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Festa dei morti alla Trìnita nel 1880

Ogni anno fin dalle 2 o le 3 del mattino, tutti i giovani del paese, grandi e piccoli, erano in marcia per la Trìnita. Era tradizione e, non si sa per quale ragione, che si dovesse effettuare quella festa proprio il giorno dei morti (2 novembre). Lo scopo di partire così presto al mattino era quello di giungere prima di ogni altro al Castello per occuparvi il posto migliore, sopra una grotta, dove si doveva trascorrere tutta la giornata e sulla quale issarvi per primi la bandiera costituita da un fazzoletto di colore su un’asta di ferula.

Le comitive che man mano giungevano sul posto, erano accolte da coloro che già vi erano arrivati, con grida di scherno e con suoni striduli di foglie secche e di cipolle selvatiche.

I preparativi per quel giorno venivano fatti molto prima, ed in quello indicato, attrezzati di tutto punto, partivano con zucche piene di vino del paese e zucchettine di acquavite a tracolla a sinistra ed a destra delle spalle, con un fagotto formato da un fazzoletto di bordato di colore, pieno di ogni ben di Dio: fichi secchi, mustacciòli, fucacci e melicutògni.

Al collo ognuno potava una corona di mele e castagne. Tutta questa roba veniva raccolta il giorno innanzi, perchè si andava per le case a chiedere “l’anima dei morti” e tutta la popolazione concorreva di buon grado, come un’antica usanza.

Appena fatto giorno, si faceva la prima colazione, poi visita alle diverse “sapre” per vedere chi era la più bella. Fino a mezzogiorno si giocava a soldi, a carolina con le mandorle, alle biglie, ecc., quindi si mangiava quello che era avanzato, certamente ben poco, perchè il fagotto era stato in precedenza aperto parecchie volte.

Dopo mezzogiorno si ricominciava i giochi fino all’imbrunire, ora in cui si ritornava a casa fra le gioiose risate provocate da qualche piccola sbornia. Allora non esisteva ancora il nuovo cimitero nella località attuale e quindi lo svago non offendeva i nostri morti che colà ora dormono in pace.

Edoardo Chirri e Luigi Piras

Estratto dal libro “Le prose e le poesie” di Luigi Piras – Paolo Sorba editore