Il naufragio del Giulio B.
Nella notte tra il 10 e l’11 Gennaio del 1940, il motoveliero Giulio B., salpato dal porto di Trapani e diretto a Genova, con un carico di trecentocinquanta tonnellate di sale, fece naufragio al largo dell’isola delle Bisce, a sud-est di Caprera.
“Il tempo era tranquillo, anche se si prevedeva vento e mare da greco- levante, per questo il comandante decise di tirare verso le isole Ponziane, per prendere il ridosso della penisola sino al porto del capoluogo ligure- racconta oggi il Capitano Superiore di lungo corso Zeffiro Rossi, segretario dipartimentale dell’Unione Nazionale Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione- Ma nei pressi dell’ Isola di Ponza, quando erano ormai vicini al ridosso, furono sorpresi dalla tempesta e non vi fu altro scampo che volgere la prora verso la Sardegna. La notte e il giorno successivo, era il 10 gennaio, li trascorsero sbattuti dal mare, tra vento gelido, grandine e neve. Gli uomini cercarono rifugio nel Golfo Aranci, ma le tenebre e la foschia portarono il bastimento ad infrangersi sull’isola delle Bisce, vicino a Capo Ferro”.
Dei nove uomini di equipaggio, uno solo riuscì a salvarsi. Si chiamava Francesco Bertacca, ed era il figlio del comandante della nave, Carlo Bertacca.
Francesco restò aggrappato ad uno scoglio per tre giorni e per tre notti. Suo padre e suo fratello Glauco, secondo motorista, non furono altrettanto fortunati.
Dopo qualche giorno, le tre salme che si riuscirono a ricuperare in mare, furono trasportate a Viareggio a bordo del motopeschereccio “Misocche” partito da Piombino, il cui armatore si era offerto per la dolorosa missione di riportare al paese natio i corpi, sino a quel momento ritrovati, delle vittime del Giulio B.
Il 18 gennaio, il quotidiano di Firenze “La Nazione” riportò la notizia della sciagura.
“Particolare impressionante- fu scritto nella nota di cronaca- è quello che i cadaveri del valoroso comandante, Carlo Bertacca di Viareggio, e del suo motorista, Alfredo Donnamaria, sono stati ritrovati dopo cinque giorni da quello del naufragio ad un chilometro all’interno delle montagne deserte e sassose della costa sarda, tra Capo Ferro e l’insenatura della Maddalena”. Insieme a loro vi era anche il marinaio Leone Mallegni.
Questo particolare autorizzò molte ipotesi negli ambienti marittimi, circa la sorte toccata agli sfortunati marinai toscani che provenivano da Viareggio, da Lucca, da Forte dei Marmi e da Pietrasanta.
Secondo la più verosimile l’equipaggio, che, come sempre, durante le forti tempeste si era raccolto a poppa attorno alla cabina del timone, era stato scaraventato in mare nelle profonde oscurità della notte- erano circa le 22, 10- in seguito all’urto del bastimento contro lo scoglio delle Bisce. “Ognuno deve avere seguito il proprio destino”- chiosò l’anonimo autore dell’articolo.
Questo avrebbe spiegato anche come il secondo motorista Francesco Bertacca si fosse trovato sull’isola delle Bisce “ senza sapere neppur lui come vi fosse capitato, come, degli altri uomini dell’equipaggio, il marinaio Mallegni fosse stato trovato morto, dopo quaranta ore, sulla spiaggia di Liscia di Vacca, e come il comandante e il primo motorista avessero potuto raggiungere la costa, trasportati dalle correnti.
Si leggeva ancora su la Nazione: “ Trovatisi chissà come, sbattuti ancora vivi nella costa, alla distanza di circa un miglio dal luogo del naufragio, il capitano Bertacca Carlo e il Donnamaria, debbono avere intrapreso un’affannosa ricerca dei compagni lungo la costa rocciosa, sperando pure di trovare qualche casolare, o qualche posto di guardia per invocare soccorsi. Finché stanchi e provati dalla fame e dalla lotta estenuante prima con la tempesta in mare e quindi col freddo, fradici com’ erano, debbono essere caduti sfiniti. Il secondo motorista Bertacca, raccolto in pietose condizioni, svenuto e semiassiderato… dal piroscafo ‘Gallura’ nelle prime ore del pomeriggio di venerdì 12 e trasportato all’ospedale di Maddalena si è per fortuna rapidamente rimesso… “.
Il giovane guidò le ricerche dei compagni dispersi e fu lui stesso a recarsi in località “Porcuddu” per portare via la salma del padre e a telegrafare alla madre per comunicare dell’avvenuto ritrovamento.
Fu infelice il destino di Giovanni Lippi di Lucca, esperto navigante, che non riuscì a trovare pace neppure dopo morto. La sua salma fu ritrovata da alcuni pescatori che veleggiavano sottocosta. Era conficcata nell’incavo di una roccia. La scoperta avvenne a due mesi di distanza dall’affondamento del Giulio B. ( così fu scritto ne Il Telegrafo di Livorno del 14 Marzo 1940).
Circa un mese prima erano state trovate le spoglie mortali di Cesare Baldieri, sulla spiaggia di Liscia di Vacca.
I due sventurati naufraghi, sempre stando alle cronache dell’epoca, furono seppelliti uno accanto all’altro nel campo comune del nuovo cimitero della Maddalena.
Nell’ isola madre dell’arcipelago si svolsero i funerali, a quali parteciparono diversi marinai versiliesi che vi risiedevano. Il riconoscimento della salma del Lippi fu fatto dalla moglie Antonietta Simi, alla quale erano stati inviati alcuni brandelli dei vestiti che indossava il marito quando fu ritrovato e che lei stessa aveva confezionato. Il padre, Amedeo Lippi, si recò in Sardegna e si assunse il pietoso incarico del riconoscimento ufficiale del cadavere di suo figlio. Partecipò ai funerali, ma, stranamente, non si occupò del trasferimento della bara a Lucca.
Forse, le vicende della guerra avevano reso difficile anche l’espletamento delle pratiche necessarie per il trasporto di un cadavere.
Fatto curioso. Se sono esistiti, sin da subito, dei riscontri per Baldieri, non è stato possibile rinvenire, per più di cinquanta anni, alcuna traccia dell’inumazione di Lippi nei registri del Comune, del Tribunale e del Cimitero.
Non vi è stato nessun atto di morte. Nel camposanto isolano, accanto alla tomba di Cesare Baldieri, vi è stata quella di uno sconosciuto.
Si era pensato, in un primo momento, che quei poveri resti, potevano appartenere davvero a Giovanni Lippi. Ma, ogni dubbio è stato fugato quando il padre e il cugino di un marinaio in forza alla base della Maddalena, caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno fatto il riconoscimento del cadavere del loro caro.
I resti del Baldieri sono stati riesumati dal cimitero isolano e inumati in quello di Viareggio nell’ottobre del 2006. Il nipote Mariano, dopo avere trovato il nome del nonno in un elenco dei morti del mare, esposto dall’Associazione Medaglie d’oro nella chiesa di Sant’ Andrea a Viareggio, e dopo avere svolto accurate ricerche sui quotidiani dell’epoca, ha richiesto ed ottenuto il trasferimento della cassetta contenente i resti nel camposanto della propria città d’origine.
Il Giulio B. era una nave da carico militarizzata. Quindi, gli atti conseguenti al naufragio furono redatti, con ogni probabilità, da una commissione militare costituita nel circondario marittimo a cui apparteneva il bastimento affondato.
La dolorosa vicenda di questo veliero, a distanza di molti anni, conserva quell’alone di mistero che l’aveva avvolta dal giorno in cui ebbe inizio.
Soltanto nel maggio del 2007, la figlia di Giovanni Lippi, Giovanna, che aveva soltanto quattro anni all’epoca della tragedia, è riuscita a vincere la sua personale battaglia.
Grazie all’ impegno del custode del cimitero Vincenzo del Giudice, che è anche un apprezzato cultore di storia isolana, le spoglie Lippi, quel che rimaneva nel campo comune, sono state individuate.
Finalmente, nella città natale del naufrago, nella chiesa di San Matteo a Nave, a distanza di mezzo secolo e oltre, un sacerdote ha potuto impartire la benedizione ai resti mortali dello sfortunato marinaio toscano. Attraverso la prova del DNA è stato possibile riconoscerli e, in questo modo, Giovanni Lippi ha potuto avere una cristiana sepoltura nel cimitero di Lucca e sua figlia una tomba su cui potere piangere il padre morto.
Salvatore Abate