Almanacco isolanoLa Maddalena Antica

Le trame governative alle elezioni del 1874

Le frequenti consultazioni alle quali gli elettori italiani sono chiamati, e non sempre per scadenza del mandato, ma più spesso per avvenuto scioglimento delle camere a seguito di travagliate crisi di governo, pongono ogni volta, in un’epoca in cui i mass media sono nella disponibilità di alcuni gruppi politici, il problema della “par condicio”, cioè di una rigida regolamentazione in base alla quale non dovrebbe essere consentito ai partiti di governo ed a quelli che, direttamente o indirettamente, dispongono di organi di stampa e di mezzi televisivi o radiofonici di avere spazi maggiori rispetto ai gruppi politici di minoranza.

E’ certo che la maggioranza degli italiani, dopo oltre un cinquantennio di maturata democrazia, ben difficilmente può essere irretita dalla propaganda, ma ben sappiamo che chi dispone dei mass media sa farne buon uso e a coloro che hanno l’orecchio avvezzo a certi tipi di discorsi non sfuggono sicuramente delle subdole espressioni, spesso studiate da esperti psicologi, che, con precisione quasi chirurgica, riescono far giungere dei messaggi politici anche nella presentazione di una canzonetta.

Ma vi è da sperare che ormai gli elettori, dopo il crollo della partitocrazia, siano in grado di ben districarsi in questa ragnatela di ingannevoli messaggi e che si rechino alle urne con grande coscienza e responsabilità e soprattutto in piena libertà e senza cedere a pressioni di sorta.
Non era certamente così nel passato, anche in quello recente della nostra democrazia, quando il voto veniva imposto dai potenti, gestito dai padroni e manovrato dai padrini delle cosche più o meno mafiose.

A rivelarci una delle tante trame ordite nel passato per convincere gli elettori a votare per i partiti di governo e a confermarci quanto scrive Pirandello ne “I vecchi e i giovani”, è una lettera del sottoprefetto di Tempio del 17 ottobre 1874 diretta nientedimeno che al giudice mandamentale di La Maddalena, cioè a un magistrato, perché sostenesse con il suo autorevole intervento l’ormai traballante partito di destra che dal 1859 aveva governato l’Italia.

Erano i primi decenni dell’Italia unitaria, nata dal Risorgimento; la destra, che vantava certamente uomini autorevoli per capacità e preparazione, mirava tuttavia a porre un’ipoteca sul potere cercando in tutti i modi di tener lontani gli uomini del partito d’azione che pur avendo largamente versato il loro sangue nelle lotte risorgimentali sembrava che non dessero sufficienti garanzie di competenza e di lealismo monarchico. Sono ben note le battaglie politiche di Garibaldi nei primi cinque lustri di governo della nuova Italia; anni in cui l’Eroe, al quale, erano state fatte tante promesse, vide invece disattese tutte le sue aspettative e traditi gli uomini che gli erano stati fedeli e che con lui erano scesi sui campi di battaglia e avevano lottato per l’unificazione. Il governo di destra, difatti, appariva troppo legato agli interessi della borghesia e poco favorevole al popolo oberato da odiose tasse indirette, tra cui quella famosa sul macinato che colpiva i ceti più umili della popolazione. Una politica dunque di strette economie, soprattutto ai tempi di Quintino Sella, che, anche se portò al raggiungimento del pareggio in bilancio, rese inviso il partito di destra a molti italiani.

Al momento delle elezioni, però, tutti i mezzi erano buoni e i partiti di governo, pur di mantenere il potere, non esitavano ad avvalersi capillarmente di tutti gli organismi amministrativi dello Stato e persino, come abbiano visto, della magistratura.
La lettera del sottoprefetto, ovviamente “confidenziale”, senza mezzi termini e con piglio chiaramente impositivo, così esordisce:
Sono informato che costà si portano a candidati per la prossima elezione del Deputato, il Professor Sulis, il Cav.re Albini e l’Avv.to Giò Maria Apostoli. A scanso di equivoci ci faccio conoscere che il candidato appoggiato dal governo è l’avvocato Giò Maria Solinas Apostoli.
Ciò posto mi rivolgo fiduciosamente alla S.V. interessandola a favorire con la sua influenza la candidatura governativa, la quale ha acquistato tutta la probabilità della riuscita, e tanto più mi permetto di farle tale raccomandazione poiché appartenendo la maggioranza di codesti elettori alla categoria degli antichi impiegati, Ella potrà parlare con loro, come in famiglia, e francamente esporgli i vantaggi morali e anche materiali che dovrebbero indurli ad appoggiare il Governo come hanno sempre praticato”.

E come se non bastasse, dopo aver dato il preciso incarico di convincere i maddalenini a votare per il candidato governativo, peraltro con chiara promessa di vantaggi “morali ed anche materiali”, la lettera così prosegue: “Gradirò essere informato dell’esito delle sue pratiche e le sarò altresì grato se mi indicherà approssimativamente il numero dei suffragi che al momento del riscontro, che per tratto di sua gentilezza sarà per darmi, si propone di calcolare a favore dell’Avv.to Solinas Apostoli. Gradisca i mei anticipati ringraziamenti”.

Non poteva, anche in quell’occasione, mancare l’intervento di Garibaldi, come sempre candidato di sinistra, il quale pochi giorni prima, da Caprera, aveva indirizzato agli elettori il suo messaggio di denuncia e di esortazione: “Caprera, 29 settembre 1874. Elettori, i Collegi sono convocati.
Ogni onesto cittadino, ogni padre di famiglia, ogni artigiano il quale ami i propri figli, ogni cuore che palpiti per il nostro paese, ogni associazione che non sia una setta giurata contro la libertà e la grandezza di queste zolle sacrate a tanti martiri, in questa circostanza solenne deve far tacere ogni astio, ogni interesse di parte, e concordi recarsi all’urna elettorale, a deporre il voto sopra individui, la cui vita privata e pubblica sia come la luce che vivifica questa nostra Italia.
L’Italia!…questa Italia, che le altre nazioni tanto invidiano pel suo cielo, per la fertilità delle sue terre, per l’indole svegliata dei suoi abitanti, che in pochi anni conquistarono ciò che fu la aspirazione di secoli, la sua unità; qual mai ostacolo le si oppone a renderla grande, prospera, rispettata?
La sua apatia, la sua immoralità, la sua discordia. Chi la gettò in questo baratro di sciagure? – Un detto che in pubblico Parlamento fu lanciato contro gli onesti: “che il Governo non è un principio, ma un partito”. 
Da questo corruzione dei pubblicisti, corruzione nei plebisciti, nei collegi elettorali, nella Camera, nei ministeri, nei tribunali, negl’impiegati, nell’esercito, nella marina; corruzione nelle imprese, nei contratti, nelle società, nelle banche, insomma in ogni ramo, in ogni dicastero. Fu alzata a sistema di governo; ogni anima venduta alle tirannie passate fu chiamata in vigore e spalleggiata dallo spionaggio, dalla calunnia, che sono la forza brutale dei ministri, sempre quelli che da 26 anni successivamente ci governano. Quindi imposte esuberanti, scialacquio di vendite demaniali, impoverimento delle masse e delle famiglie artigiane, sicurezza personale manomessa, arbitrio di sgherri e d’impiegati senza ombra di giustizia: ecco a che ci condusse la frase esecrata ”il governo è un partito e non un principio”. A ritornarlo principio sacro per ognuno che diede tanti martiri dovunque, bisogna spezzare questa massa di intrusi che, come le formiche negli alveari, ne deportano cera e miele, e non vi lasciano che putridume e macerie. Vorrei dirvi chi sono, chi furono e donde vengono; ma troppo dovrei intinger la penna nelle sozzure, e ciò mi ripugna. Basta vi dica: ricorrete al loro passato, se non siete più che ciechi, più che imbecilli, più che codardi, non riconfermateli nel loro seggio. Che sperate da essi? il pareggio, la difesa dello Stato, la libertà? Illusi che siete!
Si, riconfermandoli preparatevi a nuove sciagure. Il vedeste; i prodi, gl’intemerati (in quest’epoca solenne) gemono nelle prigioni come malfattori; eppure la loro fu vita di sacrifici, vita di abnegazione, vita di patimenti.
Elettori, uno sguardo a loro, alle loro famiglie, eccovi il dovere vostro”.

Chiaro il messaggio di Garibaldi che, sia pure con enfasi, pone come obiettivo politico la costruzione di uno stato basato su una libera amministrazione scevra dalle pressioni di partiti e di fazioni.

I maddalenini, in quell’occasione, malgrado le pressioni ricevute, votarono per il concittadino Albini. L’anno appresso, il 18 marzo 1876, dopo ben 16 anni di potere, cadeva la destra storica che pur aveva annunciato che il bilancio dello stato aveva raggiunto per la prima volta il pareggio. Al governo di destra succedeva un governo tutto di sinistra con a capo Agostino Depretis. I tempi stavano mutando e il Paese, allora come oggi, aveva bisogno di uomini nuovi.

E la riprova si ebbe otto mesi dopo. Nelle elezioni del novembre 1876 la sinistra ottenne, soprattutto al sud, una schiacciante maggioranza: nell’Italia settentrionale ebbe 129 deputati contro 54 della destra; nell’Italia centrale 91 contro 31; nel mezzogiorno 140 contro 4 e nelle isole 54 contro 5.

Ma le cose, anche se fu subito abolita l’odiosa tassa sul macinato, non cambiarono affatto e non cambieranno in futuro fino ai recenti tempi di “tangentopoli”. Depretis, che pensava che le divisioni tra destra e sinistra, dopo l’unificazione, non avevano ragion d’essere, usò il sistema di mostrarsi accomodante con entrambe le parti attuando quella tattica politica che passerà alla storia sotto il nome di “trasformismo”.

Ne derivarono nuovi compromessi, nuovi giochi di corridoio, nuove clientele, nuove corruttele e soprattutto una politica che fu definita della “finanza allegra”; una politica dalle ampie spese che ben presto compromise nuovamente l’equilibrio del bilancio. Gli italiani ci avevano quasi creduto: era stato compiuto uno dei primi “ribaltoni” della storia d’Italia, ma ancora una volta di si era voluto “cambiare tutto per non cambiare nulla”.

Antonio Ciotta