Francesco Millelire di Agostino
Francesco di Agostino, nato a La Maddalena nel 1804. Militare anche lui, come i fratelli, percorse la sua carriera nel 17° reggimento di Fanteria, e dopo il 1850, nel corpo dei Bersaglieri. Partecipò alle campagne del 1848 e del 1849 e fu decorato con la medaglia d’argento per essersi distinto nella battaglia di Novara del 23 marzo 1849. Altre notizie dicono che fu comandante dell’avviso Authion e che avrebbe raggiunto, nella Marina Militare, il grado di capitano di vascello di prima classe. A Genova, dove si era stabilito sposò una ragazza molto più giovane di lui, Clotilde Parodi nata nel 1832. Non ebbe, però, una vita fortunata. Infatti, nel 1853, fu sfidato a duello dal capitano Giovanni Carlo Casanova per motivi che non conosciamo. Ebbe la meglio, ma il duello finì in tragedia con la morte di Casanova e la condanna ad un anno di prigione per Millelire da parte del Consiglio di Guerra di Torino. Forse in considerazione che lo sfidante lo aveva provocato a torto, senza giusta causa, il Re, dopo appena cinque giorni aveva commutato la pena in due mesi di carcere da scontare nella Cittadella di Torino. Evidentemente la cosa non ebbe conseguenze sulla sua carriera perché, uscito di prigione, fu promosso maggiore nel IV Reggimento di Fanteria. A distanza di un anno, il 13 agosto del 1855, morì di colera lasciando una giovane vedova di 23 anni.
La sua famiglia scomparve con Punico figlio celibe che, nel 1887, si uccise sparandosi un colpo alla testa.
Questo sfortunato giovane merita qualche nota. Sappiamo che nacque nel 1855 e che fu battezzato dallo zio Antonio “in assenza del padre” che, forse, era già morto. Il suo nome riprendeva quello del nonno paterno, Agostino, quello del padrino, Antonio, e un terzo, Alberto. Ma lui si faceva chiamare Agostino Bruto per qualche ragione che ci sfugge, ma che è probabilmente legata alle sue idee politiche e sociali. Le notizie che lo riguardano le apprendiamo dai giornali di Novi Ligure, di Genova e di Piacenza del 19‐20 maggio del 1887 e, in particolare, da La Raccolta di Novi, di cui egli era direttore e proprietario. Aveva già diretto altre testate come II Popolo, La Maffia rossa di Genova, La verità di Porto Maurizio e anche, seppur per breve tempo, Epoca. Così lo descrivono i giornali: “Sceso da nobile lignaggio che aveva dato alla patria una schiera di valorosi i cui nomi sono segnalati nei fasti della marineria sarda e italiana, per impulso di cuore e per giovanili entusiasmi, s’era dato alla causa popolare e nella lotta quotidiana ardito campione della democrazia militante, incurante di sé, rassegnato a tutto, sacrificò posizione e brillante carriera, affrontò impavido più volte il terreno (si ricordava, fra l’altro, un duello nel 1879 finito con la morte del contendente, Andrea Gibelli) a salvaguardia dell’intemerato nome che portava, sofferse carcere ed esilio…. Scrittore, polemista, poeta… la lotta fu per lui elemento di vita… Gli operai trovano sempre in lui valido appoggio, a tutti è nota la questione delle filatrici, vuole l’istruzione e l’educazione del povero, istituisce il sodalizio educativoSi ricordavano le sue “brillantissime campagne sbandando la camorra novese e mettendo al silenzio gli uomini che avevano tentato o tentavano di spadroneggiare la cosa pubblica servendosi di questo mezzo per imporre le personali loro mireʺ.
C’è qualcosa di strano nel duello di cui fu protagonista nel 1879, del quale non conosciamo le ragioni se non che fu affrontato per salvaguardare l’“intemerato nome che portava”; anche l’affermazione di un altro giornale che ʺun caso funesto lo slanciò nel vortice del giornalismo e della politicaʺ ci lascia perplessi così come l’affermazione del Progresso di Piacenza: ʺaveva più di una volta affrontato impavido l’avversa sorte e aveva avuto l’ineffabile orgoglio di vincerlaʺ; e altri giornali ricordavano il ʺdiffìcile ed arido cammino che a gran tratti percorreva la sua giovinezza”, e “ ben poche gioie serene egli aveva trovato… oppresso dalle disillusioni e dalle noie della vitaʺ. Sono tutte indicazioni di disagio esistenziale delle quali ci sfuggono la portata e la natura, a meno che non siano legate alle vicende che avevano spinto suo padre ad accettare la sfida a duello, ma non possiamo azzardare ipotesi. Certo è che egli avrebbe potuto, sempre secondo i commenti dell’epoca, “vivere tranquillo fra gli agi di un parente dovizioso”, probabilmente lo zio Giovanni Battista che, come abbiamo visto, non aveva eredi diretti.
Ciò che sappiamo per certo è che il 17 maggio del 1887 si uccise. Era domenica; alle 6 del pomeriggio molta gente era in piazza a Novi Ligure ad ascoltare un concerto bandistico: c’era anche Millelire, che appariva ai conoscenti pallido in volto, forse un po’ svagato. Mentre risuonavano le note del penultimo pezzo musicale in programma, si sentì una detonazione.
Millelire era riverso su una panchina; vicino a lui, sotto il cappello, una lettera con le sue volontà, i suoi ʺdesideri postumi”: “ prima di morire saluta i suoi cari, in particolare la vecchia madre, richiama alla mente la memoria del padre valoroso, vuole che la medaglia guadagnata dal genitore sul campo della gloria, sia seppellita con lui, esempio ai figli del soldato, di amore alle virtù paterneʺ. I giornali si interrogarono sulle motivazioni del tragico gesto azzardando una ipotesi: “Pare che una passione amorosa senza speranza lo abbia tratto alfatale divisamentoʺ ma “parlasi anche di dissesti finanziari”.
Giovanna – Co.Ri.S.Ma