Il faro dell’istruzione
Articolo dello scrittore Antonio Ciotta
Le particolari condizioni geomorfologiche dell’arcipelago di La Maddalena e delle Bocche di Bonifacio fanno di questo tratto della costa nordorientale della Sardegna, fin dall’antichità teatro di tremendi naufragi, quello dove, quasi certamente, vi è la maggior concentrazione di fari e segnalamenti marittimi delle coste italiane e forse dell’intero Mediterraneo. Oggi quasi tutti i fari sono elettrificati, o attivati con funzionamento a pile o a batterie solari, ma fino a qualche decennio addietro erano tutti a vapore di petrolio e ad accendere e spegnere il faro e a regolarne la vita c’era un uomo: il fanalista.
Dislocati nelle isole di Spargi, Santa Maria e Razzoli, per vincere l’isolamento nel quale erano costretti a rimanere quasi tutto l’anno, i fanalisti dell’arcipelago vivevano con le loro famiglie nella casa-faro e a parte l’occasionale visita di qualche pescatore l’unico contatto con il mondo esterno era rappresentato dal rimorchiatore della Marina che settimanalmente, tempo permettendo, faceva il giro delle isole per portare il carburante, viveri, rifornimenti e qualche rara lettera di familiari e parenti lontani. Per loro si poneva dunque il problema dell’istruzione dei figli che per andare a scuola sarebbero dovuti rimanere nell’isola madre, ospiti di parenti o amici, o presso l’Istituto San Vincenzo, lontani dunque dai genitori che pur vivendo a pochi chilometri di distanza era come se fossero su un altro pianeta.
Negli anni dal 1956 al 1961, grazie all’interessamento del direttore didattico Fabio e del provveditore agli studi Cappai, avvalendosi delle norme sulle “Scuole popolari volanti” che erano state istituite per portare l’istruzione nelle piccole comunità rurali si pensò di estendere il servizio anche ai figli degli Agenti dei Fari. A ricordarci quella che fu la sede scolastica più settentrionale della Sardegna è una lettera del 4 marzo 1957 con la quale il capo della divisione fari del Ministero della Marina, capitano di vascello Giuseppe Gregorio, così ringraziava il provveditore Salvatore Cappai:
“Questa Direzione Generale è a conoscenza che, grazie all’interessamento della S.V. è stato possibile istituire la Scuola per i figli degli Agenti Fari di Punta Filetto, ormai in piena attività, e che è in corso uguale provvedimento per il faro di Capo Ferro. Nel prendere atto con vivo compiacimento della felice soluzione escogitata nel risolvere il problema della istruzione dei figli degli Agenti Fari isolati, Le esprimo il più vivo ringraziamento del Servizio Fari e Segnalamenti Marittimi”.
La singolare “Scuola dei Fari” appartiene ormai alla storia dell’Arcipelago, una storia appena di ieri, ma della quale si era già perso il ricordo. Senonchè il fortunato rinvenimento di un diario tenuto dai maestri che si alternarono nelle varie isole e nelle scuole dei fari di Capo d’Orso, Punta Sardegna e Capo Ferro, letteralmente salvato dalla pattumiera nella quale era stato gettato ed oggi gelosamente custodito nel comando Marifari, ci ha consentito di rievocare i sacrifici di quegli “eroici” insegnanti, tutti giovanissimi e quasi tutti al loro primo incarico. Il prezioso volume, ricco di documenti, disegni degli alunni, fotografie e ritagli di giornali, registra giorno per giorno la vita sulle isole dei giovani “maestrini”.
Ed ecco come giunge a Santa Maria il primo dei maestri:
“30 novembre 1956 – Ieri mi è pervenuta la nomina ad insegnante delle Scuole Popolari Volanti del Circolo Didattico di La Maddalena. Oggi pomeriggio nei locali della Direzione, c’è stata la riunione degli insegnanti, si trattava dell’attribuzione delle sedi. Gli insegnanti presenti eravamo tre e tre le sedi da assegnare. Quando si tratta di scegliere in genere sono fatalista e lascio fare agli altri, ma caspita, su quattro persone che eravamo in Direzione, il signor Direttore compreso, ben tre erano sin dal principio fermamente decisi a farmi partire per le isole a nord-ovest della Sardegna. Si trattava della decisione di darmi una sede che poteva essere un paradiso come un inferno. Ma il paradiso nessuno lo regala. Proposi di tirare a sorte, però i colleghi non erano convinti che il sorteggio mi avrebbe fatto dire di si; indi si procedette all’estrazione dei biglietti con i nomi delle sedi; il ”fato” mi assegnò un biglietto su cui era scritto…Punta Filetto”.
Fu così che il primo dei maestri, che abbiamo individuato in Titti Ugazzi, venne destinato alla scuola dei fari; ed egli ebbe subito modo di sapere ciò che lo attendeva; il diario infatti prosegue:
“Pochi minuti prima che si assegnassero le sedi erano state introdotte in direzione due donne e una bambina venute ad informarsi della ”loro scuola”, della scuola di Punta Filetto. Dopo averle assicurate che il più ormai era fatto e che si trattava di attendere ancora pochi giorni, cercai di farmi un’idea di come stavano le cose al faro. Dalle risposte che ottenni immaginai subito quanto saranno faticose e monotone le giornate della mia nuova parentesi di insegnante”.
Ed i sacrifici e le disavventure cominciarono subito; ne troviano significativi esempi trascritti dai vari maestri sulle pagine del diario:
“Partito da La Maddalena con un rimorchiatore della Marina agli inizi di dicembre sono rimasto bloccato dal cattivo tempo sull’isola di Spargi sino al giorno 19. Questo periodo di tempo è stato molto duro per me. Prima un forte vento e poi una scrosciante pioggia hanno fatto si che trascorressi tutti questi giorni rinchiuso in casa senza poter quasi mai uscire se non per pochissimi istanti. Il giorno 19, avvistata una barca, sono riuscito a farla approdare all’isola e sono potuto ritornare a casa per provvedermi delle cose necessarie per stare in questi luoghi”.
“8 gennaio – Sono arrivato alle sei di mattina nell’isola di Santa Maria con una barca da pesca. Durante il tragitto, durato un’ora e mezza, ho sofferto molto il freddo. Gli abitanti di quest’isola mi hanno accolto molto cordialmente”.
“20 gennaio – Questa mattina ho fatto per la prima volta i segnali di fumo per avvertire un pescatore che avevo bisogno di andare a La Maddalena. E’ venuto a prendermi ‘Musu Martè’ che quando ha saputo che insegnavo sull’isola è stato molto gentile con me”.
“15-29 febbraio – Il tempo si è guastato per tutti questi giorni, il vento ha soffiato impetuoso rendendo impossibile la traversata; soltanto il 29 è potuto venire il rimorchiatore della Marina, la traversata è stata molto dura, le onde erano così alte che non facevano vedere la costa quando il rimorchiatore veniva a trovarsi tra un’onda e l’altra”.
“18 marzo – In questa giornata mi è andata proprio bene; infatti, mentre venivo a La Maddalena con la barca di un pescatore chiamato ‘il Cinghiale’ si è messo all’improvviso un fortunale. Le onde del mare sono venute altissime molte volte si sono imbarcate e solamente dopo una lunga lotta con il mare siamo riusciti a raggiungere La Maddalena bagnati come pulcini”.
Questi pochi ma significativi appunti valgono da soli a darci una chiara idea della vita condotta dagli insegnanti della scuola dei fari costretti per recarsi periodicamente a terra a servirsi di mezzi occasionali, se se ne presentava l’occasione, e a ricorrere persino ai segnali di fumo per comunicare. Sembrano cronache di altri secoli anzichè fatti di appena qualche decennio addietro.
La singolarità della scuola dei fari non sfuggì alla stampa dell’epoca. Abbiamo trovato un articolo di Mario d’Oriano sulla scuola di Punta Filetto, che arrivò ad avere tredici alunni. dal titolo “Nel faro di Punta Filetto la scuola più settentrionale dell’isola”, e un articolo di Giacomo Origoni sui cinque bambini della scuola di Razzoli dal titolo “Il faro dell’istruzione illumina le isolette dell’arcipelago”, apparsi su La Nuova Sardegna e su L’Unione Sarda. Ma la testimonianza più importante porta una firma illustre, quella di Vittorio G.Rossi. Il grande giornalista e scrittore, in giro per l’Italia alla ricerca di aspetti della vita che presto sarebbero scomparsi sotto l’incalzare del progresso e del consumismo, in una serie di servizi dal titolo “Piccolo Mondo antico e moderno”, sulla terza pagina del Corriere della Sera del 17 settembre 1958, così descrisse la sua visita al faro di Razzoli:
“Al faro di Razzoli c’è Albertina, C’è anche il maestro, ma io non l’ho visto perchè era in vacanza; ma c’è anche lui, ci sono anche le tre famiglie dei fanalisti, fanno in tutto dieci persone e col mestrino, quando c’è, fanno undici. Razzoli è un isolotto: forse si potrebbe chiamare scoglio senza essere rimandati all’esame di geografia. Se c’era il maestrino me ne sarei informato da lui. Quando sbarcai dalla motozattera sul piccolo pontile di Razzoli c’era il capofanalista con un ragazzino. Come ti chiami? domandai al ragazzino: Alessandro Manzoni, disse lui. Lo disse come se sapesse che c’era già stato l’altro, ma la cosa non lo disturbasse. Il ragazzino mi mostrò altri due abitanti di Razzoli: erano in una tomba di cemento presso il mare. Tra loro e il mare pareva che ci fosse una conversazione; sarà piuttosto lunga pensai. C’erano i conigli selvatici, le capre selvatiche, le lucertole, le bisce, i corvi e un gran runore di cicale e il rumore del vento. C’era la stradina selvaggia che dal faro scende al pontile; e in fondo a essa c’era la tomba di cemento coi due morti che parlavano giorno e notte col mare. E intorno a tutto questo c’era il mare. E in mezzo a tutto questo c’erano i sedici anni di Albertina.
Albertina era al secondo piano della casa dei fanalisti, è la figlia di un fanalista, e ha sedici anni; era seduta compostamente, come in un parlatorio delle monache, due grosse trecce nere le scendevano sul petto. Io la guardavo e lei diventava rossa. Questo fatto di una ragazza che diventa rossa quando è guardata, mi fece pensare all’età della pietra. Ma io non guardavo lei, guardavo i suoi sedici anni che erano in quel posto. Volli domandare ad Albertina cosa faceva dei desideri quando le venivano, i desideri che vengono quando si hanno sedici anni. C’è qualcosa che desideri più di tutto – le domandai – La luce elettrica – disse lei – Così potrebbe avere la radio, forse la televisione, sarebbe in contatto con il mondo – dissi io.
Poi vidi la stanzetta dove il maestrino fa scuola; c’era una tavola con tre sedie. Alla tavola siede lui con due scolari; uno è Alessandro Manzoni, l’altro il fratello che ha sei anni. Mi dissero che il maestrino aveva finito l’altro anno le scuole per diventare maestro. Allora avrà diciannove anni -mi dissi- Ha diciotto o diciannove anni e sta in questo posto. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa faceva lui dei suoi desideri; mi dispiaceva che non ci fosse. Nella stanzetta accanto c’era il suo letto, c’era un paio di scarpe sotto il letto. Erano vecchie scarpe coperte di polvere. Parevano le scarpe di uno che non fa che camminare, e cammina su se stesso”.
Con queste riflessioni si chiude il lungo l’articolo di Vittorio G.Rossi su un mondo che sarebbe di lì a poco scomparso: ben presto Sergio Maestrale, il maestrino di Razzoli, avrebbe abbandonato sull’isola le sue scarpe vecchie e intrapreso un nuovo cammino con le scarpe nuove, e il sogno di Albertina, la luce elettrica, avrebbe segnato la fine della maggior parte dei fanalisti.
A conclusione dell’anno scolastico c’erano gli esami: “13 maggio – annota il maestro – Oggi abbiamo fatto gli esami, il tempo era ottimo e tutti gli alunni delle isole hanno preso l’avvenimento come una passeggiata poichè gli esami si sono fatti al faro di Razzoli ed essi vi sono giunti con una barca della Marina che li aveva raccolti nelle diverse isole”.
Anche la commissione era giunta in barca e nel diario è conservata una foto fatta nel momento in cui sta per sbarcare: si riconoscono il direttore Fabio, il maestro Mario d’Oriano e, ai remi “minchia nera”, un fanalista di cui molti maddalenini forse ignorano il cognome, ma di cui tutti ricordano il soprannome.
Si concludeva così l’anno scolastico: “20 maggio – Oggi ho consegnato il registro scolastico e con quest’atto ho chiuso la mia attività di insegnante nelle isole”. Lo stesso maestro, qualche settimana prima aveva annotato sul diario, “23 aprile – Sono arrivato a casa bagnato anche se avevo l’impermeabile perché il mare era mosso e inoltre pioveva a dirotto, speriamo che questa sia l’ultima bagnata perché quest’anno, per via di tutte le bagnate che mi sono preso, sto passando da un raffreddore all’altro”.
Un altro maestro, uno degli “eroi” di quell’avamposto dell’istruzione, qualche tempo dopo, a conclusione dell’anno scolastico annoterà: “…come vorrei ancora bagnarmi pur di rivedere i miei bambini delle isole”.
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