Ricordo isolano
Quell’angusto fazzoletto di terra fazzoletto di terra era conteso tra Gian Maria Volonté e un suo amico maddalenino, Giacomo Del Bene, un eccentrico marinaio conosciuto negli ambienti del porto.
Sotto il ginepro,nell’immenso prato verde,vicino al sacrario dei Caduti, volevano essere sepolti entrambi, a conclusione delle loro movimentate esistenze. Era difficile dirimere la simpatica controversia. Alla fine l’artista milanese stabilì: ”Si assicurerà quel posto chi giungerà per primo”. Era toccata a lui la sorte di arrivare per primo,senza volerlo,in un’assolata mattina di dicembre:il clima era mite,nella sua isola favorita,l’ideale per mollare gli ormeggi,issare le vele e bordeggiare tra i canali dell’arcipelago, raggiungere Porto della Madonna, tra Santa Maria, Budelli e Razzoli, fare una puntata al Centro Velico di Caprera, dove era sbocciato il suo amore per la Sardegna. Gian Maria Volonté, invece, era ritornato a La Maddalena definitivamente, per riposare nel piccolo cimitero isolano. La morte lo aveva colto lontano dalla terra che aveva scelto per trascorrere una lunga stagione della sua vita ma la sua compagna, Angelica Ippolito, la figlia Giovanna che, scoperto il piccolo mondo delle isole non lo aveva più abbandonato, gli amici,avevano voluto che questo amore non fosse stato interrotto bruscamente neanche da una causa così imponderabile.
Il ricordo più nitido che era restato ai maddalenini del protagonista di tanti film di denuncia e di impegno risaliva al Gennaio del 1989. Nell’Aula Consiliare del Comune dovevano essere premiati i vincitori di un concorso di poesia dialettale. L’ospite illustre aveva declamato i versi di una poesia di Giuseppe Ungaretti. Una performance che aveva conquistato la platea. Quell’attore scapigliato, privo di aplomb, anticonformista, aveva un carisma straordinario. Tra Gian Maria e La Maddalena era stato amore a prima vista, sin dal giorno in cui, nei primi anni Settanta, era avvenuta la scoperta dell’isola, con l’aiuto dei vecchi lupi di mare del porticciolo di Cala Gavetta. Per Volonté, la curiosità,la voglia di saperne di più di un luogo bellissimo ,il desiderio di accumulare esperienze prima e di trovare la pace mentre attraversava un momento drammatico della sua esistenza, erano le componenti di un affetto non superficiale per le isole delle Bocche, per i loro sapori, per la loro gente. Affetto che si era trasformato presto in passione travolgente. Volonté aveva avuto i primi approcci con l’arcipelago, destinato a diventare il suo rifugio, nell’estate del 1974, ospite del Centro Velico di Caprera. Allievo al primo livello, aveva raggiunto nel ’76 il grado di istruttore ,dopo aver partecipato a una rigorosissima selezione. Vi era rimasto al CVC fino al 1980.
Quando si era avvicinato alla vela era dotato di buone capacità nautiche. Gli ex- compagni lo ricordavano come un uomo affabile, sensibile ma dal carattere difficile. A volte si mostrava ombroso e introverso,a volte estremamente gioviale. Come istruttore era severissimo. Il rapporto con il CVC si era interrotto d’improvviso: era sopraggiunta la malattia. Volonté aveva iniziato a combattere: non era andato via e aveva cercato rifugio fra gli scogli di La Maddalena. Aveva acquistato una barca a vela di dodici metri,che aveva chiamato “Arzachena”, l’aveva ormeggiata a Cala Gavetta e l’aveva fatta diventare la sua casa. La costa, che in quel momento aveva voluto tenere lontana,era quella rappresentata dal mondo del cinema. Dopo poco tempo, si era deciso ad acquistare una casa , di calce e mattoni, un appartamento in parziale degrado nel centro storico.
Erano gli anni in cui il Premio per la migliore sceneggiatura inedita, intitolato alla memoria di Franco Solinas e la presenza di Gian Maria Volonté, facevano della Maddalena il ritrovo privilegiato di personaggi di rango del cinema d’autore italiano e internazionale: Carla Gravina, Gillo Pontecorvo, Costa Gavras, Leo Benvenuti, Suso Cecchi D’Amico, Ugo Pirro, Felice Laudario e tantissimi altri.
Tutti amici del “maddalenino” Gian Maria che, in Municipio aveva sposato la regista Armenia Balducci. Il matrimonio era destinato a durare poco ma la stagione sarda non era terminata completamente. Nella seconda metà degli anni Ottanta, Volonté aveva ripreso a recitare e aveva conosciuto un nuovo splendore sul set de “Il caso Moro”, il film di Giuseppe Ferrara nel quale aveva interpretato il ruolo dello statista ucciso dalle Brigate Rosse.
Le sue visite nell’isola erano divenute sempre più rare ma le amicizie le aveva conservate ben strette. Quando viveva a La Maddalena si era fatto costruire il gozzo Arzachena. Era morto da solo senza la sua compagna, i suoi figli, i suoi amici, in Grecia.
Soffriva di nostalgia. Avrebbe voluto rientrare, calarsi nuovamente nella sua microrealtà paesana. Ed era ritornato. Per sempre. Le spalle rivolte verso Santa Maria, il viso verso Caprera: la bara calata nella fossa comune, disposta come Gian Maria aveva desiderato, era diventata una barca, la sua barca tirata a secco su una spiaggia al riparo dai venti. Angelica aveva gettato il primo pugno di terra nera per ricoprirla. Aveva preteso che l’ultimo saluto al suo compagno fosse stato celebrato alla stregua di una festa, a mezzogiorno,nella piazza principale di Velletri, la cittadina laziale dove avevano vissuto insieme per anni, con la lettura di “pieces” teatrali e con le note di “O sole mio” ma adesso si era commossa al punto da lasciare cadere una propria fotografia sul feretro, insieme a una minuscola riproduzione di una barca a vela, l’altra passione di Gian Maria. Aveva diviso il suo dolore con Giovanna,con Francesca Solinas, figlia di Franco, lo sceneggiatore maddalenino, compagno di avventura di Volonté in “Quien sabe” di Damiano Damiani e “Il sospetto” di Citto Maselli e con una decina di amici. Non c’era una croce sulla tomba: il più ideologizzato degli attori italiani era ateo e forse non avrebbe tollerato neanche i fiori inviati da Alessandro Haber, Ennio Fantastichini e Gabriele Ferzetti, colleghi di lavoro e di impegno civile e politico. Volonté durante la vita aveva compiuto scelte difficili ma coerenti: la politica, il mare, la barca che gli aveva consentito di rompere ogni legame con il mondo per intere giornate o per settimane, il rifugio maddalenino, una prima volta per combattere contro un tumore ai polmoni, costatogli anni di abbattimento e di assenza dal cinema.
I suoi amici avevano voluto impreziosire la tomba con una lapide. Sopra vi era scolpito un verso di Paul Valery: “ Le vent se leve, il faut tenter de vivre” (il vento si alza,bisogna tentare di vivere). Era il verso che Volonté aveva fatto stampare sulla randa dell’Arzachena, la barca a vela su cui visse a La Maddalena negli anni Settanta del secolo in cui si era consumata la sua vita, durante la convalescenza, dove ospitò il leader di Autonomia Operaia, Oreste Scalzone, prima di aiutarlo a espatriare in Corsica.
“Volonté vive” ancora, con il vento lungo che soffia sull’arcipelago delle Bocche di Bonifacio.
di Tore Abate
Gian Maria, un istruttore volontario di Caprera, che volle giacere per sempre sotto un albero del cimitero de La Maddalena. Nanni Coluccini (istruttore volontario di Caprera) lo ricorda così: “era IS/CB di Caprera e amava navigare con la sua barca! Gran Marinaio ! Ho avuto il piacere di essere il suo CT in un paio di corsi . Lo ponevamo in imbarazzo quando a lezione insegnavamo agli allievi che a bordo comanda uno solo, il comandante e non c’è democrazia ! A chi, al tavolo, non lo aveva riconosciuto e gli chiedeva che lavoro facesse, rispondeva declinando i ruoli che aveva interpretato : poliziotto, politico, operaio, amante, ecc. finché l’ interlocutore ……… capiva!”