La tragedia del ‘Sardinia’
Dopo la sconfitta del Re di Sardegna, costretto ad accettare l’armistizio di Cherasco e a trasferire a Cagliari la sua corte, l’ufficiale piemontese De Revest di Roccabruna che aveva combattuto con onore nei Cacciatori di Nizza, volle seguire il suo Re nell’esilio sardo lasciando in Piemonte moglie e figli. Uomo d’azione, combattente in tutte le battaglie che precedettero l’invasione dei territori piemontesi, pur di non rimanere inattivo, assolvendo a corte compiti amministrativi, di mera rappresentanza o di ordine pubblico, avendo avuto in passato qualche esperienza marinara, chiese di poter servire sulle navi della modesta flottiglia di Giorgio Andrea Des Geneys. Gli fu affidato il comando della gondola Sardina sulla quale, conscio delle ristrettezze economiche in cui versava il regno, si accontentò di prestar servizio con la semplice paga di marinaio. La gondola, imbarcazione di modeste dimensioni, scarsamente armata, ma molto veloce e di scarso pescaggio, era generalmente impiegata nei servizi di vigilanza costiera per la prevenzione dei contrabbandi, contro il pericolo barbaresco e per il pronto trasporto di dispacci e generi deperibili destinati in particolare alle isole e alle torri costiere che cingevano i litorali della Sardegna. Oltre alla Sardina, la flottiglia sarda disponeva delle gondole, Bilancello, Ardita e San Maurizio, è più avanti, del San Placido e della Carolina. La capacità di bordeggiare con qualunque vento, la facile manovrabilità e la possibilità di districarsi nei bassi fondali, rendevano queste unità navali indispensabili per il pattugliamento dei litorali. Difatti, vediamo la Sardina per la prima volta in azione a La Maddalena quando nel gennaio del 1794, uscita in servizio di vedetta, fece ritorno nell’arcipelago per dare l’annuncio della presenza di due bastimenti barbareschi contro i quali i maddalenini riportarono riportarono il giorno successivo una strepitosa vittoria. Ma non sempre le cose andarono bene per gli equipaggi sardi e ben caro fu talvolta il prezzo che dovettero pagare. Nell’agosto del 1803, la Sardina, con a bordo un equipaggio composto da un timoniere e dodici marinai, di cui undici maddalenini, incrociava in missione di vigilanza nel sud della Sardegna, nel tratto di costa tra Cagliari e il Golfo di Palmas (Isola di S. Antioco), zona particolarmente battuta dai pirati tunisini. L’ultimo suo rapporto era pervenuto al Comandante di Marina in Cagliari capitano di vascello Gaetano De May, alla fine di agosto; da allora il più assoluto silenzio. Soltanto il 1° ottobre 1803, il De May, avuta notizia sulla sorte della gondola così informava il segretario di stato presso il viceré: “Essendomi mancato dal 30 agosto ultimo scorso il rapporto della gondola la “Sardina”, ho espresso la mia inquietudine sulla sorte di questo bastimento, ma non ho tralasciato di fare tutte le ricerche possibili per sapere dove potesse essere questa gondola. Solo il 20 settembre il timoniere Serra, comandante la scialuppa la “S. Teresa”, mi informò che detta gondola aveva gettato l’ancora a Malfatano il 10 settembre, donde era partita l’11 per recarsi a Cagliari per rimpiazzare le proprie vettovaglie. Sorpreso del suo grande ritardo, non sapevo a cosa attribuirlo, quando le coralline francesi arrivate ieri da Tunisi mi hanno informato che la nostra gondola era stata catturata dalla scialuppa di uno sciabecco della reggenza di Tunisi presso il litorale di Spartivento, aggiungendo di aver parlato col timoniere Peretti che era ferito alla testa. Non posso fornire ulteriori dettagli di tale disgraziato avvenimento poiché non ha potuto procurarmene ulteriori. Di conseguenza mi restringo ad informare V. E. che questa gondola era armata di due piccoli cannoni, comandata dal sotto luogotenente di fanteria De Revest, ed equipaggiata da un timoniere e dodici marinai, che ad eccezione del nominato Taranto del Regno di Napoli, sono tutti della Maddalena. Secondo il rapporto che mi è stato fatto parrebbe che questa gondola, sebbene sorpresa dalla scialuppa ha tuttavia contrapposto tutta la difesa possibile, giacché oltre al timoniere ferito c’è un marinaio ammazzato che non mi è stato specificato”.
La notizia ovviamente giunse subito a La Maddalena facendo piombare nel dolore tante sfortunate famiglie, alcune delle quali avevano già subito in precedenza la perdita dei loro cari ridotti in schiavitù
Ed ecco in dettaglio l’elenco dei marinai catturati e delle loro famiglie.
– Giacomo Antonio Peretti, timoniere, con moglie, quattro figli maschi, di cui uno già schiavo, due figlie femmine e un figlio minorenne;
– Paolo Simone (successivamente deceduto a seguito delle ferite riportate nel combattimento), con moglie, due figlie e un figlio, tutti minorenni;
– Fedele Romano, con i due figgli imbarcati con lui sulla “Sardina”, con i nomi di guerra Romano 2° e Romano 3°, che lasciava a La Maddalena la moglie e altri trefigli di cui uno in servizio nella Marina;
– Falcone Domenico Serra, con moglie e due figlie minorenni;
– Francesco Santuccio, con moglie e due figli minorenni;
– Donodifiori Quenza, con un figlio minore ed una giovane figlia;
– Giovanni Simone, “L’Adrezza”, vedovo, con a carico i genitori, una figlia minorenne e tre figli maschi di cui uno imbarcato col nome di guerra di Piombino, condotto in schiavitù col padre;
– Francesco Millelire, “La Gioventù”, anch’egli vedovo, con a carico i genitori, tre figli e tre figli maschi, di cui uno già schiavo.
Il marinaio napoletano Taranto, della cui famiglia non si aveva notizia.
Non mancò ovviamente il De May, sin dal momento in cui era giunta la triste notizia, di accorrere in aiuto di tante sfortunate famiglie, e nella lettera diretta al segretario di stato, così sollecitava adeguati provvedimenti: “Debbo…. raccomandare il timoniere Peretti ed il restante equipaggio, che oltre ad avere per molto tempo servito nella Marina con zelo e bravura, si trovano sovraccaricati di famiglia che mantengono con le loro paghe nella più spaventosa miseria e credo mio dovere di rappresentare la necessità di continuare la paga semplice alle famiglie degli individui della Maddalena…. che sarebbe un piccolissimo carico alle finanze e servirebbe3 alla sussistenza di tanti sfortunati esseri abbandonati, che vista la posizione del paese, non hanno altre risorse che nei benefici di S.M. e nel suo servizio”.
Non mancò pure di ricordare che in analoghe circostanze le famiglie di altri sardi condotti in schiavitù erano state adeguatamente soccorse e di mettere in evidenza i servigi prestati alla marineria maddalenina per rendere quelle sfortunate famiglie meritevoli di assistenza.
“Questa disposizione – proseguiva il De May – sarebbe conforme a quella che si è seguita verso coloro che furono catturati dai tunisini nell’Isola di S. Pietro, e servirebbe ad incoraggiare i maddalenini a continuare il servizio nella Marina del Re. Intanto aggiungerei che oltre al servizio che gli abitanti della Maddalena hanno reso nella Marina, essi non hanno rifiutato mai di servire anche per terra, ed in tutte le occasioni che si sono presentate, ed in particolare nello scorso anno per la ripresa della torre di Longon Sardo ed il ristabilimento dell’ordine su quel litorale. Di conseguenza supplico V.E. di voler sottoporre al Re la triste posizione di queste povere persone e fare in modo di procurare da parte S.M., per effetto della sua clemenza, la grazia di essere compresi nel riscatto dei carolini che si trovano ancora a Tunisi, facendo negoziare questo riscatto unitamente a quelli che passano nelle mani di particolari”.
Le prime provvidenze, sia pure assistenziali, non si fecero attendere; appena quindici giorni dopo, il 16 ottobre 1803, il viceré Carlo Felice emetteva la seguente ordinanza: “Essendo stata recentemente predata da uno sciabecco tunisino la regia gondola la “Sardina”, abbiamo preso in benigna considerazione lo stato in cui rimangono le famiglie degli individui che ne compongono l’equipaggio, pressoché tutte della Maddalena; e quindi per un soccorso alle medesime non meno che per procurare qualche sovvenimento alli suddetti individui fatti schiavi, ordiniamo all’Ufficio del Soldo di dare le sue disposizioni per continuare, sino a che pervengano altri ordini della M.S., la corresponsione delle paghe delle quali godevano, facendole pervenire o alle loro famiglie nella Maddalena, o ad altra persona sicura che ne faccia loro recapito”.
Il De Revest, da Tunisi, sebbene schiavo, attraverso canali segreti e clandestini riusciva a far a vere tuttavia sia a Cagliari che a La Maddalena notizie dell’equipaggio catturato ed anche, come vedremo, preziose informazioni sui movimenti dei barbareschi. Difatti, l’11 agosto dell’anno successivo, il segretari di stato presso il viceré, con lettera diretta ai comandanti di La Maddalena e Carloforte, avvertiva: “Per via di lettera scritta da Tunisi dal signor Revest, si è saputo che trovai pronto a sortire dal porto della Golletta un armamento composto di 14 a 16 vele che si crede diretto a fare qualche sorpresa in codesta popolazione. Sebbene siano queste le solite bravate dei barbareschi, ciò nonostante stimo prevenire VV.SS. per ogni buona regola, e perché possa essere in grado di darne avviso ai regi legni ove qualcuno approdi a codeste isole”.
La notizia della morte del marinaio Paolo Simone, fatta giungere nel dicembre del 1804, dava l’occasione al barone Des Geneys di tornare alla carica mettendo in rilievo quale effetto negativo potesse avere la mancata assistenza alle famiglie dei marinai ridotti in schiavitù. Il 13 dicembre 1804, difatti, indirizzava a Cagliari una lunga lettera nella quale, tra l’altro, si legge: “Dalle ultime lettere da Tunisi del signor De Revest risulta che il marinaio Paolo Simone della Maddalena, del numero degli schiavi al regio servizio, è morto sul principio dello scorso ottobre, in seguito alle ferite riportate nell’atto che fu predata la regia gondola la “Sardina”. Con ciò viene a cessare la sua paga che si correva alla di lui moglie e quattro figli di tenera età senza mezzi alcuni di sussistenza. Perciò è in dovere l’infrascritto pregare il cavaliere Dequesada di interessarmi presso S.A.R. per ottenere a questa desolata madre e figli una porzione di pane”.
Le condizioni di questa famiglia, cui in assenza del padre si era aggiunto un figlio, nato evidentemente dopo la sua cattura, non doveva essere certo essere di buon esempio tanto che il Des Geneys sottolineava: “Purtroppo le critiche circostanze dello stato allontanano i marinari dal regio servizio, e l’aspetto di una famiglia mendicando dopo aver perso il padre delle sue ferite sarebbe un motivo di più a disgustare gli abitanti della Maddalena che in ogni occorrenza si sono prestati alle urgenze dello stato e della sua Marina”.
Fonti documentali non ci consentono di avere notizia sulla sorte dei maddalenini fatti schiavi. Sappiamo che essi venivano spesso ricattati con fondi di lasciti, liberati da privati emissari che si recavano a Tunisi per acquistarli, o scambiati con gli equipaggi di navi barbaresche predate dalle navi sarde.
Si dovrà forse attendere fino al 1816, anno in cui le grandi potenze, sollecitate dalla Società delle Nazioni, costrinsero le reggenze nordafricane ad un trattato di pace con la Sardegna e alla liberazione di tutti gli schiavi, segnando così la fine, dopo dodici secoli di terrore, della pirateria musulmana che tanti lutti e miserie aveva fatto patire alle popolazioni mediterranee.