Il commercio della roccella
Articolo dello scrittore Antonio Ciotta.
Una lettera, diretta nel 1768 al viceré di Sardegna dalla ditta “Le Clerc & C.” di Londra, rivela le vicende di un breve ma florido commercio venutosi a creare nell’arcipelago negli anni immediatamente successivi alla costituzione della comunità maddalenina; una pagina di storia isolana di cui si è persa la memoria e che è bene ricordare per il monito che da essa ci giunge. Il documento, conservato nell’Archivio di Stato di Cagliari (Segreteria di Stato – Serie II – vol. 1275) è una richiesta di estrazione in esclusiva dalle “Isole de’ Carruggi” di un lichene del genere “roccella” avanzata dalla ditta inglese dopo la scoperta in Sardegna del prezioso vegetale.
Erano i tempi in cui Carlo Emanuele III, avendo creato il ministero per gli affari di Sardegna, aveva affidato il primo incarico al conte Bogino, passato alla storia per la crudele repressione contro il banditismo, ma anche come il più illuminato funzionario piemontese che che si sia curato della Sardegna. Questi, volendo lenire i malesseri dell’isola con il rifiorire dell’agricoltura, aveva inviato il professor Plaza, chirurgo e botanico, con l’incarico di studiare il clima, i terreni e la flora spontanea allo scopo di individuare quelle colture di facile acclimatamento e di elevato valore commerciale che si sarebbero potute attuare in terra sarda.
L’operazione ebbe scarso successo, sia perchè i vari esperimenti tentati con le coltivazioni del caffè, del cotone e dell’indaco ebbero modesti risultati, sia perchè i sardi, da sempre dediti alla pastorizia, si rivelarono poco propensi ad adattarsi all’agricoltura. Ma nel marzo del 1768, durante una ricognizione nell’arcipelago, occupato dai piemontesi da appena cinque mesi, il Plaza ebbe la ventura di individuare la “roccella tinctoria”, un lichene utile in tintoria che era largamente appetibile sui mercati europei ed in particolar modo sul mercato inglese. I licheni del genere “oricella” o “roccella” erano infatti molto ricercati per la tintura delle stoffe di lana e di seta e per la colorazione a freddo dei marmi e degli alabastri che si eseguiva a Firenze, Parigi ed Amsterdam. Gli inglesi, poi, ne facevano largo uso per ottenere il colore rosso vivo delle divise militari e delle “giubbe rosse” della Guardia Reale.
Il Plaza raccolse un abbondante campione e lo inviò al viceré, comunicandogli la scoperta e facendogli conoscere quale provvida pianta possedesse l’isola. Il campione, spedito a Torino, fu analizzato dal professor Allione che riconobbe la validità del vegetale quale pianta tintoria e ne consigliò lo sfruttamento. Fu subito raccolta una balla da un quintale che, spedita a Londra, venne sperimentata con tanto successo che gli inglesi, che fino ad allora avevano importato i licheni dalle Canarie e dal nordafrica, si mostrarono interessati al prodotto tanto che la ditta “Le Clerc & C.” ne fece un’ordinazione di 30 quintali chiedendo, come abbiamo visto, l’esclusiva per l’estrazione che non fu mai concessa.
Si accese subito nell’arcipelago la “febbre della roccella” e molti furono i maddalenini si impegnarono nella ricerca del prezioso vegetale su tutte le rocce e gli anfratti delle isole. Il lichene, che gli isolani chiamavano Erba tramontana, veniva acquistato dai mercanti genovesi che fiutato il lucroso affare si erano precipitati a La Maddalena istituendo nell’isola un centro di raccolta. Nei primi anni si riuscì a spedirne oltre 200 quintali e l’esportazione annua dalla Sardegna, dopo che il Plaza lo aveva individuato anche all’Asinara e in altre località della costa nord, si aggirava sui 300 quintali. Ben presto i sardi, accortisi dei guadagni che i liguri facevano alle loro spalle concentrando il lichene a Genova e rivendendolo a prezzi altissimi, si organizzarono in proprio e La Maddalena divenne base per la spedizione del prodotto ai mercati di Marsiglia e di Livorno.
Ma come tutte le corse all’oro l’avventura della “roccella” era destinata ad esaurirsi nel volgere di alcuni anni. La sconsiderata raccolta di enormi quantitativi di lichene ne compromise in breve tempo la riproduzione anche perché, com’è noto, la crescita del tallo lichenico e sempre molto lenta.
E da quel lontano episodio ci giunge un severo avvertimento: quando l’uomo “perde la naturale responsabilità della propria terra” e alla razionale raccolta o coltivazione sostituisce lo “sfruttamento predatorio” compromette irreparabilmente quel grande patrimonio che la natura ha posto a sua disposizione perché egli goda degli interessi (i frutti della terra, come ammonisce la Bibbia) senza però intaccare il capitale. Ed i maddalenini, vinti dall’avidità dei guadagni, man mano che si esauriva la “roccella” cominciarono a mischiare il prodotto con l’Erba lana (Usnea barbata), un lichene molto simile, che cresce anche sui tronchi degli alberi, ma che ha scarso potere tintorio. Le “giubbe rosse” della Guardia Reale, come scrive il Cesaraccio, cominciarono a diventare sempre meno rosse fino a divenir “rosa” ed il commercio della “roccella” così proficuamente iniziato, si esaurì nel giro di un decennio.
L’interesse per la “roccella”, tuttavia, non cessò del tutto; nel 1832, difatti, secondo quanto riferisce il Valery, era presente a La Maddalena il suddito britannico William Sarderson Craig, dipendente della Cassa Mackintosh di Glasgow, divenuto poi console inglese a Cagliari, il quale aveva ripreso con profitto il commercio del lichene. Quest’attività durò solo pochi anni, ma certamente in quell’occasione le giubbe della Guardia Reale ridivennero rosse.