Giovannino Catogno, Il Conte di Spargi
Il conte di Spargi.
Dal libro: ‘Un Porto di Terza Classe’ di Tore Abate e foto di Fabio Presutti
Sono colto da una sensazione forte d’irrealtà, quando sento parlare, con linguaggio forbito, quest’uomo di bassa statura, nervoso, scattante, con occhi spiritati, che mi racconta dell’isola di Spargi, dove vive da molti anni e della sua idea, sostenuta fino allo stremo delle forze, di diventarne il proprietario, per usucapione.
Forse sto assistendo ad una farsa, “ U- su- ca- pio- ne”: sillaba questa sorta di Robinson Crosue “de noantri”, mentre mi dice di avere preparato tutte le carte per rivendicare ufficialmente questo suo diritto bizzarro e, per me, completamente campato per aria. Si agita e muove le mani, come se stesse pronunciando un’arringa davanti ad una Corte di Tribunale schierata, il “conte”, che scandisce le parole, e che sta attento alle pause, che modula il tono della voce adattandolo al concetto espresso, e che crede d’essere convincente.
I suoi modi, diciamo, gentilizi stridono in maniera evidente con il suo aspetto trasandato. Il viso è solcato dalle rughe e segnato dai mesi passati in solitudine quasi assoluta. La sua figura può essere indicativa di una concezione quasi fatalistica dell’esistenza, di una chiarezza ottimistica nei rapporti con i propri simili e con l’ambiente.
“Io vivo da sempre su quest’isola e ne sono, di fatto, il padrone”- pensa Giovannino Catogno, originario di Ponza, ma vissuto sin da piccolo alla Maddalena, prima di scoprire il fortino militare di Cala Corsara di Spargi, la baia più suggestiva e più amata dai turisti, e di sistemarsi là, dopo avere preparato “alla buona” due stanze semidistrutte.
Giovannino, che alla Maddalena tutti chiamano Rampazzo, il conte di Spargi, si dice che in gioventù sia stato un “poco di buono”, che picchiasse le sue compagne, che vivesse d’espedienti. Forse, è soltanto un povero diavolo, che vede naufragare il suo matrimonio (da cui sono nati tre figli ) a causa del suo troppo bere e del suo troppo girovagare- così sostiene la nipote Barbara.
La moglie e i figli se ne vanno a vivere nel Lazio, lasciando Giovannino alla sua vita vagabonda e ai suoi giorni d’abbandono, perché lui vuole che questo accada.
Sull’ isolotto, affollato di turisti durante la stagione estiva, impara l’arte di arrangiarsi. Va a pescare e vende il pesce pescato. Cucina due o tre pietanze in un camerone del fortilizio e si vanta d’essere ristoratore.
A volte, visto che le capacità di ammaliare e di confondere il prossimo con le parole non gli mancano sicuramente, si spaccia anche per astrologo e per veggente.
Si ricordi l’atto grottesco, nella tragedia della scomparsa di un giovane barbiere di Palau, quando il “conte” sostenendo che glielo ha suggerito il suo spirito guida, indirizza le ricerche sul fondo del mare di Bonifacio, invano.
Giovannino è un personaggio, una macchietta, un elemento di folclore.
Uno dei tanti, simpatici, guitti di paese, che pur non offrendo nulla dell’autenticità patrizia, né atti regi, né possedimenti, è degno del saluto solenne: inchino e sfottò in Piazza Garibaldi.
Chi sarà mai quell’insigne giurista che gli ha messo in testa questo termine meramente tecnico, invero cacofonico: “Usucapione”?
Abitava in un’ex casamatta sul poggio che domina una baia di Spargi e diceva ai turisti di essere il padrone dell’isola perché qualche leguleio burlone gli ha fatto credere che potrebbe fare rivalere un suo diritto.
Il conte vive a Spargi da più di venti anni, la occupa … acquisisce la proprietà del bene, perchè, a modo suo, lo possiede nel corso del tempo. Ok: ma Spargi i proprietari li ha avuti e li ha ancora e sono i Berretta, i Ferrigno, i Martini, il Demanio Militare… Quale diavolo di avvocato avrà potuto mai patrocinare la causa di Giovannino “Rampazzo”?
Più che una rivendicazione è un sogno. Che è destinato a non avverarsi mai. Il conte è un pescatore abusivo, un ristoratore abusivo, una guida turistica abusiva… Blasonato ma illegale, senza le dovute autorizzazioni a svolgere tutte quelle attività e quelle professioni che a Spargi si è inventato… Mamma mia, la Finanza! Megamulta ? Ma no, il conte cucina solo per gli amici, qualche spuntino a base di pesce nella casamatta sotto la Testa della Strega, a Cala Corsara, con Umberto, con Gavino, con i compagni d’avventura arrivati dalla costa. E’ una bugia innocente che è detta per permettere al “conte” di togliersi dai guai. Va bene, i militi chiudono un occhio, e pure entrambi gli occhi, ma da adesso in poi, Spargi, per “Rampazzo” è off- limits. Altro che proprietà per usucapione.
Il “conte” perde gradualmente il consueto smalto, dimagrisce a vista d’occhio, incontra serie difficoltà a mettere insieme il pranzo e la cena. Vive gli ultimi anni alla Maddalena, e trascorre le giornate seduto davanti al Mercato civico o sui gradini del Municipio. A poco meno di settanta anni, è ridotto dalle vicende della vita, e dalla malattia a poco più di un clochard. Cammina appoggiandosi ad un rudimentale bastone da passeggio. Passa la notte dentro un’automobile abbandonata nel parcheggio del porto commerciale. Un giorno qualcuno in Comune prende a cuore il suo caso di nobile decaduto. I Servizi Sociali gli assegnano un alloggio nelle vecchie carceri dei Tozzi. Giovannino gira avvolto in un mantello sdrucito, indossa sempre una maglia rossa, porta in testa un fez nero con bordi dorati, e si lascia crescere una folta barba bianca, in omaggio a Giuseppe Garibaldi.
Il “conte” ci sta bene nel fondale di un arcipelago estivo da operetta, incline a consumare maschere comiche: da Enea, a Balena, a Pascariello.
Nella sua stravaganza, Giovannino, riesce pure ad aprirsi uno spiraglio sull’inferno, la sua vita, a rendersi utile, anche se le doti paranormali che dice di possedere non lo aiutano mai.
Non cambia i propri gusti raffinati, però, in ossequio alla schiatta alla quale appartiene: “Conte posso offrirle un caffé?”. Risponde: “ Una coppa di champagne”. Oppure: “ Un cognac”. Un giorno, anonimo come tanti, lo trovano moribondo, nel tugurio che ha abitato, con i minimi comforts.
Dopo poco tempo si spegne, in un letto dell’ospedale Paolo Merlo della Maddalena. Accanto a lui la sorella e il nipote Mario Murri, calciatore dell’Ilva. Nella stessa camera è ricoverato anche monsignor Salvatore Capula, da poco sollevato dall’incarico di parroco, che durava da più di sessanta anni.
“ E’ morto il conte di Spargi, il clochard con il fez”… Un giornale riporta la notizia. Ti sia lieve la terra, Giovannino, la tua vita non è stata semplice, ma neppure monotona.
Salvatore Abate