Gli sfollati
Non si può dire che tutti gli sfollati abbiano vissuto le stesse esperienze durante i periodi passati lontani dalla Maddalena: una prima profonda differenza divide quelli che poterono prendere in affitto una casa (o una stanza) a spese proprie da quelli che furono ospitati a spese dello stato nelle scuole; per ovvi motivi questi ultimi soffrirono maggiormente, anche se erano garantiti loro i pasti e una certa assistenza da pane delle suore della congregazione di San Vincenzo e di altre organizzazioni caritatevoli: pesavano l’impossibilità di autogovernarsi, l’obbligata convivenza negli spazi ristretti degli edifici scolastici, la mancanza delle minime comodità quali i materassi o i mobili dove riporre gli oggetti, la difficoltà di ricavarsi anche un minimo di intimità.
Un’altra differenza fondamentale riguarda gli sfollati che vissero a Tempio rispetto a quelli che abitarono nelle campagne o nei paesi più piccoli. I primi sentirono, in genere, un atteggiamento non proprio amichevole nei loro confronti e a parte i caustici commenti sulla condizione di profughi espressa nelle poco caritatevoli parole “maddalenini fugghiti”, era abbastanza diffuso un senso di fastidio che si manifestava anche, pur con le dovute eccezioni, in una scarsa propensione ad intervenire nell’alleviarne i bisogni. Non é casuale che solo nei confronti dei tempiesi si concretizzasse, con canzonette ironiche inventare da giovani maddalenini, la reazione stizzosa degli isolani. I secondi godettero pienamente della solidarietà della popolazione, furono aiutati nelle loro necessità e, in genere, ebbero collaborazione e manifestazioni di amicizia che rimasero intatte, spesso, anche dopo la fine della guerra.
La maggior parte di loro non soffrì particolarmente la fame: l’estate fu generosa di frutta, facilmente reperibile; verdura, latte, uova si trovavano in campagna abbastanza facilmente, anche se alcune famiglie, prese nella morsa del mercato nero, dovettero vendere, o meglio scambiare, beni quali lenzuola e biancheria per prodotti alimentari, in una logica di puro baratto in cui nessuno più si fidava dei soldi. Alcune donne maddalenine, quali Antonietta Pitturru e Fiorina Cianchetti, misero a frutto la loro abilita di sarte da uomo, particolarmente apprezzata in cambio, come al solito, di farina, olio, strutto, formaggio, ricotta. Chi poteva si arrangiava a reperire cibo grazie a conoscenze presso i servizi di sussistenza dei comandi della Maddalena o di Sassari.
La ritirata dei tedeschi verso il nord, rapida, condotta con grande abilità e accelerata dalla certezza del silenzio delle batterie dell’Estuario, coinvolse quasi tutti gli sfollati che videro dai diversi paesi le colonne ordinate, dall’aspetto potente, che velocemente risalivano verso le Bocche di Bonifacio, evitando qualunque contatto con la popolazione e qualunque provocazione che ne avrebbe rallentato l’esodo. Malgrado l’apparente baldanza, alcuni di loro, venuti a contatto con le famiglie sfollate durante una pausa di riposo nella marcia verso nord, espressero la paura di rimanere intrappolati in Sardegna, e il timore per il futuro incerto della guerra e del loro destino personale: le donne e i ragazzi che li ascoltavano capirono, nell’incerto italiano e nella dura pronuncia, che a quei soldati potevano essere attribuiti sentimenti molto simili a quelli che anche loro provavano e un sorriso o una parola buona suggellò il breve definitivo incontro.
Il loro passaggio non provocò danni se non in poche località dove qualche colonna sparò in aperta campagna, senza colpire persone o contro le abitazioni nell’attraversare qualche piccolo centro i cui abitanti rimanevano prudentemente riparati. A Palau si verificarono danneggiamenti in alcune case rurali e prepotenze contro gli abitanti, mentre a Santa Teresa si registrò qualche minaccia di portare in Corsica alcuni giovani operai italiani.
Gli sfollati vennero in contatto con i soldati dei battaglioni costieri italiani presenti nei paesi e videro le loro misere condizioni di vita: non solo la fame, ma anche lo smarrimento della dignità che si manifestava nell’aspetto miserevole, nell’abbigliamento trasandato, nelle scarpe sfondate o inesistenti perché scambiate con qualcosa da mangiare, nel senso di inedia, di rilassamento nella disciplina e nel comportamento. Soldati e popolazione civile erano accomunati dalla stessa situazione di emergenza e quindi dalla necessità dell’aiuto reciproco.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma