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Grattalingua comune

(nome scienfifico Reichardia picroides, nome locale Lattaredda)

Il nome dialettale è dovuto al fatto che una volta spezzate le foglie, ne fuoriesce un lattice dolciastro. Ancora oggi, le rosette fogliare di questa pianta vengono raccolte insieme ad altre erbe per prepararne delle ottime insalate selvatiche.

La pianta, perenne, è in genere alta non oltre la quarantina di centimetri. Vegeta e fiorisce per molti mesi dell’anno, alle nostre latitudini dal tardo inverno all’autunno inoltrato. Presenta una radice che appare legnosa e ingrossata, da cui in inverno rigettano nuove foglie a rosetta. Le foglie basali sono di forma assai variabile, comunque tenere e carnose, allungate, glabre e glauche anche se possono essere pennate o intere, ovate o quasi lanceolate, a lobi evidenti o meno, ecc.

Anche le foglie cauline non sono tutte uguali e possono assumere colorazione più scura col sopraggiungere dell’estate. Dalla rosetta emerge lo scapo, che porta capolini isolati su peduncoli, a forma di pera molto accentuata, globosa, con fiori gialli ligulati della tipica forma di molte asteraceae, distinguibili per la parte inferiore dei petali esterni venata da strie brune. I frutti sono acheni, quelli interni più chiari degli esterni. Le parti della pianta presentano alla rottura un latice bianco, appiccicoso ma del tutto innocuo.

Il nome “caccialepre” dato alla pianta è decisamente il più comune, anche se in alcune aree, specie al sud questo termine viene usato per individuare anche un’altra asteracea di comune tradizione alimentare, la Chondrilla juncea. Il termine pare riferirsi alla frequenza di questi animali, e di conseguenza dei cacciatori, in luoghi dove le piante, di cui sarebbero ghiotti, sono abbondanti. Del tutto arbitraria sembra invece il riferimento del termine “caccialebbra” alla malattia infettiva. Il caccialepre è pianta presente e comune in quasi tutta Italia, con eccezione di alcune regioni del Nord, dove vegeta fino ai 1000 m di altitudine, prediligendo per lo più luoghi incolti, aridi e assolati, come campi, bordi delle strade, muri, con differenze a seconda delle varietà.

Gli usi tradizionali si limitano quasi solamente a quello alimentare, certamente databile comunque da secoli vista l’ampia diffusione in tutta la Penisola, tanto che di recente è stata tentata la coltivazione e almeno un’azienda lo produce e lo vende nella grande distribuzione. Ancorché non sia classificata come pianta officinale, il suo uso a scopo terapeutico viene qui e là segnalato. Alla specie sono o sono state attribuite proprietà antiscorbutiche, rinfrescanti, depurative, alcalinizzanti, diuretiche, analgesiche, così che viene utilizzata anche come alimento medicinale. Proprio per le virtù analgesiche viene segnalato l’uso delle foglie fresche tritate, applicate sulla parte dolorante per alleviare dolori muscolari o mal di denti o di testa.

A Lattaredda, è pianta erbacea spontanea fra le più usate e ricercate per uso alimentare in Italia. Essa è anche comunemente utilizzata in altre aree del Mediterraneo, in alcune delle quali vengono consumate anche le radici. Si utilizza, e non solo in primavera, il cespo basale costituito dalle tener foglie, prima dell’antesi. Gli inesperti possono confonderla con altre asteracee ma le foglie glauche dovrebbero essere riconoscibili abbastanza facilmente. Per il loro ottimo sapore, assai più mite delle altre erbe amare, esse vengono consumate dappertutto per lo più crude, da sole o mescolate con altre erbe primaverili o verdure coltivate, in insalate condite con olio, sale, limone o aceto. Le foglie entrano tuttavia anche a a far parte anche delle misticanze cotte più tipiche, del miscuglio degli “erbi”, delle minestre miste, “maritate”, e delle tipiche ripassate meridionali. Allo stesso modo si segnala l’uso, insieme ad altre erbe, per le torte salate e per i ripieni, mentre all’Isola d’Elba viene segnalato l’uso di sostituire le bietole nel tipico ripieno dei totani.