Licio Gelli a La Maddalena
In molti si sono posti la domanda del come Licio Gelli sia potuto divenire un potentissimo personaggio della vita italiana. Eppure il materassaio di Arezzo non ha mai ricoperto una carica formale, di quelle che danno potere politico, ne’ ha avuto un attività economica e finanziaria di rilievo in grado di consentirgli grande accumulazione di denaro.
Alla fine degli anni Settanta i potenti della politica, della finanza e del mondo militare si inchinavano di fronte al maestro venerabile, il Corriere della Sera gli riservava nell’ottobre 1980 un’intervista a piena pagina e le casseforti delle banche svizzere, a quel che si e’ poi saputo, contenevano montagne d’oro e di valuta di proprietà del nostro eroe. Era dunque un personaggio potentissimo, in grado di influenzare uomini e cose e di muovere affari importanti in ogni senso in molti settori della vita nazionale. Deteneva, con una formula che e’ diventata popolare, un grande “potere occulto”, cioè un tipo di potere non visibile e legato a responsabilità politiche ed economiche ma fondato invece sulla segretezza e l’assenza di responsabilità verso terzi. Un potere occulto alimentato da operazioni illecite e illegittime, organizzate appunto per accrescerne ed alimentarne l’influenza.
Depositario dei segreti delle trame inquinanti, confessore delle nefandezze di regime, mediatore dell’illegalità, gran ricattatore: ecco alcune delle definizioni proposte per mettere a fuoco la funzione reale del capo piduista al di là dei riti e delle coperture massoniche. Occorre allora interrogarsi sull’origine della potenza di Gelli, sia che derivasse dall’accesso a informazioni riservate e illecite e dai conseguenti ricatti nel confronti dei potenti sia che si fondasse su altre ragioni. Solo scavando nelle vicende del giovane pistoiese negli anni della guerra e del dopoguerra si rintracciano le fonti della mirabolante carriera successiva.
In quegli anni Gelli fa le prime prove, decisive per tutta la sua vita successiva, nei rapporti con i potenti del momento, con il mondo politico e si esercita all’attività di delatore e di ricattatore che sarà in seguito perfezionata e approfondita. Tra gli incontri di quella stagione, risultano cruciali quelli con il PCI e con i servizi segreti.
Nel 1937, a 18 anni, Licio Gelli era partito volontario per combattere nel campo fascista della guerra di Spagna. Rimpatriato nel 1938, aveva lavorato presso il Partito fascista della sua città natale, Pistoia, fino allo scoppio della guerra quando era stato inviato in Dalmazia sul fronte greco-macedone. Nel settembre 1943, al momento dell’armistizio aderì subito alla Repubblica Sociale svolgendo la funzione di ufficiale di collegamento fra il nuovo fascio repubblichino e la Wehrmacht. Sono i mesi dell’agonia nazifascista che preludono al successo della Resistenza e alla liberazione degli alleati. Ben presto con l’inizio dell’attività partigiana nell’autunno 1943, Gelli prende contatto con Silvano Fedi, capo del movimento anarchico libertario, e con i rappresentanti del locale Comitato di liberazione sfruttando il tramite di una sorella militante essa stessa e sposata a un elemento comunista. Offre ai partigiani la propria collaborazione e i propri servizi, iniziando il doppio gioco, in forza della posizione da lui occupata nel campo repubblichino-tedesco: fornisce informazioni ad esponenti comunisti del locale Comitato di liberazione e partecipa anche ad azioni partigiane, pur se costantemente ispirato a un’ambiguità di comportamenti. Dopo la liberazione della Toscana, nel settembre 1944 collabora a rintracciare gli elementi pericolosi e ricercati per il collaborazionismo con i nazisti e, in questa attività, gode della protezione dei partigiani e probabilmente anche delle autorità americane di occupazione.
Nell’ottobre 1944 Gelli richiede e ottiene la protezione dei comunisti del Comitato di liberazione che gli rilasciano prima un attestato e poi un lasciapassare con documenti personali che gli consentiranno di salvare la vita, di abbandonare impunemente Pistoia e di recarsi nel gennaio 1945 in Sardegna, all’isola della Maddalena con un avventuroso viaggio via Roma e Napoli. Lontano dal teatro delle sue gesta di guerra, Gelli, ricercato dalle forze dell’ordine, entra in contatto con gli apparati dei servizi di sicurezza tramite i Carabinieri della Maddalena.
Il primo attestato di benemerenze partigiane viene rilasciato a Gelli il 2 ottobre 1944 dal presidente del Comitato provinciale di Liberazione Nazionale di Pistoia, il comunista Italo Carobbi. In esso si certifica che l’ufficiale di collegamento con la Wehrmacht, “pur essendo stato al servizio dei fascisti e dei tedeschi, si e’ reso utile alla causa dei patrioti pistoiesi”, aiutando materialmente alcune formazioni tra cui quella di Silvano Fedi (ucciso dai tedeschi in un’imboscata) e partecipando alla liberazione di prigionieri politici. “In considerazione di quanto sopra”, conclude l’attestato, “questo comitato autorizza Gelli Licio a circolare senza che possa in qualche modo essere disturbato”. Forte di tale accreditamento, Gelli nei mesi successivi può lasciare Pistoia dove era oggetto di rappresaglie, sempre protetto dai comunisti del luogo. Il 12 gennaio 1945 è ancora Carobbi a rilasciargli un lasciapassare per raggiungere la Sardegna ed e’ l’apparato del Pci a fornirgli una scorta di due partigiani armati (Nello Lucchesi e tale “Alcide”, con l’accompagnamento di Bruno Tesi, esponente di rilievo del Pci pistoiese) che lo conduce in salvo a Roma.
La vita di Gelli doveva essere divenuta preziosa e la sua difesa importante se ancora il 4 febbraio 1945 l’organo del CLN di Pistoia, La Voce del Popolo, pubblicava un articolo per spiegare e ulteriormente accreditare di fronte ai partigiani la posizione dell’ex repubblichino. Tutta l’operazione di salvataggio fu assunta dal Pci, in quel momento forza egemone in Pistoia, tanto che altri esponenti del Comitato di liberazione poco ne sapevano e tanto meno acconsentivano. Gerardo Bianchi della Dc dichiara che “nessuno ci informò mai” e Vincenzo Nardi del Partito d’azione aggiunse che “se qualcuno avesse fatto una proposta del genere si sarebbero scatenati i dissensi più duri”. Il primo importante giro di valzer con cambiamento di fronte, Gelli lo compie dunque tra il 1943 e il 1945 trasformandosi da repubblichino a collaboratore dei partigiani nonché protetto dal Pci a cui probabilmente doveva la salvezza della vita. Il giovane pistoiese doveva certamente aver reso dei servizi importanti per ricevere in cambio gli attestati e l’aiuto del CLN in quei giorni percorsi dagli odi, dalle violenze e dalle lotte più ardue. Il secondo giro di valzer Gelli lo compie alla Maddalena dove, nel settembre 1945, viene arrestato per reati commessi da collaborazionista. Su propria iniziativa, al primo interrogatorio dei Carabinieri che lo tengono in custodia, Gelli fornisce una dettagliata lista di 56 collaborazionisti della Repubblica Sociale e dei nazisti dettagliando per ognuno fatti e atteggiamenti.
Gelli cioè si propone come collaboratore dei servizi segreti, in quel momento in fase di riordinamento, facendo il delatore di persone che erano state suoi amici o compagni di partito e di fede con la rivelazione di circostanze anche gravi (“torturatore”… “confidente dei nazisti”… “spia”…) che avrebbero potuto portare pesanti conseguenze a carico dei denunciati in considerazione del clima del tempo. Si apre così, per Gelli, un rapporto con i servizi segreti – rapporto che forse aveva già dei precedenti ma che passa attraverso una tappa decisiva – basato sulla delazione di gravi notizie di cui rimane traccia scritta, ma non memoria pubblica, negli archivi delle polizie e dei vari organi di sicurezza dello Stato.
Il 29 settembre 1950 il centro controspionaggio di Pistoia invia al Sifar centrale un’informativa in risposta a una richiesta di notizie su tale “Gelli sospetto agente del Kominform”. Nel dossier, classificato come “fascicolo n. 15743 Com. In. Form” Gelli e’ descritto come un personaggio “capace di compiere qualunque azione” che ha iniziato la collaborazione con il PCI nel 1944 e che svolge attività di spionaggio in favore dei paesi dell’Est. Il fascicolo fa riferimento all’elenco dei collaborazionisti denunciati alla Maddalena e conclude con un giudizio su Gelli “pericolosissimo sia per la zona strategica nella quale opera e di cui lui e’ praticamente praticissimo, sia per l’azione informativa che espleta e per cui può fare moltissimo”.
Molto si e’ discusso a varie riprese sul significato di quel fascicolo e sulle implicazioni che esso comportava. L’ipotesi di Gelli agente comunista e dei Paesi dell’Est formulata nel 1950 e riguardante gli anni precedenti sembra essere contraddetta dall’atteggiamento degli stessi servizi segreti che avrebbero lasciato un agente così pericoloso operare per tanti anni. E’ vero che l’ex repubblichino poteva essersi guadagnato l’impunita’ collaborando al tempo stesso con il PCI e con i servizi segreti che erano stati agganciati alla Maddalena e che negli anni successivi gli avevano garantito una serie di facilitazioni di movimento, ma rimangono lo stesso inquietanti contraddizioni non risolte.
Un’altra ipotesi più complessa può essere che Gelli avesse contemporaneamente effettuato più giochi su più fronti nel campo della delazione e dei bassi servizi, prima trescando con repubblichini e comunisti, poi con comunisti e servizi segreti italiani, con la consapevolezza di questi ultimi che poteva far loro comodo lasciare agire il Gelli al fine di acquisire informazioni e comunque legare a sé con il ricatto un personaggio definito pericoloso e disponibile a qualsiasi avventura. Un’ulteriore ipotesi che non contraddice le precedenti e’ che in quegli anni nasce quel “mercante dell’informazione” che lavora innanzitutto in proprio e quindi e’ in grado di operare su più fronti vendendo la propria merce a tutti i possibili richiedenti. I rapporti certi con i servizi segreti italiani, quelli ipotizzati con i servizi dell’Est non si escludono necessariamente a vicenda. Certo e’ che ancora nei primi anni Cinquanta Gelli manteneva ottimi rapporti con i comunisti tant’è che il futuro senatore del Pci e sindaco di Pistoia, Giuseppe Corsini, gli scriveva il 29 gennaio 1952 in termini molto cordiali e amichevoli (“ti saluto con tutta cordialità”) per sollecitare l’evasione di una pratica data l’influenza del vecchio compagno pistoiese a Roma. Quale che fosse la verità ultima di quel tempo, certo e’ che sia i rapporti con i servizi segreti e la conoscenza da parte di Gelli di quel che i servizi conoscevano di lui, sia il suo rapporto con il Pci, hanno costituito nei decenni successivi dei punti molto vulnerabili dell’attività del futuro capo della P2.
Gelli non ha voluto mai riconoscere ne’ il rapporto con i servizi segreti ne’ quello con il PCI: anzi ha costantemente operato perché quei nodi rimanessero nascosti. Ancora nel suo memoriale n. 2 preparato nel giugno 1984 Gelli afferma che “in merito alle illazioni riguardanti la mia presunta collaborazione col Sid, ometto ogni commento diretto: e’ palese che si tratta di pure insinuazioni”; e ancora più decisa e’ la smentita della collaborazione con il Pci, pure risultante nei documenti, almeno per quello che riguarda il 1944-1945. “Io non sono mai stato in contatto con ipotetici servizi segreti dell’Est (Kominform.) contrariamente a quanto sostenuto… La più grave accusa rivoltami dalla Commissione [parlamentare] consiste tuttavia nell’asserire che ero legato al PCI fin dal 1944: le mie scelte ideologiche sono e sono sempre state decisamente in contrasto con la filosofia marxista-leninista”.
L’immagine che Gelli tende a dare con costanza di sé èquella di un uomo d’ordine anticomunista. E ciò che gli serve per i suoi giochi di potere, anche se ben sa che giocare la carta di riserva della vecchia collaborazione con il PCI può servirgli al momento opportuno. Quando nel 1976 un Gelli, già divenuto capo potente della più esclusiva loggia massonica, viene chiamato in causa per le implicazioni nei vari tentativi golpisti e quindi in relazione ai sequestri compiuti dalla banda dei marsigliesi a Roma, non si fa scrupolo di ricordare ai comunisti i suoi antichi meriti e trascorsi.