Rosamaria Pusateri e i marinai morti
Il primo di gennaio del 1942, l’isola fu colpita da un fatto successo che coinvolse nel dolore l’intera isola. Se Rosa, subito dopo aver mangiato, non fosse andata a giocare con una sua amica, o vi si fosse recata più tardi, o… pur avviandosi, si fosse fermata con lei alcuni minuti di più, oggi, sicuramente, sarebbe un’anziana signora, forse moglie di un ufficiale di Marina, nonna. Rosa fu una di quelle tante ragazzine che negli anni, al seguito del padre militare, hanno potuto per qualche tempo vivere a La Maddalena.
Un destino crudele volle, però, che proprio in quel momento Rosa si trovasse nel luogo più sbagliato, e che in quel mitigato pomeriggio d’inverno lei di certo non sapendo e nemmeno immaginando che c’era la morte, lì che l’aspettava, quando si è così giovani è veramente strano solo poter pensare che un fato così crudele, possa….
La famiglia Pusateri, padre, madre e quattro figli, era arrivata a La Maddalena nel 1939. Il padre era vice comandante di Maribase, il C.F. Vincenzo Pusateri, siciliano di Palermo, che quindici anni prima aveva sposato una giovane ragazza di Tempio, Caterina Alasia de Quesada. La loro casa era quella bella e ridente villa umbertina di lungomare Mirabello. Rosa era la secondogenita della famiglia, di due anni più piccola del fratello Cesare.
I due ragazzi, nel 1940-41 avevano completato gli studi elementari all’Istituto San Vincenzo. Il giorno di capodanno del ‘42, avvenne fulmineo, inatteso e crudele, il disastro di Rosa. La famiglia, riunita pel rientro di Cesare da Tempio per le vacanze natalizie. Mentre il padre andava a riposare, Rosa, dodicenne, chiese alla madre il permesso di recarsi in bicicletta da una sua amica e compagna di scuola. Dalla compagna, Rosa restò una mezz’ora. Terminata la visita, montò sulla sua bicicletta, appena ricevuta in regalo per Natale incamminandosi per la via di casa. Da lontano, vide la sua casa ed il fratello Cesare che, stando affacciato sul bancone della finestra della sua cameretta, giocava con delle macchinine.
Giunta al cancello di legno d’ingresso della villa, Rosa bloccò la bicicletta e con la mano destra alzò la maniglia per aprirlo. Fu in quell’istante, in quel tremendo istante, che percepì un inatteso, rintronante fragore, un fischio sinistro, e sentì il suo giovane corpo di giovinetta comprimersi e stritolarsi sulla bicicletta e sul cancello di casa. Per Rosa fu, il nero abbraccio della fredda morte, mentre ancora si udiva il frastuono sinistro dell’esplosione ed il rumore di una pesante massa metallica che rimbalzando più volte nella campagna adiacente.
Era successo che la caldaia di una delle pirobarche ancorate davanti all’ingresso di Maribase, per un guasto o per incoscienza, fosse esplosa. Nell’esplosione un blocco metallico, lungo quasi quattro metri, dopo aver investito i cinque marinai d’equipaggio e quattro di guardia che erano in servizio nella banchina, era volata per circa duecento metri, spezzandosi sul fragile corpo di Rosa uccidendola; poi aveva continuato la sua corsa per una cinquantina di metri, sradicando un piccolo fabbricato della Marina destinato ad inceneritore e ferendo in modo grave un altro marinaio, poi ancora era ruzzolato più avanti, fino a bloccarsi all’interno di un orto di fico d’india (dove oggi c’è l’Asilo Nido di Due Strade). Il dilaniato corpo di Rosa fu ricomposto. Le esequie furono celebrate nella chiesetta dell’Istituto San Vincenzo, dal cappellano militare e dal parroco don Capula.
Una commovente ed sconvolta folla di bambini, partecipò al funerale che si avviava verso un rimorchiatore che l’avrebbe accompagnato la morticina a Palau, per continuare poi per Tempio, dove Rosa fu seppellita nella tomba di famiglia. Nel cippo del cancello rimasto in piedi, molto tempo dopo venne posta una targa di bronzo recante il nome “Rosa Maria”, targa che tuttora ricorda la sua tragica fine, e quella sua breve esistenza. In quello stesso giorno e per lo stesso incidente morirono (Registro dei Morti della Parrocchia Militare anno 1942, che allora si teneva presso l’Ospedale Militare, ora negli atti della parrocchia Medaglia Miracolosa.) con lei: Corrado Pistono, che avrebbe compiuto 21 anni il giorno dopo, Silvio Pisano, Ugo Pisu, Armando Marcias, Nicola Tristano, Antonio Spanu, Aldo Zuddas, tutti deceduti in seguito allo scoppio della caldaia della pirobarca (Trattasi della pirobarca P/D. 114 come si evince dal Fg. Del Ministero della Difesa marina prot. CNZ. 10.366 in data 25 febbraio 1955).
Gli atti di morte, nel Registro, furono firmati dal cappellano don Simone Perrinu. Tutti e sette i giovani militari vennero inumati nel Cimitero di La Maddalena. La sciagura, dovuta all’esplosione di una caldaia, nella quale furono stroncate otto giovani vite, suscitò enorme effetto in tutta la cittadina. E fu nefasto indizio di più drammatici avvenimenti che di lì a pochi mesi si verificarono all’Isola con i bombardamenti aerei.