L’azione diplomatica del governo francese (1778-1784)
Prima ancora che le corti di Torino e di Versailles ponessero in termini non più differibili la necessità di stabilire senza equivoci la pertinenza delle isole, un intenso carteggio era intercorso tra le due cancellerie a proposito degli incidenti che continuamente avvenivano tra le vedette guardacoste sarde e le gondole dei marinai còrsi che esercitavano il commercio e la pesca nelle acque tra Bonifacio e la Gallura e nel golfo dell’Asinara ( ).
La pratica del contrabbando era un’abitudine inveterata dei Bonifacini. Relegati nella parte più misera e abbandonata della Corsica e del tutto separati, per mancanza di vie di comunicazione, dai centri di Bastia e di Ajaccio, essi erano portati per naturale bisogno a ricercare nel mare le principali risorse di vita e a procurarsi i necessari approvvigionamenti servendosi delle barche anziché dei mezzi di trasporto terrestri. La natura montuosa e boscosa del loro entroterra non permetteva che essi si dedicassero con profitto all’agricoltura e all’allevamento, a cui, del resto, erano poco propensi per carattere. Di fronte a loro, a qualche ora di tragitto in barca, stavano le coste della Gallura, scarsamente popolate, è vero, ma ricche di piccole insenature e di approdi dove si potevano facilmente far affluire i prodotti delle terre sarde, ricche di agricoltura, di greggi e di armenti.
I generi di consumo più richiesti erano le granaglie, i legumi, il formaggio, il lardo, le carni affumicate e salate e il bestiame da macello grosso e minuto. L’eccessivo fiscalismo delle leggi sarde in materia di esportazione faceva sì che i produttori del Logudoro, dell’Anglona e della Gallura ricorressero alle estrazioni clandestine per sottrarsi al pagamento dei diritti dovuti alla R. Cassa. I commercianti di Bonifacio, da parte loro, trovavano più conveniente rifornirsi in Sardegna, sia pure con qualche rischio, che trasportare i prodotti dai grossi centri della Corsica o dai porti della Toscana e della Provenza. Si era creata, perciò, tra i proprietari sardi e marnai còrsi come una tacita intesa: gli uni facevano affluire ai punti prestabiliti i loro carichi, gli altri imbarcavano le provviste e pagavano in denari contanti. Intermediari nell’illecito traffico erano quei pastori delle coste della Gallura che, avendo le loro capanne presso le cale deserte, ne avevano fatto come dei depositi per la merce destinata all’estrazione. Essi avvisavano con fumate o altri segnali i marinai di Bonifacio rimasti in attesa nell’altra parte dello stretto, e, fatto il carico, esigevano un diritto speciale, detto « droit de caleffes », per la collaborazione prestata.
Siffatta pratica durava, si può dire, da secoli, perché rispondeva a un’esigenza «imperiosa e assoluta». Nulla avevano potuto, nel passato, le ordinanze emesse dalle autorità spagnole in materia di dogane e di contrabbando; nulla poterono, nei tempi più recenti, gli editti dei Viceré sabaudi prescriventi sanzioni severissime a carico dei contravventori. La presenza nell’isola della Maddalena di un grosso nucleo di pastori bonifacini aveva resi più intensi i traffici fra le due coste, sicché era facile alle gondole còrse sfuggire alla sorveglianza addentrandosi nei meandri dell’arcipelago, nascondersi nelle innumerevoli insenature e guadagnare poi il loro porto in tutta sicurezza.
Le autorità còrse non avevano alcun interesse a impedire tale commercio; questo appariva a tutti come un fatto così naturale, che a Bonifacio si macellava quotidianamente il bestiame proveniente dalla Gallura in un pubblico macello detto «dei Sardi». Spesso le bestie, oltre che trasportate clandestinamente, erano anche di provenienza furtiva: non era infrequente il caso che i malviventi dell’interno della Sardegna rubassero interi greggi e li avviassero attraverso sentieri poco battuti verso i posti d’imbarco. Il guadagno era allora assai forte per i commercianti còrsi, perché, speculando sullo stato di necessità in cui operavano i malviventi, essi riuscivano a fare il carico a condizioni vantaggiosissime.
Le autorità sarde erano a conoscenza di tutto ciò, ma, sia per l’inefficacia delle leggi, sia per la mancanza di un’adeguata organizzazione periferica di controllo, sia per le difficoltà di raggiungere sollecitamente per terra le insenature dove più facilmente approdavano le gondole dei contrabbandieri, erano impotenti a reprimere quel l’attività, tanto più che spesso erano gli stessi alcaidi addetti alla custodia delle torri litoranee a rendersi complici degli evasori.
Unico rimedio efficace sarebbe stata una maggiore vigilanza costiera; e infatti a tal fine venne istituita nel 1767 una speciale «armatetta» leggera incaricata di perseguire entro le acque territoriali sarde, ivi comprese quelle dell’arcipelago della Maddalena, le gondole contrabbandiere. La flottiglia faceva capo a un Còrso fuoruscito, tale Nobili, di Nonza, che comandava un felucone. Egli si mostrò così attivo nel compimento del servizio, che spesso oltrepassò i limiti dell’incarico affidatogli: non vi era barca, si può dire, che non venisse fermata, o perquisita, o sequestrata. Tale solerzia si spiega con la ragione che per regolamento gli ufficiali addetti alla vigilanza beneficiavano, con larga percentuale, di una provvigione sul valore delle merci sequestrate o delle multe inflitte.
Spesso nascevano conflitti a fuoco, e più di una volta le vedette guardacoste sarde dovettero ripiegare di fronte alla nutrite scariche dei marinai còrsi e dei pastori sardi che li spalleggiavano stando appiattati dietro le rocce. Generalmente, però, i contrabbandieri preferivano fuggire, e le vedette li inseguivano oltre i termini delle acque territoriali: spesso, anzi, si dava il caso che giungessero fin sotto le coste della Corsica. Allora le proteste delle autorità portuali di Bonifacio andavano ad aggiungersi a quelle dei marinai danneggiati, quando, per rintuzzare tanta audacia, non si ricorreva addirittura ai colpi di cannone.
Nonostante le rigorosissime disposizioni contenute nel noto Editto del 1° febbraio 1767, e a dispetto dell’accresciuta sorveglianza costiera, gli incidenti si rinnovavano quasi ogni giorno e, dopo il 1777, con una gravità tale, da farne sentire gli echi fuori dall’ambito strettamente locale per imporsi all’attenzione delle più alte autorità militari e politiche. I documenti degli archivi consolari di Parigi, Torino e Cagliari ci offrono sull’argomento una larghissima messe di notizie, che cercheremo di riassumere brevemente nell’intento di far rilevare quanto i passi diplomatici fatti in proposito abbiano influito a riproporre all’attenzione delle due corti interessate la questione principale della Maddalena, che già sembrava dimenticata.
Se può sembrare frutto di esagerazione il parere del Marmonier, che sotto le apparenze della repressione del contrabbando si celasse l’intento del Re di Sardegna di corrispondere con gli insorti di Pasquale Paoli e di far loro giungere armi e danaro , è tuttavia credibile che, dopo l’occupazione armata dell’arcipelago, la repressione fosse diventata così intensa e spietata, da provocare il continuo intervento del console francese a Cagliari, Durand. Il Viceré non poteva fare altro che prendere atto delle proteste e darne comunicazione a Torino; qui l’ambasciatore barone di Choiseul si sentiva rispondere che la colpa degli incidenti ricadeva unicamente sui contrabbandieri di Bonifacio, i quali, oltre tutto, contribuivano ad affamare la Sardegna sottraendone le provviste che in tempo di carestia erano indispensabili per quella popolazione.
Il governo francese non credeva opportuno insistere e si accontentava delle risposte evasive del governo sardo; la sua cura maggiore era quella di « éviter à tout prix ce qui pouvait donner lieu à des difficultés fondées de la part des Puissances étrangères». Non si trattava, però, solo di prudenza spinta fino a una pavida remissività, come vorrebbe far credere il più volte citato scrittore francese: c’era nella condotta della diplomazia di Versailles una buona dose di cattiva volontà, se è vero, come attestano appunto documenti di fonte insospettabile, che nel 1774 fu lasciata cadere nel vuoto una proposta di convenzione doganale che regolasse definitivamente ed in maniera soddisfacente i rapporti commerciali fra la Sardegna e la Corsica.
Che si trattasse veramente di mancanza di buona volontà è dimostrato anche dal carteggio intercorso nel 1779 tra il console Durand, il ministro della marina, Sartine, e quello degli esteri, Vergennes, a proposito di un altro progetto di convenzione commerciale tendente a porre fine al contrabbando, agli incidenti che ne erano la diretta conseguenza, e, in definitiva, all’insoluta vertenza per la sovranità sulla Maddalena. Il console era del parere che, se si voleva ottenere qualche facilitazione nel commercio tra la Sardegna e la Corsica, era necessario rinunciare ad ogni rivendicazione sulle isolette; la contropartita sarebbe stata una accresciuta libertà nel traffico commerciale tra le due isole, la diminuzione delle tariffe doganali, il condono dei reati di contrabbando con l’archiviazione delle pratiche in pendenza, la possibilità per i marinai bonifacini di eseguire il carico in qualunque punto della costa sarda, purché fosse assicurata la presenza dei subdelegati patrimoniali, e, infine, l’istituzione di un consolato sardo a Bonifacio per la necessaria vigilanza.
Gli articoli della convenzione erano stati redatti in termini così chiari, che l’intendente Generale di Sardegna, a cui il Durand si era rivolto, aveva manifestato il suo gradimento e la sua approvazione preventiva. Le disposizioni delle autorità sarde erano, dunque, più che favorevoli; non altrettanto favorevoli erano quelle del governo francese. Infatti il ministro Sartine ne scrisse al conte di Vergennes, rimettendosi al suo definitivo giudizio. Il ministro degli esteri continuò a mantenere un atteggiamento equivoco: in un certo senso non era alieno dal ricattare la corte di Torino sbandierando i presunti diritti francesi sulla Maddalena per ottenere la contropartita proposta dal console Durand; in caso di riuscita avrebbe fatto la rinuncia formale e definitiva della Francia a tutte le rivendicazioni di sovranità sulle isole; d’altra parte bisognava tener conto della esigenza di non scontentare troppo le autorità amministrative della Corsica e in particolare la comunità di Bonifacio, di cui si temeva la reazione. Non c’era altro mezzo se non ricorrere al compromesso: lasciare, cioè, la questione impregiudicata e richiedere il parere del ministro della guerra, il quale meglio di ogni altro avrebbe potuto giudicare se la rinuncia a una posizione strategica così importante come quella della Maddalena potesse essere sufficientemente compensata da qualche agevolazione di natura commerciale.
Non conosciamo il tenore della risposta del principe di Montbarey, ma essa non poteva non essere negativa, tenuto conto che l’atteggiamento dei responsabili del dipartimento della guerra e dei comandanti militari in Corsica rimase sempre di assoluta intransigenza nel mantenere le rivendicazioni. Di fatto, dopo un breve scambio di note tra i ministri interessati, non si parlò più del progetto di convenzione, né il console Durand si sentì in potere di prendere un’iniziativa personale presso il Viceré per condurre a buon fine i suoi propositi: « J’ai trouvé la matière trop délicate pour faire des instances auprès du Vice-Roy sans des ordres exprès et des instructions particulières de votre part, et je me suis déterminé d’autant plus volontiers à les attendre que je suis certain que la réponse eut été qu’il fallait prendre des informations et qu’enfin ces informations prouveraient tout le contraire de ce que j’avais avancé. C’est une maxime adoptée dans ce pays et qui leur sert merveilleusement pour trouquer les fait qu’ils ont interèt de dénaturer» ( ).
Ciononostante il console Durand si tenne sempre in comunicazione con il suo governo per segnalare ogni fatto nuovo riguardante la situazione nelle Bocche di Bonifacio. Alle continue persecuzioni di cui i marinai bonifacini pretendevano di essere fatti oggetto si aggiunse, verso la metà del 1781, una emigrazione in massa verso la Sardegna di giovani Còrsi che temevano un arruolamento forzato nei nuovi quadri della marina francese ( ). Con essi fuggirono anche molti banditi alla ricerca di un asilo più sicuro.
Gli amministratori della Corsica, venuti a conoscere che tanto gli uni quanto gli altri avevano trovato compiacente protezione fra la popolazione e anche fra le autorità sarde, se ne lamentarono col conte di Vergennes; questi fece fare una protesta a Torino e ottenne formali assicurazioni per la estradizione dei criminali. I relativi provvedimenti, a quanto pare, non ebbero pronta attuazione, e il passaggio da un’isola all’altra dei malviventi continuò intenso come prima. I documenti di fonte francese parlano solo di individui postisi fuori della legge; sappiamo, invece, che insieme con quei malviventi c’erano anche molti altri Còrsi che, per non sottostare ai nuovi dominatori, ma non potendo, d’altra parte, sostenere validamente la ribellione di Pasquale Paoli, cercavano in Sardegna i vantaggi di una più larga libertà politica: norma seguita in Corsica ogni volta che le repressioni sia di Genova sia della Francia crescevano di intensità (m).
È fuor di dubbio che a Cagliari e a Torino si guardasse con simpatia al dramma di tanti profughi Còrsi, e ciò dispiaceva in sommo grado al console Durand, il quale, visto cadere il suo disegno di convenzione commerciale, si appigliò al partito di sollecitare anche lui la rivendicazione della Maddalena, segnalando al nuovo ministro della marina, maresciallo di Castries, ogni novità riguardante i lavori di fortificazione di Santo Stefano. Tanto zelo muoveva non tanto dal desiderio di favorire le aspirazioni della comunità di Bonifacio, quanto dal convincimento che la base navale della Maddalena, se fosse stata aperta alla flotta inglese, che allora collaborava all’incremento della nascente marineria sarda, avrebbe costituito un costante pericolo per la Francia: « Ces isles de la Magdelaine, détachées de leur ancienne domination sans aucun titre, seront toujours un obstacle au repos et à la prospérité de la Corse; leur voisinage est dangéreux en temps de paix comme en temps de guerre. Je dis qu’il est dangéreux et je suis fondé à le soutenir: il est donc de la plus grande conséquence qufon sfoccupe serieusement de leur reunion. On tient constamment a lfisle St. Etienne qui en depend une quantite considerable i ¡ de poudre et autres munitions de guerre.
Je ne crains pas dfavancer que sfil arrivait quelque revolution en Corse les rebelles y seraient accueillis et trouveraient toutes les sources dont ils pourraient avoir : ‘ besoin, surtout si les Anglais, comme autrefois, avaient une escadre dans la Mediterranee; lfhistoire de la guerre de Corse ne permet pas de douter de cette verite; le Gouvernenient de Sardaigne nous a fait tout le mal qui etait en son pouvoir â.
Il ministro Castries portava le informazioni del Durand a conoscenza del conte di Vergennes, il quale, ligio alla sua tattica á de ne rien abandonner, mais de ne rien faire â consigliava il collega di frenare lo zelo troppo intemperante del console. I rapporti di questo col Viceré si fecero ancor piu tesi quando si venne a sapere che il diligente informatore del Durand era un certo Liga, magazziniere del deposito di Santo Stefano, che, vistosi scoperto, era riparato in Corsica con i fondi in suo possesso. Il governo di Torino ne chiese subito l’estradizione. La mossa del ministro degli esteri sardo, conte Perrone di S. Martino, era abilissima: facendosi promotore di una richiesta più che giustificata, trattandosi di perseguire il colpevole di un reato comune quale quello di appropriazione indebita, egli, se avesse ottenuto soddisfazione, avrebbe potuto considerare la riconsegna del fuggitivo come un implicito, riconoscimento della sovranità sarda sull’isola di Santo Stefano, dove il reato era avvenuto, e di conseguenza anche sulle altre dell’arcipelago. Se ne accorse in tempo il conte di Vergennes, che, ricorrendo alla solita tattica, dilatoria, negò l’estradizione senza specificare pero che col rifiuto disconosceva la giurisdizione di S. M. Sarda (2<n). La vertenza incominciava a prendere una piega tale da costringere la diplomazia francese a uscire dalla sua inerzia: il maresciallo di Castries, tenuto al corrente dal Durand non solo sugli incidenti che si rinnovavano ogni giorno tra i marinai bonifacini e le gondole guardacoste sarde, ma anche sui soprusi a cui erano sottoposti i bastimenti francesi nel porto di Cagliari ( ), sollecitava il conte di Vergennes a intervenire. II ministro degli esteri, finalmente, diede istruzioni al barone di Choiseul, ambasciatore a Torino, affinché ragguagliasse dei fatti il conte Perrone e lo invitasse a prendere gli opportuni provvedimenti, essendo persuasione del governo francese che « l’intention de S. M. Sarde ne peut étre de maintenir deux peuples aussi voisins dans une espèce d’état de guerre et sous prétexte d’empècher la contrebande de vexer les sujets du Roy » Poiché l’esito di un primo colloquio fu imitile, il maresciallo di Castries ritornò alla carica con maggior vigore, invitando il conte di Vergennes a esigere dalla corte sabauda una « autentica soddisfazione » per gli insulti fatti alla bandiera francese. Era avvenuto l’arresto di un « patron » còrso, tale Angelo Nobili, sorpreso in flagrante con un carico di contrabbando, dalla mezza galera sarda di stazione alla Maddalena; in quell’occasione l’ufficiale che la comandava aveva strappato dall’albero lo stendardo di S. M. Cristianissima (20r>). Il conte Perrone, già informato del fatto, scagionò l’ufficiale da ogni accusa e riversò la responsabilità dell’accaduto sui marinai còrsi. La risposta era, evidentemente, troppo evasiva da accontentare i diplomatici francesi; ma l’incaricato di affari, Lalande, che sostituiva temporaneamente lo Choiseul, ne diede notizia al suo governo con un tono di rassegnata indifferenza, come persona abituata a non essere presa in considerazione. L’offesa alla bandiera, tuttavia, costituiva un fatto di una certa gravità, e il barone di Choiseul sollecitò ancora una udienza. Anche allora il suo intervento non fu molto efficace: il conte Perrone ammise che la bandiera era stata ammainata dall’ufficiale sardo « avec la décence qu’on observe toujours », ma che poi era stata regolarmente inalberata con la medesima decenza! Promise, ad ogni modo, che il colpevole sarebbe stato punito – cosa che poi venne fatta -, ma il resto della questione rimase ancora impregiudicato ( ). Ciò avveniva verso la metà del 1783, quando l’amministrazione della Corsica e i curaci di Bonifacio erano in piena attività alla ricerca delle prove attestanti i diritti francesi sulla Maddalena e il governo di Versailles si proponeva di sostenerli con tutto il vigore. In una lettera del 7 marzo, infatti, il conte di Vergennes, nel dare notizia al maresciallo di Ségur del Memoriale trasmessogli dall’ambasciatore sardo sugli incidenti avvenuti tra contrabbandieri e vedette guardacoste nelle acque dello stretto di Bonifacio, manifestava il proposito di « saisir cette occasion pour entamer une affaire sur Iaquelle vous m’avez quelque fois donné des rapports et qu’il était difficile de traiter tant que la guerre a duré ». Aggiungeva che i documenti in suo possesso, aggiunti a quelli raccolti dal ministro della guerra, non erano sufficienti per sostenere le rivendicazioni, e pertanto era necessario assumere altre e più precise notizie sul luogo e munirsi di una carta geografica che riproducesse l’esatta posizione delle isolette ( ).
Di tutto questo maneggio ebbe sicuramente sentore la corte di Torino, la quale, dopo aver messo a punto in un vibrato Memoriale le responsabilità sugli incidenti occorsi ai marinai bonifacini, provvide subito a correre ai ripari, passando al contrattacco. Il 25 marzo il conte di Scarnafigi ricevette l’ordine di presentare una protesta per la protezione concessa dalle vedette guardacoste della Corsica ai contrabbandieri e per la frequente invasione delle acque territoriali sarde da parte dei bastimenti di S. M. Cristianissima: « Depuis quelque temps les félouques garde cótes sardes font de fréquentes courses vers les rivages de l’isle de Sardaigne et des isles qui en dépendent, et la station qu’elles y prennent donnant beaucoup de facilités aux habitants de Bonifacio de faire la contre bande, M. le comte de Perron crut devoir en informer M. le baron de Choiseul par un Mémoire qu’il lui remit dans le courant de décembre de l’année passée.
« Comme l’expérience prouve journellement à S. M. le Roy de Sardaigne combien S.M.T.C. désire d’entretenir un bon voisinage entre les deux États respectifs, il ne doute pas que S. Excellence M. le comte de Vergennes, sur la communication qu’il aura eue du susdit Mémoire, n’ait dans le temps fait donner des ordres en con- séquence. Cependant sur ce qu’on a recu récemment à ce sujet de la part du Viceroy de Sardaigne, le soussigné a été chargé par le Roy de prier S. Excellence M. le comte de Vergennes de vouloir bien renouveller ses ordres afin que les bàtiments garde cótes de l’isle de Corse cessent à l’avenir de se mettre en station sur les cótes et isles dépendantes de la Sardaigne. Les soins qu’on prend d’empécher que les bàtiments garde cótes sardes ne s’approchent pas trop de l’isle de Corse font espérer au Roy que S.M.T.C. aura égard à sa juste demande ».
Il conte di Vergennes, rispondendo pochi giorni dopo, teneva a precisare che gli incidenti lamentati da entrambe le parti non sarebbero cessati fintanto che fosse rimasta insoluta la « questione » della pertinenza delle Isole intermedie. Le informazioni in suo possesso, aggiungeva, suffragate dal consenso unanime degli Amministratori della Corsica e dei privati, lo rendevano persuaso che il Re Cristianissimo fosse nel suo pieno diritto di reclamare la sovranità. come erede del dominio genovese in Corsica: « Je n’ai trop besoin de dire à V. E. que Sa Majesté n’apportera à la discussion de ses droits que les mèmes dispositions dans les quelles S.M. Sarde l’a toujours trouvée dans toutes les affaires où il s’est agi de leurs intéréts communs. La considération et la puissance des Souverains ne tiennent assurement pas à la possession de quelques isles la pluspart désertes, mais les limites contestées font toujours naìtre des différents entre les sujets respectifs et peutétre lorsqu’il est question d’ìles, il est encore plus nécessaire de laisser moins de doutes qu’en terre ferme, parce que l’autorité ne peut ètre constamment surveillant sur la mer » ( ).
La nota era formalmente concepita in termini assai moderati, ma in sostanza poneva il governo sardo di fronte a una richiesta precisa: far conoscere con la massima esattezza quali fossero i limiti delle acque territoriali entro cui il Re di Sardegna pretendeva di esercitare la sua sovranità. Il ministro francese non mancava, però, di far intendere che, a suo giudizio, e tranne che i patti a suo tempo stipulati non prescrivessero il contrario, il canale più profondo tra la Corsica e la Sardegna, esattamente indicato in una carta idrografica concordemente accettata dalle due parti, avrebbe dovuto segnare i confini marittimi tra le due isole. Nelle istruzioni date subito dopo all’incaricato di affari a Torino, Lalande, egli ribadiva gli stessi concetti, senza però celare che a porre la « questione » in termini improrogabili il suo governo era stato spinto dalla necessità di accontentare gli Amministratori della Corsica e di porre fine, una volta per sempre, alle infinite querele degli abitanti di Bonifacio: « Les Corses ont au moins des préjugés, dont ils ne se départiront pas tant qu’il n’y aura pris une décision précise à cet égard et les altercations ne cesseraient jamais. Le Mémoire de M. le comte de Scarnafix a été mis sous les yeux du Roi et du Conseil. M. le marquis de Ségur et M. le marquis de Castries ayant reiju ainsi que moi beaucoup de Mémoires pour prouver que les Sardes occupaient ce qui ne leur avait jamais appartenu, et formient des prétentions sur des iles qui ont toujours été à la disposition des Corses, les deux ministres se sont joints à moi pour prier S. Majesté de faire cesser une source de querelles entre les deux peu- ples et obtenir du Roi de Sardaigne un règlement de limites qui, en assignant à chacun ce qui lui appartient, ne laisse plus de pré- texte aux empiéments réciproques ».
I passi in proposito presso il conte Perrone furono fatti direttamente dall’ambasciatore Choiseul, anziché dall’incaricato di affari Lalande. Il ministro sardo dichiarò di attribuire una grande importanza al possesso delle isole della Maddalena per due ordini di motivi: anzitutto perché il suo governo avrebbe potuto impedire con maggiore efficacia le attività illecite dei contrabbandieri còrsi, e in secondo luogo perché, in un momento in cui i pirati barbareschi devastavano le coste del mar Ligure e del Tirreno, le guarnigioni della Maddalena e di Santo Stefano e le navi da guerra che vi facevano scalo sarebbero state in grado di tenerli lontani dal litorale sardo, dove erano soliti approdare alla fine di ogni stagione prima di fare ritorno alle loro basi africane.
In verità, né Luigi XVI, nè il suo ministro degli esteri, né l’ambasciatore a Torino, apparivano fortemente animati dalla volontà di ottenere piena soddisfazione nelle loro richieste. Il Vergennes scriveva il 23 maggio 1783 al barone di Choiseul: « D’ailleurs Sa Majesté est disposée à faire tout ce que la nature des lieux comporterà pour que l’arrangement définitif soit agréable à S. M. Sarde » ( ). E l’ambasciatore, assecondando il desiderio del Re, pivi che di seguire la controversia in atto, si dava pensiero di informare S. M. che la salute di madama la duchessa di Chiablese era soddisfacente; che la duchessa aveva già passeggiato più volte nella sua camera dopo la recente malattia; che il duca di Monferrato aveva avuto il vaiolo; che le LL. AA. i Principini avevano mangiato con appetito; e, ancora, che i progressi della salute della duchessa di Chiablese si notavano a vista d’occhio, dopo che Madama aveva incominciato a prendere il latte d’asina ( ).
Il conte Perrone, da parte sua, prendeva l’impegno di richiedere al Viceré di Sardegna e di trasmettere subito alla corte di Versailles le prove giuridiche e documentali dei diritti di S. M. Sarda sulle isole. Per il momento, tuttavia, era del parere che per la delimitazione dei confini bisognasse seguire le leggi marittime. In tal modo egli evitava di pronunciarsi sulla proposta del Vergennes relativa alla scelta del canale più profondo. Quando da Cagliari giunsero le informazioni richieste, il Perrone compilò un Memoriale ( ) in cui erano esposte succintamente ma organicamente le ragioni che nella controversia militavano a favore di Vittorio Amedeo III, e ordinò all’ambasciatore Scarnafigi di presentarne copia al conte di Vergennes.
La corte di Torino – era detto nel Memoriale – non aveva alcuna difficoltà a spiegare al governo di S. M. Cristianissima die l’attività delle vedette guardacoste sarde nello stretto di Bonifacio era unicamente rivolta al fine di impedire il contrabbando e non di compiere un attentato ai diritti sovrani del Re di Francia. Del tutto nuova, pertanto, appariva al giudizio del governo sardo la richiesta del conte di Vergennes di intavolare delle trattative sulla appartenenza delle isole poste in quello stretto: bastava la sola « ispezione oculare » per ottenere la convinzione che esse erano adiacenti alla Sardegna, da cui distavano poco più di due miglia, mentre la distanza dalle coste della Corsica poteva valutarsi a circa otto miglia.
Ove non bastasse la prova, per così dire, topografica, che poteva essere asseverata attraverso l’esame delle carte nautiche, soccorreva la testimonianza degli storiografi e dei geografi di tutti i tempi, che mai attribuirono nelle loro opere la pertinenza di quelle isole alla Corsica. In particolare, una descrizione molto precisa della Corsica, corredata di una carta geografica e stampata in quell’isola nel 1764, non faceva alcuna menzione di esse. Si poteva aggiungere, inoltre, la costante tradizione del dominio esercitato nelle isole intermedie dai Re di Spagna e, dopo il 1720, dalla Casa Savoia: tradizione confermata, per questa, dagli Editti e dalle Ordinanze Generali in materia di Sanità promulgati dai Viceré di Sardegna in occasione di pestilenze.
A nulla valeva la considerazione che le isole erano state ed erano ancora abitate da pastori còrsi: in verità essi vi si erano introdotti abusivamente, approfittando della condiscendenza delle autorità sarde; queste li avevano sopportati fintanto che essi non avevano dato motivo di lamentele, ma quando era apparso chiaramente che dalla loro presenza traevano vantaggio i contrabbandieri còrsi e i banditi sardi, un distaccamento armato aveva occupato militarmente quelle terre per reprimervi gli abusi e presidiarle dalla continua minaccia dei pirati barbareschi.
Ma la dimostrazione migliore del buon diritto del Re di Sardegna stava proprio nel silenzio che, in occasione della presa di possesso del 1767, avevano osservato in proposito tanto gli amministratori della Corsica quanto il governo genovese: né allora né poi era stato mai fatto alcun passo ufficiale che, nelle dovute forme, significasse opposizione a quell’atto legittimo.
Secondo il parere del Perrone, dunque, la sovranità sarda sulle isolette era incontestabile. Quanto alla esatta delimitazione dei confini, il ministro, benché ignorasse le varie profondità di quel braccio di mare misurate con la sonda, non aveva difficoltà ad ammettere il principio generale secondo cui, in caso di controversia, i limiti reciproci erano determinati dal canale più profondo. In questo caso la logica dava ancora ragione al governo sardo, giacché era assurdo pensare che un canale largo appena un miglio, come quello detto « passo stretto » posto tra le coste della Gallura e le isolette di Spargi, La Maddalena, Caprera e Santo Stefano, fosse più profondo del canale quattro volte più largo posto tra queste isole e la Corsica ( ).
A giudizio del Marmonier, il Memoriale sardo era una soperchieria bella e buona, di cui il conte di Vergennes non comprese il significato. Trasmettendo per conoscenza al suo collega maresciallo di Ségur copia del documento, il ministro degli esteri fece una sola osservazione: che le « deduzioni » in esso contenute gli sembravano semplicemente opposte agli elementi di giudizio a suo tempo fornitigli dal Lebègue de Villiers nella nota « Memoria storica ». In vista di possibili complicazioni, gli sembrava opportuno documentare meglio le rivendicazioni dei Còrsi e svolgere le relative pratiche con le dovute cautele per mezzo di persone fidate, stanti i rapporti di buona amicizia esistenti fra le due corti interessate: « Je n’ai pas besoin de vous dire, Monsieur le Maréchal, qu’il ne s’agit que d’une discussion entre deux Cours amies, qui ne peuvent que chercher la vérité et se rendre respectivement justice. Je suis bien assuré que vous prescrirez aux personnes que vous employerez dans cette affaire de la traiter sur ce ton. Une fois l’état des lieux parfaitement connu, il ne doit pas ètre difficile de fixer ce qui convient aux deux Puissances, mais de quelque facon que nous devions terminer cette contestation, il ne peut qu’ètre très utile d’appuyer de documents chacune des propositions que nous mettrons en avant » ( ).
Dal testo della lettera si desume che il ministro, il quale era già in possesso di una copiosa documentazione, aveva bisogno di altre prove per poter sostenere con qualche possibilità di riuscita le rivendicazioni degli abitanti di Bonifacio. Appare anche evidente che egli intendeva evitare a tutti i costi di turbare le amichevoli relazioni fra Vittorio Amedeo III e Luigi XVI.
Il maresciallo di Ségur rispose al Vergennes comunicandogli l’esito dell’assemblea generale di Bonifacio e preannunziandogli il prossimo invio della documentazione autentica allegata al processo verbale redatto in quel l’occasione. Le 29 «pezze d’appoggio» furono infatti trasmesse al ministro il 31 gennaio 1784. Nella sua lettera il ministro della guerra richiamava l’attenzione del collega sull’importanza delle prove positive e negative prodotte dalle autorità della Corsica: le prime riguardavano il costante possesso esercitato durante parecchi secoli sull’arcipelago dalla Repubblica di Genova e gli atti di giurisdizione criminale compiutivi in gran numero; le altre consistevano nel fatto che, in un Regolamento Generale pubblicato in Sardegna nel 1721 per la salvaguardia della salute pubblica, non v’era alcuna espressa menzione delle isole reclamate da Bonifacio.
Il conte di Vergennes non ne sembrò molto persuaso, e richiese ancora nuove prove. Il maresciallo di Ségur, invitando i Commissari regi in Corsica Marbeuf e Boucheporn a continuare le ricerche e a procurargli una carta geografica dello stretto, trasmise loro il Memoriale della Corte di Torino con viva preghiera di esaminarne il contenuto e di fargli conoscere le loro osservazioni. I due Commissari si affrettarono a rispondere: allegavano alla lettera una carta parziale dello stretto di Bonifacio, riproducente solo il « passo stretto », con l’indicazione delle varie profondità scandagliate, e giustificavano l’omissione del più largo canale con la considerazione, affatto, gratuita, che il fondale di questo era appena nascosto sotto il pelo dell’acqua, con numerosi scogli affioranti che rendevano impossibile la navigazione ai grossi bastimenti.
Intanto le ricerche dei solerti funzionari còrsi continuavano alacremente, e la già abbondante documentazione raccolta si arricchiva di nuovi elementi: si rispolverò così il vecchio e noto «caso Carboni», a proposito del quale si mise in risalto il fatto che, dopo l’investitura del 1709 a favore del console spagnolo, l’interessato era stato prima gettato in prigione dalle autorità genovesi e poi indotto alla formale rinuncia del beneficio ottenuto. Si aggiunse anche che la Repubblica di Genova aveva esercitato la sovranità su quelle terre fin dal 1687, imponendo ai pescatori napoletani e siciliani il pagamento dei diritti dovuti per la pesca del corallo in quelle acque. Il silenzio delle autorità genovesi per i fatti occorsi nel 1767 era, secondo il parere degli amministratori della Corsica, facilmente spiegabile; la situazione politica dell’isola era allora così confusa, che la Repubblica non era in grado di porre efficace riparo all’invasione delle truppe sarde.
Ancora meglio spiegabile era il silenzio osservato in proposito per molti anni dal governo francese, succeduto in Corsica a quello di Genova: « Si depuis que la Corse est soumise à la France le Gou- vernement n’a point agi, c’est qu’il se trouve dans l’ignorance des droits de la République, contre les quels une invasion à main armée ne peut point prévaloir. La Corse n’a que trop souffert de l’occupation des iles de la Magdelaine par la Sardaigne; elles ont été constamment le réfuge de nos bandits, qui n’auraient point échappé aux poursuites dirigées contre eux s’ils n’auraient eu la facilité d’v trouver une retraite. Il est bien important pour la tranquillité de la Corse que ces iles y soient reunies » ( ).
Sulle nuove informazioni ottenute dalle autorità còrse, il maresciallo di Ségur, che in tutta la « questione » si mostrò uno dei più intransigenti sostenitori delle rivendicazioni di Bonifacio, inviò al conte di Vergennes un ampio Memoriale ( ), contenente, oltre gli elementi di giudizio già conosciuti sull’esercizio della sovranità da parte di Genova nel campo della giurisdizione civile, criminale ed ecclesiastica, la confutazione di alcuni passi del Memoriale di Torino del 30 settembre 1783. Secondo il parere del ministro della guerra, le ordinanze dei Viceré di Sardegna, se pure esistevano, non potevano in alcun modo essere assunte come prova, anche se riportavano espressamente menzionate le isole in contestazione perchè « cette Cour sait parfaitement qu’il arrive tous les jours que les Souverains prennent dans les Ordonnances qu’ils font publier le titre de Seigneurs de terres qu’ils ne possèdent pas ». A conforto di questa singolare argomentazione il ministro aggiungeva, con assai scarso rigore logico, che in un Regolamento Generale di polizia, pubblicato in Sardegna nel 1768, cioè poco dopo la presa di possesso della Maddalena e delle altre isole, di queste non era latta alcuna menzione.
Oggetto di confutazione era pure l’argomento della maggiore vicinanza. « On n’est pas propriètaire d’une terre pour la seule raison qu’on est plus près qu’un autre. La proximité pourrait au plus donner lieu à des présomptions, elle ne donne aucun droit; il n’y a que les titres de la possessions qui établissent la propriété ».
L’omissione delle isole contestate nella carta pubblicata nel 1764 in Corsica sotto il governo di Pasquale Paoli era cosi spiegata: « La Cour de Turin prétend encore se prcvaloir de ce quo Paoli n’a pas compris les Iles de la Magdelaine dans ime carte de Corse qu’il a fait publier en 1764: Celle obmission ou cette négligence ne prouve pas que ces iles appartiennent à la Sardaigne. D’abord Paoli n’avait qu’une autorité usurpée; ainsi on ne doit rien conclure de ce qu’il a fait et de ce qu’il n’a pas fait. En second lieu il ne dominait que dans la Corse intérieure, les villes maritimes et notamment lionifacio étaient restées fidèles à la République de Génes; il n’avait par conséquent aucun intérét de défendre leurs droits. La politique, au contraire, devait l’engager à affaiblir les villes qui en étaient opposées, à susciter des affaires à la République de Génes et à flatter les Puissances voisines. Ce sont vraisemblablement les motifs qui l’ont engagé à ne pas comprendre ses iles de la Magdelaine dans la carte qu’il a fait faire de la Corse».
Del resto, in una omissione dello stesso genere sembrava fossero incorsi gli ingegneri incaricati di compilare, per ordine di Carlo Emanuele III, una carta della Sardegna, nella quale appunto non figuravano le isole della Maddalena. Ma tutte le considerazioni ampiamente esposte dal maresciallo di Ségur passavano in seconda linea di fronte alla utilità « politica » di ottenere il possesso di quella importantissima posizione strategica: « Je ne doute pas que vous fassiez tout ce qui conviendra pour faire restituer les iles dont il s’agit à la Corse. Elles sont de quelque importance par leur produit; elles le sont bien d’avantage si on les considère sous des points de vue politiques. Si elles restaient dans les mains de la Sardaigne, elles serviraient aux corsaires et mème aux flottes ennemies qui pourraient de là facilement intercepter les bàtiments de Bonifacio et des autres ports de la Corse, comme elles en on servi à presque tous les bandits qui ont circulé de Sardaigne en Corse. Enfin il est très essentiel de montrer aux habitants de Bonifacio et de toute la Corse que le Roi veille sur leurs propriétés et qu’il ne néglige rien pour leur faire rendre la justice qui leur est due » ( ).
Il conte di Vergennes esitava ancora: ebbe cura solo di inviare «ai suoi buoni amici di Torino» ( ) copia delle obiezioni del ministro della guerra, e, quando il console Durand, da Cagliari, propose di interessarsi personalmente della questione e di studiare a fondo i motivi di dissidio, il ministro lasciò cadere del tutto l’offerta e non si diede più pensiero di sollecitare una risposta del governo sardo.
A Torino tanto il barone Choiseul quanto il marchese Lalande assecondavano pienamente le vedute del loro ministro e non fecero più parola della controversia presso quella Corte. La loro attività di informatori confidenziali era rivolta unicamente a informare giorno per giorno Luigi XVI della salute dei principi e delle principesse di Casa Reale: bastava un vomito, una colica, un raffreddore, un salasso, per inviare in tutta fretta un corriere a Versailles!
Intanto ai margini della vertenza trovava sempre nuova esca la « questione » degli incidenti che si rinnovavano ogni giorno nelle acque dello stretto di Bonifacio tra le gondole còrse e le vedette guardacoste sarde incaricate della repressione del contrabbando. Il ministro francese della marina, Castries, era costantemente informato della situazione dal nuovo console a Cagliari, Agostino Guys, succeduto nel 1784 al Durand. A sua volta il Castries ne ragguagliava i colleghi del governo, e il conte di Vergennes dava istruzioni all’incaricato di affari a Torino, Lalande, per protestare presso quella corte. Simili passi diplomatici erano frequentissimi: ogni volta il conte Perrone prendeva atto della protesta, negava ogni addebito, rispondeva che la colpa era sicuramente dei contrabbandieri còrsi e congedava il diplomatico con la promessa di assumere più precise informazioni presso il Viceré di Sardegna.
A Cagliari le cose non andavano diversamente: ogni volta che accadeva qualche incidente, il console Guys si affrettava a protestare presso le autorità sarde, ma sempre si sentiva rispondere che gli ufficiali sardi dovevano essere scagionati da ogni responsabilità e che, in ogni caso, secondo la prassi, bisognava presentare le proteste a Torino. In mezzo a questo continuo palleggiarsi delle responsabilità e delle competenze, il Guys, riprendendo l’intelligente disegno concepito dal suo predecessore Durand, propose la creazione di un vice consolato francese alla Maddalena. La proposta gli sembrava tanto attendibile, che in via del tutto provvisoria incaricò un certo Alfonsi, chirurgo della guarnigione della Maddalena, ad esercitare le funzioni di viceconsole di Francia, a condizione che curasse « privatim » gli interessi dei soli cittadini francesi, senza assumere alcuna veste ufficiale, e che informasse minutamente il console su tutto ciò che accadeva nell’arcipelago.
Il Viceré, messo al corrente della cosa, invitò il Guys a fornirgli delle spiegazioni: avendo saputo che il governo francese era stato informato di tutto e che presto sarebbero state intavolate trattative a Torino per il riconoscimento del vice consolato delle Isole Intermedie, dichiarò recisamente che avrebbe negato l’exequatur alla nomina dell’Alfonsi e che, se fosse stato interpellato dal suo governo, avrebbe dato un parere sfavorevole all’apertura del nuovo ufficio ( ). L’atteggiamento del Viceré era evidentemente malaccorto, perché l’istituzione di un vice consolato alla Maddalena avrebbe implicitamente comportato il riconoscimento da parte francese della sovranità sarda su tutto l’arcipelago. Da parte sua il barone di Choiseul, richiesto del suo parere, informò il Vergennes delle difficoltà che si frapponevano all’attuazione della proposta del Guys e del pericolo di vedere definitivamente compromesse le rivendicazioni sulla Maddalena. Il ministro degli esteri approvò le osservazioni del suo ambasciatore e, come era sua abitudine, lasciò che la « pratica » fosse ancora una volta « accantonata ».
Introduzione di Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole
I rapporti con la Repubblica di Genova (1767-1768)
Le relazioni Franco-Sarde al momento della cessione della Corsica (1768)
Le rivendicazioni della comunità di Bonifacio (1768-1777)
L’azione diplomatica del governo francese (1778-1784)
La replica della corte di Torino (1785-1787)
Le ultime rivendicazioni dei corsi (1788-1792)
La spedizione contro le Isole Intermedie (1793)
Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole 1959