Fuorilegge
Il libro pubblicato da Giovanni Francesco Ricci, dal significativo titolo “Banditi”, ripercorre le vicende legate ai fuorilegge galluresi nel periodo sabaudo del Regno di Sardegna, fino al 1848. Nei lunghi e circostanziati elenchi di misfatti e di malfattori non figurano personaggi di La Maddalena, ad eccezione di un contrabbandiere, Battista Zicavo, e di un facinoroso ben conosciuto per altri versi, Giuseppe Bertoleoni.
La Maddalena appare così un paese tranquillo e rispettoso delle leggi, anche se, nella realtà sfuggita a Ricci, numerosi e importanti sono stati gli episodi di contrabbando riconosciuti e forse altrettanto gravi quelli attribuiti, pur senza prove certe, ai maddalenini. Anche alcuni omicidi furono commessi negli anni in cui il famigerato Corpo Franco mantenne un distaccamento a La Maddalena, ma, essendo i responsabili dei militari, non fu un tribunale civile a giudicare.
L’unico assassinio del quale Ricci da notizia è quello di tale Battista Serra avvenuto in data imprecisata del mese di dicembre dell’anno 1822: nessun particolare della triste vicenda che sconvolse la relativa tranquillità della vita maddalenina. Il fatto che Ricci non abbia trovato notizie sul caso può essere spigato o con la perdita degli atti o con la possibilità che la pratica sia stata affidata non al giudice ordinario (e quindi al Balio per l’indagine preliminare), ma all’uditore di guerra e quindi a quella che potrebbe definirsi oggi la magistratura militare.
Una fonte precisa di informazioni si trova, comunque, nelle lettere che il comandante delle isole periodicamente faceva pervenire al viceré o alla Segreteria di Stato per relazionare fedelmente e minutamente su tutti gli avvenimenti di qualche importanza verificatisi nell’Arcipelago: e proprio dalle lettere che Gaspare Andreis inviò negli anni della sua carica di comandante provvisionale possiamo ricostruire i fatti.
Siamo nel 1822: l’isola ormai da parecchi anni è stata abbandonata dalla piccola flotta di Des Geneys: la Restaurazione ha portato via, insieme alle navi, quel movimento di persone e merci, di fuoriusciti corsi e corsari, che aveva vivacizzato gli anni dell’avventura napoleonica. I disordini del tragico periodo del Corpo Franco, responsabile di crimini reiterati, sono lontani anche se non proprio dimenticati. La presenza dei forzati e dei prigionieri di stato non coinvolge in modo significativo gli isolani, anche se ogni tanto un condannato scappa o qualche soldato tenta di disertare.
Una vita in tono minore ha ripreso l’isola; il piemontese Gaspare Andreis, già comandante di Capraia, ha sposato la giovane Vittoria Azara, nipote di Agostino Millelire, entrando così a pieno titolo nella comunità maddalenina. Si da molto da fare impegnando i forzati per i lavori di pubblica utilità: ha sistemato le strade che portano verso i forti di Santa Teresa e Carlo Felice, ha iniziato a far pavimentare la chiesa con il materiale donato dal solito benevolo ammiraglio Des Geneys, ha provveduto a far riparare i forti per metterli in condizione di ricevere i prigionieri che sembra debbano arrivare dalla terraferma. I maddalenini convivono con i problemi di sempre: continuano a soffrire per la mancanza di carne e di grano, sono gravemente impediti nell’approvvigionamento del personale delle Regie Gabelle, di recente istituzione e mal accette nell’isola; nella perenne ostilità del Bailo, sempre insensibile ai loro bisogni e estraneo alla loro vita, cercano appoggio presso le personalità di origine isolana o a questa vicina, come il comandante Andreis o il capitano di porto Domenico Millelire; periodicamente una supplica al Viceré per gli approvvigionamenti e contro il Balio movimenta la vita sociale; le gondole e i buoi dei padroni isolani svolgono i loro piccoli commerci legali e illegali vivacizzando il porto; spesso arrivano e partono i regi legni portando, insieme alle novità del resto del mondo, i giovani imbarcati che rientrano per qualche giorno in famiglia. Gli uomini non imbarcati, i ragazzi e gli invalidi di marina svolgono le loro attività abituali, curando vigne ed orti.
E’ in questa atmosfera sonnolenta che, all’improvviso, scoppia il dramma. La vittima è Battista Serra, appartenente ad una vecchia famiglia isolana: il padre, corso, era Giacomo Santo Serra (più noto come Sarreddu) e la madre Bianchina Ferracciolo: come molti della sua famiglia, era stato imbarcato sulle navi regie ed ora, in qualità di invalido di marina gode di qualche piccolo beneficio che gli consente di vivere serenamente la sua vecchiaia all’isola. E’ a sentire Andreis, uomo tranquillo, “di ottime qualità“, che non ha mai dato “Il ben minimo disturbo a Chi che sia“.
Il 5 novembre 1822 Serra viene ucciso da un colpo di pugnale che gli perfora il polmone. L’assassino è Efisio Longo, un giovane bonifacino, maestro falegname che ha sedotto la figlia ventenne, Maria Luisa, “con promessa di matrimonio“, per cui pende una causa presso il tribunale ecclesiastico. I fatti sono chiari nella loro drammaticità: Serra sta rientrando a casa, è ormai presso la porta quando viene raggiunto da Longo: c’è un breve scambio di parole irose, interrotte dall’improvviso apparire, nelle mani del giovane, della lama del pugnale; un colpo vibrato con forza penetra nel costato del vecchi che ha appena il temp di gridare “son morto” accasciandosi a terra. Il giovane Nicola Montese accorre: si trova casualmente alla Maddalena perché il regio brick “La Nereide” sul quale è imbarcato, è in porto a Cala Gavetta: è nipote dell’ucciso, quasi coetaneo della ragazza sedotta. Cerca di portare soccorso al povero zio, ma non ci riesce perché assalito dal Longo che rotea il pugnale gridando come un pazzo: “questa” questa sera voglio che ci passiate tutti quanti”. Montese trova solo un bastone col quale cerca di difendersi parando alla meglio i colpi violenti: viene ferito alla coscia sinistra, ma riesce a colpire l’assalitore sulla testa e a metterlo in fuga. A terra, vicino al pugnale abbandonato e al berretto dell’assassino, Serra giace morente. Longo è evidentemente fuori di se: probabilmente non si è nemmeno accorto di aver ucciso “non sapendo neanche il barbarismo commesso” perché, incontrando un suo parente, Francesco Varsi, anche lui bonifacino, ha l’ardire di presentarsi dal comandante Andreis a chiedere giustizia per il colpo ricevuto alla testa. E’ Varsi che parla, e con aria piuttosto minacciante dice “Signor Comandante, vogliamo giustizia, veda che hanno dato un colpo di bastone al mio parente”. Andreis, convinto di trovarsi di fronte alle conseguenze di una semplice rissa, ordina alle guardie di andare sul luogo dei disordini per arrestarne i responsabili. Solo quando arrivano in prossimità della casa di Serra, Longo tenta di scappare e la realtà dei fatti si presenta in tutta la sua drammaticità.
Le notizie a nostra disposizione si fermano qua. Non sappiamo quale sia stato l’esito del processo, anche se possiamo supporre la dichiarazione di colpevolezza nei confronti di Longo, data la chiara ricostruzione degli avvenimenti e la presenza di testimoni. Ho cercato di sapere qualcosa di più degli altri protagonisti della vicenda, in particolare di Maria Luisa Serra e di Nicola Montese. Dal momento dell’omicidio non troviamo più tracce della ragazza, malgrado la famiglia abbia continuato a risiedere a La Maddalena, quasi che sia stata cancellata dalla sua “colpa”.
Di Nicola sappiamo, che era figlio di Giuseppe, una delle vittime dello scontro contro i barbareschi presso Capo Teulada del 28 luglio 1811: imbarcato sulla mezza galera “L’Aquila”, Giuseppe era morto insieme ad altri tre maddalenini, sotto i colpi dei pirati. Una cerimonia nella chiesa di Santa Maria Maddalena ne aveva ricordato il sacrificio, in assenza dei corpi che erano stati gettati a mare a 45 miglia dalla costa. Le famiglie delle vittime, grazie all’interessamento di Des Geneys, aveva ottenuto delle “razioni di pane” proporzionate al numero di figli ancora inabili al lavoro. Nicola aveva allora 12 anni e non tardò ad arruolarsi, come suo padre, sulle navi del Re. Anche suo fratello Giacomo seguì la stessa via: era sulla fregata “Des Geneys” quando morì di sincope il primo maggio 1842. Nicola ebbe 5 mogli, tutte di famiglie isolane (una Simone, una Alibertini, Una Ornano, una Zicavo, una Zonza): evidentemente non riusciva ad abituarsi a rimanere vedovo.
La famiglia Montese è scomparsa dalla Maddalena: resta la tomba nel cimitero, all’angolo del primo campo santo a destra vicino all’ingresso.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma