigmi storici di quei giorni sono però ancora da sciogliere. L’arrivo del Re, della corte e del governo a La Maddalena con al seguito la flotta, avrebbe creato favorevoli condizioni per il libero esercizio dei compiti istituzionali e avrebbe forse mutato il corso della storia e salvato l’istituzione monarchica. Si sarebbero rivissuti, con precisa cadenza vichiana, i giorni dell’esilio dei reali piemontesi in Sardegna del 1799. Mussolini sarebbe stato consegnato agli alleati, anche noi avremmo avuto la nostra Norimberga e la riconquistala libertà non avrebbe esordito con quell’indecoroso spettacolo di Piazzale Loreto che nessuno ci ha mai perdonato.
La precipitosa fuga da Roma e le defezioni dei vertici militari crearono invece solo il caos. Ma condizione essenziale perchè il Re e la flotta arrivassero a La Maddalena era quella di tenere i tedeschi lontani dall’isola tanto più che in quel momento le nostre forze di terra in Sardegna, unite a quelle della marina, erano superiori a quelle tedesche.
Ed il Sanna commenta:
“La Sardegna avrebbe offerto le condizioni ideali per un’azione di governo a piena sovranità, a differenza di quanto fu possibile a Brindisi, Grande e grave fu, quindi, la responsabilità di Basso che accettò la richiesta dei tedeschi di evacuare pacificamente l’isola quando ancora era in programma il trasferimento a La Maddalena del Re e del Governo, e l’acquiescenza di comodo di Brivonesi. Questa decisione partecipò a rendere impossibile l’attuazione del progetto e a determinare una situazione di confusa emergenza in cui improvvisazione, incapacità e quant’altro trasformarono la sconfitta in una vera e propria disfatta nel giudizio degli italiani”.
Forse ha ragione Montanelli quando dice che quello dell’8 settembre è uno dei “ribaltoni” da dimenticare “…perchè venne affidato a gente non del mestiere quali sono i militari, ai quali in realtà non dovrebb’essere affidato nulla, nemmeno le guerre”. E l’aforisma, come confessa lo stesso Montanelli, non è suo, ma di Clemenceau.
A. Ciotta – Co.Ri.S.Ma
“… Stamane alle ore 6,00 è partito da questo porto [Santa Teresa Gallura Nda] l’utimo mezzo tedesco, diretto in Corsica, portando tutto il personale germanico.
Si ritiene, quasi con certezza, che durante il periodo dal 9 al 18 corrente, fra questo porto e quello di Porto Pozzo, si sono imbarcati per la Corsica circa 22.000 tedeschi e circa 3.5000 automezzi e 1.500 cannoni di vario tipo. …”.
Dal rapporto inviato ai superiori dal maresciallo dei Crabinieri Noè Meloni, comandante la Stazione di Santa Teresa Gallura.