U ziminu
Parzialmente tratto dal libro “Cucina isolana. Un arcipelago di sapori mediterranei” a cura di Giovanna Sotgiu e Antonio Frau – Paolo Sorba Editore – La Maddalena
E’ un brodo di pesce: semplice a dirsi e sarebbe anche semplice a farsi se non fosse che…
Il piatto nasce come piatto povero, fatto con il pesce di scarto. Si basa su un soffritto a fuoco molto dolce l’olio, cipolla e pomodoro maturo fresco, che devono quasi disfarsi in poltiglia. A questo si aggiunge l’acqua, il sale, una punta di peperoncino e il pesce: ma quale pesce? Nella ricetta più povera si trattava di pesce piccolo, di scarto, o anche solo di teste e, in epoca di estrema povertà, anche una macciotta (pietra presa dal fondo del mare) che del mare manteneva almeno il sapore. Quando la pesca era favorevole e, non esistendo ancora il frigorifero, non si potevano conservare a lungo gli alimenti freschi, pesci come sciarrani (sciarrai e parchette) e donzelle (minchie di re) venivano privati delle teste, fritti e poi conservati con l’agliata in modo che potessero consumarsi anche uno o due giorni dopo. E le teste costituivano il forte dello ziminu, cotte a lungo, e poi schiacciate. In questa ricetta povera non rientrava il vino, e i pomodori erano solo quelli freschi in estate e la passata conservata per l’inverno, non i pelati che sono entrati gloriosamente nella cucina solo di recente. U ziminu si mangiava col pane, fresco o raffermo secondo le possibilità economiche e i gusti, che garantiva il giusto apporto di sostanze nutritive e toglieva la fame. Oggi si usano i crostini, abbrustoliti prima d portare il brodo a tavola, sui quali si sfrega leggermente l’aglio: qualcuno mete i crostini sul fondo del piatto e li ricopre col brodo; meglio immergerli uno ad uno per pochi secondi e mangiarli insaporiti col brodo ma ancora croccanti.
Ai giorni nostri c’è chi dice, sono i puristi, che lo ziminu si fa con i caponi, tutt’al più con gli scorfani, senza aggiungere altri pesci e con la cipolla, guai a usare l’aglio!
Chi invece, afferma che più pesci si mettono e meglio è, e che l’aglio dà più sapore: e allora la ricetta diventa più complicata.
Ricetta
Oggi, i pesci che in genere si usano per un buon ziminu da mangiare con amici e parenti in una serata estiva, sono gli scorfani, il pesce prete, il capone, un trancio di dentice o di orata, la tracina e vari pescetti di scoglio che insaporiscono in modo particolare il sugo, le seppiette, i moscardini e possibilmente i faoni (favollo).
Occorre un tegame capiente in larghezza e possibilmente di coccio. Mettere sul fuoco con abbondante olio aromatizzato al peperoncino, aggiungere due o tre spicchi d’aglio, far imbiondire quindi toglierlo; iniziar con il pesce: le seppiette saranno le prime, poi i moscardini, qualche granchietto; lasciar insaporire bene. Tutti gli altri pesci, dal più grande al più piccolo, vanno fatti rosolare da ambo le parti uno o due per volta, quindi tolti e sistemati in una sperlunga fino ad esaurimento. Ridurre il fuoco al minimo, rimettere delicatamente tutti i pesci rosolati nel tegame, sfumare con un buon vino bianco secco, aggiungere i pomodori spellati e senza semi, del prezzemolo e coprire con acqua calda, salare e lasciar cuocere finché il liquido diventa un sugo ristretto che i vecchi chiamavano “a bagna”.
Un piatto derivato dallo ziminu è la minestrina di pesce, che qualcuno chiama affugagatti (affoga gatti), fatta con il brodo di pesci piccoli che, dopo la cottura, si passano con il passaverdure: nel brodo denso così ottenuto si fa scuocere la minestrina di semola piccolina (semolino), quella che localmente si chiama scuccus. Lo scuccus è un pasta anch’essa di semola di grano duro e con una notevole resistenza alla cottura: ha la forma di piccoli cilindri di circa 4 mm con una dimensione a metà tra il cus cus e la fregola sarda. La sua storia è molto interessante e la rende testimone di una cultura lontana: lo scuccuzzu si diffuse nel Tirreno soprattutto grazie ai corallatori, pescatori di corallo genovesi (precisamente Pegliesi) che risiedevano nell’isola di Tabarca, davanti a Tunisi. Il percorso di questo tipo di pasta segue il peregrinare dei pescatori di corallo, da Tabarca verso la Sardegna, poi da qui verso la Spagna e infine verso la patria di origine, la Liguria.
Vedi anche: U Ziminu, la storia
“Cucina isolana. Un arcipelago di sapori mediterranei” – Paolo Sorba Editore – La Maddalena