F14 e la triste storia di due giovani maddalenini
E’ una giornata ventosa ma calda quella del 6 agosto del 1928, Carlo Cenni e Giuseppe Doero sono due “ragazzotti” maddalenini, hanno rispettivamente 21 e 20 anni, il secondo è monetino. Frequentano entrambi un corso professionale presso la Scuola per Motoristi Navali di Pola. In alternanza alle “noiose” lezioni teoriche sono previste uscite in mare pratiche ed il sommergibile F14 (Foto 1) è una di delle unità preposte a svolgere tale compito. Per i due giovanissimi marinai maddalenini è finalmente arrivata l’occasione professionale che attendevano, prenderanno infatti parte ad una importante esercitazione militare; il loro nominativo figura tra quelli prescelti per l’imbarco sul sommergibile.
Lo scenario è il tratto di mare antistante la città di Pola, in Istria; Comandante dell’F14 è il capitano di corvetta Isidoro Wiel (Foto 2). Nell’alba di quel 6 agosto il sommergibile molla gli ormeggi dalle banchine di Pola, il comandante, in piedi sulla torretta, impartisce gli ordini dall’alto e lentamente il battello prende il largo. Dovrà ricongiungersi con le altre forze navali, per dare inizio all’esercitazione. Nel locale macchine, tra il fragore ritmico dei motori diesel e l’odore della nafta, ci sono i due ventenni maddalenini!
Siamo appena nelle prime fasi dell’esercitazione, la squadriglia di cacciatorpediniere, ha già subito un attacco simulato dall’F15 e si dirige in fila indiana verso il punto dove il secondo sommergibile, appunto l’F14, dovrà a sua volta procedere ad un attacco simulato. Alle ore 8,40 da bordo del primo cacciatorpediniere della fila, si segnala: “Sommergibile a dritta”, il secondo caccia che naviga subito dietro, il Missori (Foto 3), allerta le vedette sul lato di dritta, nel tentativo di avvistare il sommergibile attaccante, ma su quel lato non vi è alcun battello, il periscopio viene invece avvistato confuso nella scia della nave che precede. Ad una distanza di soli 160 metri! Il comandante del Missori, intuendo una situazione di pericolo, ordina il timone a dritta e le macchine indietro a tutta forza.
Nonostante la brusca inversione di marcia e l’accostata, il caccia investe con la sua alta prora il sommergibile, quasi perpendicolarmente a due terzi della sua lunghezza. Il battello è dapprima scosso dalla violenza dell’urto e dopo avere sbandato paurosamente a sinistra, innalza la prora ferito e quindi scompare quasi verticalmente verso il fondo del mare che si richiude su di esso.
Gli altri cacciatorpediniere subito mettono in mare le proprie imbarcazioni di soccorso, e viene allestita una lancia con un palombaro, mentre le autorità di Pola e Venezia vengono informate dell’accaduto ed allertate affinché inviino sul posto della tragedia il grosso pontone attrezzato per il sollevamento di sommergibili che si trova ormeggiato nelle banchine di Pola. Trascorreranno però, e inspiegabilmente, molte ore, prima che si possa completarne l’allestimento, troppo tempo.
L’F14 si è posato sul fondo a circa 40-50 metri di profondità, in posizione inclinata, i generatori elettrici sono andati distrutti nell’urto e, a parte i 4 uomini che si trovavano nei locali squarciati dallo speronamento (foto 4), il resto dell’equipaggio è sopravvissuto e si trova riunito nei locali di prora, avvolto dal buio impenetrabile, ma in buone condizioni.
Solo circa due ore dopo si scopre che dall’F14 si continuava a chiedere: “Perché non rispondete?”. Purtroppo, affinché una tragedia si compia devono convergere più fattori, ed accade allora che, pur essendo in piena stagione estiva, le condizioni meteo volgano rapidamente al brutto, l’intensità del vento aumenta, il mare ingrossa in maniera tale da creare seri problemi anche ai soccorritori.
La corsa contro il tempo si fa più serrata, verso le 18,00 dall’interno dell’F14 l’ultima drammatica richiesta di aiuto: “Vi prego, fate presto qui si muore!”. A Pola, intanto, continuano le operazioni per allestire il pontone da 240 tonnellate, avrebbe dovuto sollevare dal fondo il sommergibile, ma vanno così per le lunghe che riuscirà a lasciare gli ormeggi solo alle 19,45! Nella successiva inchiesta, i responsabili di questo ritardo imputeranno la colpa alle difficoltà dell’allestimento ed agli ostacoli causati dalle condizioni avverse del mare…
In quegli stesi istanti il sommergibile F15 riesce ad ormeggiare una lancia munita di palombaro, sull’esatto punto dell’affondamento e rapidamente si procede con le operazioni che dovranno fornire aria all’interno del battello danneggiato, tramite manichette innescate dai palombari nelle apposite valvole di soccorso presenti sullo scafo. Il rifornimento d’aria ha inizio alle 20,22. Questo pompaggio nel locale dove si trova raccolto l’equipaggio, purtroppo otterrà il solo risultato di accelerarne la morte, infatti, senza una valvola di sfogo, aumentando la pressione interna del locale si aumentava la pericolosità della anidride carbonica che diventava letale.
Subito dopo l’immissione dell’aria i segnali vitali provenienti dall’interno dello scafo infatti iniziano ad essere deboli e confusi. All’una di notte, a ridare un poco di speranza ai soccorritori arriva finalmente il pontone da Pola, ma a quel punto le possibilità di salvezza sono seriamente pregiudicate.
A questo punto si decide di interrompere per la notte e riprendere le operazioni di soccorso alle prime luci dell’alba. Alle 6 del mattino la bufera è cessata, il mare è calmo come olio e le operazioni si svolgono in un’atmosfera irreale e quasi rassegnata. Un palombaro si immerge sul sommergibile e prova a chiamare, con colpi di martello contro lo scafo. Purtroppo, dall’interno, non si ha nessuna risposta.
Tirato su dal pontone, l’F14 riaffiorerà completamente, con lo scafo illuminato dalla luce del sole estivo, alle 18,00, ma è oramai un sarcofago. I portelloni vengono aperti e mestamente si procede al triste recupero dei cadaveri, tra questi anche quelli dei giovani allievi motoristi (Foto 5). L’intera nazione è sconvolta da questa sciagura ed ai caduti vengono riservati solenni funerali di stato. Le salme vengono provvisoriamente seppellite nel cimitero degli eroi di Pola, saranno successivamente destinate alle località di origine dei caduti.
Tra le mani del comandante Wiel, viene ritrovato un taccuino, su di esso, il comandante ha appuntato qualcosa con grafia tremolante: “Mamma, povera mamma… sii forte come le mamme degli eroi …. Attendiamo fiduciosi” ed infine, quando comprende che niente li salverà: “Siamo sereni… Patria, onore e famiglia…”, Sarà questo l’ultimo messaggio.
I due giovani marinai maddalenini Carlo Cenni e Giuseppe Doero vennero rinvenuti abbracciati uno all’altro…
Eccoli, ancora insieme, sono sepolti uno di fianco all’altro nel sacrario militare del nostro cimitero
Gaetano Nieddu