Mussolini e il documento falso
Il giallo di un documento falso e gli irrisolti enigmi storici del mancato arrivo nell’Isola del Re e della sua flotta.
Prima di lasciare l’Isola per il Gran Sasso (destinazione a lui ancora sconosciuta), Mussolini volle rivolgere il suo pensiero al dottor Chirico, col cui nome chiuse il suo diario, alla donna che gli aveva lavato i panni ed era stata complice dei suoi contatti clandestini, e alla custode di Villa Webber: “Alla vigilia di lasciare La Maddalena per ignota destinazione – scrisse – il mio pensiero va con riconoscenza a tre modeste persone che hanno reso meno pesante la mia prigionia: il dottor Chirico, la brava Maria e la buona Marianna”. Non fece cenno a don Capula, al quale, però, avrebbe indirizzato un biglietto, usando stavolta l’inchiostro e non la solita matita con la quale scriveva i suoi messaggi ad Aldo Chirico e alla Pedoli. “Reverendo, il mio cuore esprime profondo ringraziamento per le visite fattemi durante questa mia lunga prigionia. Voi avete risvegliato in me la fede in Dio in un momento di disperazione e di solitudine. Non so se verrete ancora a farmi visita ma, vi chiedo come ultima cosa di pregare per me, per i miei peccati e per il popolo italiano. Vi ripeto ancora il mio grazie di cuore”
Ma il biglietto di Mussolini non giunse mai a don Capula. Il documento, pervenuto dopo oltre cinquant’anni nelle mani di un collezionista locale è apparso per la prima volta nel gennaio del 1999 sulle pagine di un settimanale con un titolo da scoop, è stato recisamente ritenuto un falso incautamente pubblicato senza che prima ne fosse stata accertata l’autenticità. All’atto della sua pubblicazione don Capula, che poco tempo prima, riferendosi al precipitoso trasferimento di Mussolini aveva detto “….lo hanno fatto partire senza dargli il tempo di salutarmi”, saltò su tutte le furie; incaricò alcune persone di comprargli tutte le copie arrivate a La Maddalena e il settimanale, che pochi ebbero l’occasione di vedere, scomparve dalle edicole. Quando molti maddalenini lo cercarono altrove esso era sparito anche da tutte le edicole della Gallura, ma per un altro motivo: sullo stesso numero c’era un servizio sulla morte di Fabrizio De Andrè. “E’ un falso! – disse don Capula a Giancarlo Tusceri che raccolse a caldo le sue reazioni – il Duce non mi si è mai mostrato sotto questa luce. Non mi avrebbe mai chiamato “Reverendo”. Io e lui ci trattavamo confidenzialmente, ma senza titoli. “Reverendo” è un titolo onorifico, Mussolini non mi avrebbe mai chiamato così. E poi quella virgola che grida vendetta e quell’inchiostro. Il duce i suoi biglietti li scriveva furtivamente a matita quando era solo e si cambiava la biancheria intima. Dove avrebbe mai trovato l’inchiostro in quei momenti? Se i giornalisti facessero i giornalisti e gli storici sapessero scrivere la storia, i preti, forse, potrebbero fare più serenamente il loro lavoro. Questo è un falso è basta!”.
Durissima dunque la reazione dell’anziano parroco alla comparsa di quel documento e immediata la denuncia della sua falsità ripresa dal periodico locale “Il Corriere delle Bocche” con un servizio dal titolo “Un falso clamoroso: vi spieghiamo perché possediamo le prove….” . Ma scorrendo il testo del servizio di Giancarlo Tusceri e dell’intervento di Francesco Pusoli gli unici elementi che comproverebbero la falsità del documento sarebbero l’uso dell’inchiostro e una virgola posta dopo un “ma”, segno evidente di “….voluta poca abilità del falsario” (La virgola dopo un “ma” – scrive Pusoli – è un errore che Mussolini non avrebbe mai commesso, in qualità di maestro elementare e di abile giornalista, comunque di persona dotta).
Se questi fossero stati i soli elementi bastevoli per etichettare di apocrificità la lettera di Mussolini, ci paiono ben poca cosa; scorrendo gli scritti del Duce degli ultimi anni, in particolare lo sconclusionato discorso sull’odio verso il nemico tenuto pochi mesi prima in Parlamento e gli stessi diari “pontini e sardi” da lui vergati durante la prigionia, è facile rilevare ben altri strafalcioni (altro che virgola dopo un “ma”: basterebbe la famosa formula scritta di suo pugno, “Mussolini à sempre ragione”). E se è vero che Mussolini scrisse a matita tutti i suoi segreti messaggi diretti ad Aldo Chirico e pur vero che ben potuto, al momento della partenza, chiedere carta e penna per scrivere quel biglietto che nulla aveva di clandestino. Sarebbe stato questo un atto doveroso che nessuno gli avrebbe negato, anche se quel biglietto, con la frase “Non so se verrete ancora a farmi visita”, apparirebbe scritto in un momento in cui la partenza del Duce non era stata ancora annunciata.
La falsità è stata comunque accertata da ben altri elementi quali la carta e l’inchiostro. Si è trattato di uno scherzo di pessimo gusto che ha provocato il comprensibile disappunto di don Capula il quale, essendo stato per oltre mezzo secolo unico depositario dei segreti sentimenti del Duce nell’Isola, nel vedere quel “Reverendo”, che gli è apparso subito dissonante, ha immediatamente manifestato la sua indignazione. Indignazione, oltretutto, accentuata dal fatto che nel titolo di quel servizio egli, ignaro di quella lettera, viene fatto parlare in prima persona: il sacerdote che a La Maddalena, nei giorni bui del ’43 confessò il Duce, dopo 55 anni rompe il silenzio e affida a “Oggi” un documento inedito – Mussolini mi scrisse: Grazie per avermi ricondotto a Dio. Cosa si dissero Mussolini e don Capula nei loro colloqui, quali riflessioni fece il Duce, quali confidenze e forse quali verità storiche affido nel segreto della confessione al modesto parroco isolano non lo sapremo mai. Il vecchi patriarca, scomparso il 23 luglio del 2000, il giorno successivo alla festa di Santa Maria Maddalena, che egli aveva officiato per oltre sessant’anni, ha portato nella tomba i suoi segreti, anche quelli che Mussolini non gli ha affidato nella confessione. Più volte aveva fatto sapere che prima di morire avrebbe distrutto il suo archivio personale. “Ciò che mi ha confidato Mussolini – aveva dichiarato a un giornalista – non appartiene alla storia. Appartiene solo a me e a lui, anche se è morto. Non posso tradire chi mi ha aperto il suo animo e il suo cuore”. E ancora, il 10 novembre 1998, quando nel salone comunale il Sindaco Mario Birardi gli consegnò una medaglia ricordo per la sua lunga attività di parroco, con il tono ieratico e sibillino che lo ha sempre distinto, aveva detto: “Gli uomini sono grandi, ma quando si trovano in determinate situazioni riacquistano dimensioni che non sono quelle abituali. Ebbi diversi colloqui con Mussolini. Parlai, …. mi parlò. Mi guardava coi grandi occhi. Eravamo vicini vicini. Ci siamo detti tante cose, ….Dio lo sa e voi pensatelo. Non lo ascolterete certo da me”. Quel poco che si conosce di ciò che si dissero fra le spoglie mura di Villa Webber è contenuto nel diario dello stesso Mussolini, il quale più tardi, in una delle sue ultime lettere dirette alla sorella Edvige, scriverà: “In un’isola avevo cominciato, dopo quarant’anni il mio avvicinamento alla religione. Se ne occupava un parroco di ottima fama: poi sono partito e la sua fatica veniva interrotta”. Degli incontri con don Capula non avremo dunque saputo nulla se nel dicembre del 1949 non fosse stato ritrovato il diario del Duce che era custodito in Austria nell’Abbazia di Kreismunster.
Ma perché Mussolini dalla ben sicura sede carceraria di Ponza era stato portato in una base militare di prima linea più volte bombardata come quella di La Maddalena ove, oltretutto erano presenti un grosso contingente di milizie fasciste e un consistente presidio tedesco?
Sappiamo che proprio in quei giorni, dopo lo sbarco degli angloamericani in Sicilia e l’ormai imminente capitolazione, erano state intraprese precise trattative secondo le quali, come concordato dal consigliere diplomatico Lanza d’Aieta con l’ambasciatore inglese a Lisbona il 4 agosto, sarebbe dovuta giungere nell’Arcipelago la flotta italiana e che unitamente alla flotta sarebbe dovuto arrivare il Re, con al seguito il Governo, il Principe Ereditario, la famiglia reale e il corpo diplomatico. Precedenti contatti, intrapresi dall’ammiraglio Aimone, duca d’Aosta, condotti a Ginevra dal console Alessandri Marieni, avevano concretato un’intesa secondo la quale “….un principe di casa Savoia doveva costituire in Sardegna un governo libero, che avviasse immediatamente la collaborazione militare con le truppe di stanza nell’Isola”. La proposta, ribadita dal generale Castellano nelle ultime trattative di Termini Imerese era stata poi confermata a Cassabile. Ma gli accordi, non si è mai saputo perché, non andarono in porto. All’ultimo momento il generale Castellano, in risposta al promemoria del Comando Generale che rinnovava la richiesta di trasferimento delle navi a La Maddalena “….considerando che vi è la possibilità che la flotta si rifiuti all’ordine di dirigersi ai porti avversari”, aveva telegrafato “….est impossibile da parte Comando alleato aderire desiderata circa flotta perché opinione pubblica anglo-americana non accetterebbe nessun compromesso che possa anche opportunamente diminuire la totalità dell’accettazione delle condizioni”.
Forse Mussolini era stato portato a La Maddalena proprio in previsione del contemporaneo arrivo degli anglo-americani, del Re e della flotta per essere consegnato agli alleati e poi portato via quando, arenatesi le trattative, apparve inevitabile, al momento dell’annuncio dell’armistizio, favorire l’evacuazione dei tedeschi dall’isola ed il loro passaggio in Corsica con la conseguente concentrazione delle truppe al nord per varcare le Bocche di Bonifacio. Lo stesso Mussolini, sia pure con un pizzico di ironia, aveva attribuito quella nuova destinazione ad un suggerimento dell’Intelligence Service. “….Era destino – avrebbe detto – che venissi trasportato su una nave francese e rinchiuso e vigilato nella casa di un inglese”. A comandare la piazzaforte, c’era poi l’ammiraglio Bruno Brivonesi (con un cognato nella RAF) che aveva subito un processo per la perdita di un convoglio nelle acque di Sicilia.
“Sposato ad un inglese!”, aveva commentato il Duce guardandolo di sbieco e rifiutandogli il saluto, quando lo aveva scorto sul moletto di Padule al momento del suo sbarco a La Maddalena; e aggiunse: “L’incontro non poteva essere e non fu molto cordiale”.
Che Mussolini dovesse essere consegnato agli alleati, e che la cosa era stata concordata prima dell’armistizio, fu poi rivelato dallo stesso Churchill quando nel discorso tenuto alla Camera dei Comuni il 22 settembre 1943 dovette raccontare un sacco di frottole per giustificare la fuga del Duce da Campo Imperatore. In quella occasione il grande statista inglese disse: “Non era soltanto prevista in modo speciale la consegna in un secondo tempo dei criminali di guerra, ma era stata stipulata una clausola speciale per la consegna del signor Mussolini. Non è stato però possibile disporre per la consegna separata prima dell’armistizio e prima che avvenisse il nostro grande sbarco perché ciò avrebbe certamente rivelato le intenzioni del Governo italiano ala nemico, il quale si inframmetteva in ogni cosa e lo teneva perfettamente in suo potere”. Mussolini era comunque consapevole delle intenzioni del Governo di consegnarlo a quelli che saranno poi gli alleati. Commentando il discorso di Churchill, difatti, nel suo libretto “Il tempo del bastone e della carota”, scriverà in terza persona: “Il discorso di Churchill del 22 settembre prova che già verso l’ultima decade dei agosto erano state fissate a Lisbona le clausole della resa a discrezione, almeno le principali. Fra esse ve n’era una che contemplava la consegna di Mussolini al nemico. Ciò non ha precedenti nella storia umana!”. E ancora, al Gran Sasso, quando la notizia, sia pur smentita da Londra, fu annunciata da Radio Algeri, scrisse: “Egli era deciso a non consegnarsi “vivo” agli Inglesi e soprattutto agli Americani”.
I grandi enigmi storici di quei giorni, che forse don Capula ben conosceva, sono però ancora da sciogliere; ed i misteri rimarranno tali fino a quando non sarà possibile, come auspica Salvatore Sanna nel suo saggio: “La Maddalena 1943 – La piazzaforte di latta”, attingere ad archivi ancora oggi inaccessibili. L’arrivo del Re, della Corte e del Governo a La Maddalena, con al seguito la flotta, avrebbe creato favorevoli condizioni per il libero esercizio dei compiti istituzionali e avrebbe forse mutato il corso della storia e salvato l’istituzione monarchica. Nell’isola si sarebbero rivissuti, con precisa cadenza, i giorni dell’esilio dei reali piemontesi in Sardegna del 1799; anche noi avremmo avuto la nostra Norimberga e la riconquistata libertà non avrebbe esordito con quell’indecoroso spettacolo di Piazzale Loreto che nessuno ci ha mai perdonato.
La fuga da Roma verso Brindisi e le defezioni dei vertici militari crearono invece solo caos. Il precipitoso trasferimento di Mussolini, attuato non tanto per prevenire il blitz di Scorzeny, del quale era arrivato chiaro sentore che poteva essere certamente sventato, fa invece palesemente pensare ad un mutamento dei piani del quale la Marina fu tenuta all’oscuro. La flotta, infatti, fu fatta partire da La Spezia alla volta della Maddalena dove l’Ammiraglio Carlo Bergamini, che aveva minacciato l’autoaffondamento delle navi qualora gli fosse stata imposta la loro consegna, era sicuro di trovare il Re e il Governo. A La Maddalena, invece, egli avrebbe ricevuto dall’Ammiraglio Brivonesi, chiamato a Roma all’ultimo momento, l’ordine di rimettersi in navigazione e di consegnare le navi nei porti designati dagli Alleati. Il successivo concentramento ne nord Sardegna delle truppe tedesche dopo l’8 settembre, voluto dal Generale Basso e favorito a La Maddalena dall’Ammiraglio Brivonesi, fece in ogni caso venir meno i presupposti perché il Re e la flotta giungessero nell’Isola. L’occupazione della base isolana, il mutamento di rotta delle navi e l’attacco portato dai bombardieri tedeschi alla flotta in navigazione con l’affondamento della corazzata Roma e dei caccia Da Noli e Vivaldi, non ci hanno consentito di conoscere, quali sarebbero state le reazioni e le decisioni di Bergamini al suo arrivo a La Maddalena. Ma condizione essenziale perché il Re e la flotta arrivassero a La Maddalena era quella di tenere i tedeschi lontani dalla base isolana tanto più che in quel momento le nostre forze di terra stanziate in Sardegna, unite a quelle della Marina e della flotta in arrivo, erano superiori a quelle germaniche.
La Sardegna avrebbe offerto le condizioni ideali per un’azione di governo a piena sovranità, a differenza di quanto fu possibile a Brindisi. Grande e grave fu, quindi, la responsabilità di Basso che accettò la richiesta dei tedeschi di evacuare pacificamente l’Isola quando ancora era in programma il trasferimento a La Maddalena del Re e del Governo,e l’acquiescenza di comodo di Brivonesi. Questa decisione partecipò a rendere impossibile l’attuazione del progetto e a determinare una situazione di confusa emergenza in cui improvvisazione, incapacità e quant’altro trasformarono la sconfitta in una vera e propria disfatta nel giudizio degli italiani.