Risparmiare a tutti i costi
La gestione di Gallone fu lunga e abbastanza monotona, con le solite spese per la cera, l’olio, il salario dell’organista e del sacrestano, le corde per le campane e piccole riparazioni. La lettura dei libri contabili ci dà conto anche dell’accurato controllo del Vescovo e del suo intervento su questioni solo apparentemente banali come il consumo di cera e olio, e su altre fondamentali come un paventato prestito a usura. Siamo nel 1802: il fabbriciere aveva prestato, non sappiamo quando, dei soldi al Consiglio Comunitativo, ma nei libri contabili non aveva registrato la cosa: aveva segnato solo l’entrata di lire 7,10 quale “interesse di denari prestati al Consiglio“. Al Vescovo la cosa non era sfuggita e scriveva di non poter “passar sotto silenzio un simile abuso, ed avvertiva al detto amministratore che non ardisca mai più di fare simili imprestiti a veruno senza permesso e in caso di farlo con detto permesso di non prendere interesse veruno per essere usura manifesta“) perciò chiedeva la restituzione immediata delle somme indebite, a meno che queste non fossero pervenute a titolo di volontaria offerta. Al controllo dell’anno successivo il Vescovo non trovava traccia di spiegazione e ne chiedeva ancora conto. Solo allora Gallone aggiunse sopra le parole “interesse di denari prestati al Consiglio“, la frase “li sopra espressi lire sette e soldi dieci che esprime per interessi di denari prestati al Consiglio, il detto Consiglio le dà per elemosina e non per interesse” ripetendo formalmente quanto il Vescovo aveva chiesto: se poi quei soldi erano davvero frutto di una elemosina o l’interesse per un prestito non lo sapremo mai.
Inoltre il prelato osservava che la spesa per le candele non era abbastanza giustificata e consigliava moderazione: in effetti questa voce assorbiva gran parte delle entrate e dalla curia venivano continui richiami e consigli di creare una congregazione per il Santissimo Sacramento (come si usava nella capitale) in grado di garantire almeno la spesa delle candele per l’adorazione delle quarant’ore oppure una questua particolare il giovedì santo, fino a che, nel 1825 il Vicario generale capitolare, Antonio Biancareddu, che conosceva bene la realtà maddalenina per essere stato per nove anni parroco all’isola, aveva posto dei termini precisi “nell’eccessiva spesa della cera praticatasi nel passato, restringendosi al numero di sole dodici candele nelle feste solenni e di diciotto quando vi sarà l’esposizione del Santissimo e questa riduzione dovrà farsi atteso il modico reddito che viene di percevere annualmente la prefata chiesa non essendo sufficiente alle precise ed ordinarie spese”. Ci si potrebbe chiedere quale fosse la visibilità per i fedeli: se nella primitiva chiesa di dimensioni ridotte dodici candele potevano garantire un minimo di luminosità, nell’edificio ampliato dopo il 1814 quelle stesse candele illuminavano soltanto un piccolissimo spazio lasciando tutto il resto in una completa e poco rassicurante oscurità.
Una delle spese fisse annue era il trasporto dell’olio santo da Castelsardo a Tempio e da Tempio alla Maddalena che incideva per 9 lire, spesa incrementata negli anni in cui, non sappiamo per quale motivo, bisognava andare a prendere l’olio santo a Ozieri.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma