Querelle della Maddalena, il set mancato di Fassbinder
Chissà cosa avrebbero pensato nei settori conservatori della Maddalena, una città per certi versi codina. Chissà con quali argomentazioni prudenti e complicate gli isolani avrebbero giustificato il lasciapassare al trasgressore Rainer Fassbinder, che aveva scelto questi posti per cantare il suo elogio all’omosessualità. Ci sono volute la retrospettiva sul regista tedesco, organizzata a Napoli nel gennaio del 1996, e la biografia “Die 13 dess R. W. Fassbinder”, scritta dall’amico e collaboratore Peter Berling, per sapere che La Maddalena doveva fungere da naturale scenario per il film “Querelle de Brest”, dirompente e spietato affresco di un mondo fatto di continue violazioni.
Nell’ inverno 1981-82, Fassbinder compì dei sopralluoghi nell’arcipelago. Lo considerava “il parco della flotta bellica italiana”. Nulla a che vedere con i territori da salvare o con le protezioni naturalistiche. Quello che interessava al cineasta erano le dimensioni degli attributi virili, lo scambio ideale terra- mare con i ragazzi che vestivano la divisa, ed erano in molti a fare parte del canovaccio della vita militare. Erano stati ottenuti tutti i permessi, ma poi non se ne fece niente. La Maddalena non meritava “Querelle”. Nonostante il porto, il fondale perfetto per battere il primo ciak, nessun isoano l’avrebbe perdonata a Fassbinder.
Sarebbe stato un grave colpo per una comunità adusa al torpore, cullata dalle onde del suo mare, spinta dal soffio del vento teso. Accettare la provocazione e poi, magari, trovarsi additata per l’eccessivo permissivismo: arte e avanguardia, mai! La piccola isola del Nord Sardegna non era preparata a tanto clamore. “Querelle de Brest” è un romanzo sull’ omosessualità praticata fra marinai e il suo autore è il grande Jean Genet. L’idea di trasformarlo in un film, da principio, fu di Werner Schroeter , l’amico rivale di Fassbinder: era stato lui a stringere i rapporti negli ambienti giusti in Sardegna, a disegnare i contorni della scena e a prendere i contatti con i responsabili, italiani ed americani, della piazzaforte militare.
E, dice Berling, il biografo ufficiale di Fassbinder, era molto divertente assistere al “casting”, che non fu fatto alla Maddalena, nonostante tutto il materiale umano a completa disposizione, ma a Berlino. Una fila interminabile di ragazzi aitanti e belli, aspiranti attori, ai quali Schoeder chiedeva con insistenza che si slacciassero i pantaloni e che mostrassero il loro sesso, per ritrarlo con una Polaroid. Il “casting”: non il fisico o la faccia da cinema, ma la superdote virile. “Poi è successo che un altro degli amanti di Fassbinder, un marocchino, si è impiccato a Tolone, in prigione – scrive Berling nel suo libro – Werner disse a Rainer: ecco un altro morto sulla tua strada. Fassbinder era alle prese con Berlin Alexanderplatz e ha cacciato dal cast Schroeter e Magdalena Montezuma, sostituendoli con altri attori. Ma la vendetta non era ancora completa. Andò dai produttori di Querelle e disse: faccio io quel film, se volete”. E loro dissero: va bene. La Maddalena fu sfiorata dal successo, dietro ai capricci di due primedonne.
La città si sarebbe coperta di scandalo. Il giudizio avrebbe potuto sancire la fine di un mito, quello della piccola Parigi, gioiello della Gallura, sinonimo di eleganza e di moralità. Il cinema, qui, poteva significare al limite “Squarciò” e l’incompiutezza della “Lunga strada azzurra”, con l’estro di Franco Solinas, figlio di questa terra.
Certo, non l’intreccio di corpi maschili, la nudità volgare e la scabrosità dell’adescamento nei bassifondi di un porto, che è sinonimo di interscambio razziale, sociale, morale e ideologico.
Pensate Fassbinder, o Schroeter, che preparano “Querelle”. Il protagonista va “con il culo nudo” come il marinaio o no?
Terra di uomini che mangiano il mare più tempestoso del mondo, La Maddalena., gente temprata, i maddalenini, pronti a scardinare consolidati luoghi comuni. Però, di prestare la scena a un film dirompente come “Querelle de Brest”, non se ne sarebbe nemmeno parlato e la cosa avrebbe significato il rischio di andare incontro alla gogna, non la liberazione definitiva dai residui di tabù, di falso moralismo che ne limitavano le scelte. Fassbinder avrebbe permesso di entrare di prepotenza nel realismo, di superare l’immagine sdolcinata dell’arcipelago più bello del mondo.
“Querelle” fu un occasione perduta. Fassbinder, il dissacratore, non fece in tempo a girarne altri, di films, perché di lì a poco – eravamo nel1982 – morì.
Salvatore Abate