Una giornata di Garibaldi a Caprera
Si arrivava alla ‘‘Casa Bianca’’, che Garibaldi e i suoi amici continuamente aggiustavano e ogni tanto anche ampliavano, attraverso sentieri bordeggiati di alberi e di fiori. Nel cortile c’era un bosco di mimose, un’enorme palma da dattero svettava sin oltre il tetto (il Generale diceva che era nata da sola, da qualche nocciolo di dattero che aveva buttato dalla finestra dopo aver mangiato il frutto); intorno, ancora, un altro boschetto di acacie, molti carrubi e perfino duecento frassini, di quelli che in Sicilia danno la manna. Quando il 16 febbraio 1867 nacque l’ultima figlia, Clelia (Garibaldi la chiamò così dal nome dell’eroina del romanzo che aveva cominciato a scrivere poco tempo prima della sua nascita), il Generale piantò proprio al centro del cortile un pino che ancora oggi lo domina tutto. A Caprera Garibaldi non era mai solo. Aveva intorno a se una piccola corte stabile, e in più circolavano sempre conoscenti e ospiti, spesso anche inaspettati, che approdavano nell’isola da ogni parte del mondo. Nel 1866 Cagnoni vi trovò, insieme al padrone di casa, i figli Menotti e Ricciotti, la loro antica governante nizzarda Deideri (presso la quale Garibaldi aveva lasciato i suoi figlioletti perché venissero allevati mentre lui correva il mondo per le sue straordinarie imprese), cinque ex garibaldini che svolgevano le diverse funzioni richieste dalla vita della casa: da Fruscianti, un ex maggiore dei Mille che fungeva da maggiordomo, a Giovanni Basso, che lo aveva seguito in capo al mondo (perfino a Canton) e che fungeva da primo segretario, a Lauro,Pastori e Faseri che aiutavano Basso a rispondere alle centinaia di lettere che arrivavano ogni giorno. E ancora c’erano due camerieri, uno di Milano e uno di Varese, due domestiche e infine un mezzadro, l’unico sardo, che viveva nelle case vicine con la moglie e sei figlie. A questi si aggiungevano,durante il periodo dei lavori della terra, alcuni contadini che venivano a lavorare a giornata. Della piccola corte di Caprera facevano parte anche due cavalle: Marsala, che lo aveva portato a Calatafimi e che ora riposa in una tomba speciale nell’isola, e un’altra che si chiamava Caprera. C’erano poi quattro cani, quasi tutti da caccia, che si chiamavano Aspromonte, Bixio, Foin e Tho. Qualche altro biografo ci ha lasciato anche il nome di quattro asinelli, che Garibaldi si era preso il gusto (e anche, se vogliamo, il cattivo gusto) di chiamare Napoleone III, Pio IX, Oudinot e Immacolata Concezione. La giornata di Garibaldi era molto ordinata e molto semplice. Si svegliava alle tre del mattino, dopo cinque ore di sonno, e per due ore leggeva la posta. Poi chiamava Basso e gli dettava le risposte. Quindi si alzava, faceva un lungo bagno di vapore con cui cercava di alleviare i dolori reumatici che lo tormentavano fin dall’America, poi usciva a lavorare, con la camicia rossa – ne aveva moltissime e le cambiava anche tre, quattro volte al giorno, un’abitudine che aveva preso in America. A pranzo si mangiava tutti insieme, al grande tavolo comune, dove sedevano anche i domestici: il Generale si serviva per primo, serviva le signore che gli sedevano al fianco, poi faceva girare il piatto. Nel menù c’erano sempre pasta, carne, cacciagione (nell’isola c’erano quaglie, pernici, beccacce, capre selvatiche, e Garibaldi vi aveva introdotto anche i fagiani e il cinghiale: il grande cacciatore di casa era il maggiore Basso) oppure pesce, molta insalata, la frutta di Caprera. Lui personalmente mangiava molto poco, beveva solo acqua fresca a pranzo e latte freddo a cena. Dopo cena si fumava, si beveva il tè o il caffè, si suonava il piano (lo stesso Garibaldi ne aveva una anche nella sua stanza, si dilettava a suonarci), qualche volta si ballava. Una sera del gennaio 1861 Vecchi (che ci ha lasciato uno dei tanti «quadretti» della vita di Caprera) cantò accompagnato al piano da Teresita, la figlia di Garibaldi, che aveva allora sedici anni: lo stesso Generale intonò poi un’aria dei Puritani e dei vecchi inni patriottici, per finire, tutti in coro, con la Marsigliese. Alle dieci in punto, con precisione quasi cronometrica, Garibaldi augurava rapidamente la buonanotte a tutti e se ne andava a letto.
Vedi anche: Garibaldi a casa
Illustrazione del 1861 della prima abitazione di Giuseppe Garibaldi a Caprera. Stampa tratta da “The Illustrated London News”, disegno di H. Vizetelly